Politica

L’Italia, laboratorio politico dei populisti

21
Settembre 2018
Di Redazione

Mentre in patria continua a crescere la (prevedibile) tensione fra gli alleati di governo in vista del varo della legge di Bilancio, il vertice europeo di Strasburgo incentrato su Brexit e questione migratoria dimostra fino a che punto i nostri partner continentali abbiano perso contezza del modo in cui un approccio intransigente nei confronti dell’Italia rischia di minare ulteriormente i già complicati rapporti con Roma. Giacché lo scenario evocato negli ultimi mesi relativo a un confronto fra populisti e responsabili – con i secondi a intestarsi il dubbio quanto esecrabile compito di mondare i primi in nome di un non meglio precisato bene superiore – non basta certo a spiegare la profondità del solco apertosi di recente fra i due versanti delle Alpi. Storico paese di accoglienza e passaggio per gli stranieri che approdano in Europa via mare dall’Africa e dal Medio Oriente, nell’ultimo quinquennio la penisola italiana si è trasformata in un gigantesco campo profughi europeo – dunque di immigrazione permanente – per la scelta dei governi di Francia, Austria e Slovenia di chiudere più o meno ermeticamente le rispettive frontiere col Belpaese agli extracomunitari provenienti da sud, col tacito benestare degli altri paesi Ue. Nel report della scorsa settimana evocavamo l’enorme “stock” di migranti accumulatosi in Italia a partire dallo scoppio delle primavere arabe, un flusso di persone divenuto col tempo fenomeno stanziale destinato a cambiare morfologia alle città, mettendone in fibrillazione gli abitanti e offrendo nuova benzina al calderone populista.

Dunque, miscela fatalmente esplosiva che ben difficilmente potrà reggere a ulteriori scossoni. Ma se è vero che la ritrosia in primo luogo franco-tedesca a condividere con l’Italia l’onere dell’accoglienza ha avuto un ruolo nella crescita di quelle forze antisistema e antieuropee che oggi dominano a Palazzo Chigi, è un fatto che l’elezione del primo governo apertamente populista nella storia repubblicana costituisce un’ottima scusa per portare avanti agende politiche nominalmente europeiste ma nei fatti spiccatamente nazionali. Prova ne siano atteggiamento e retorica esibiti da Francia e Spagna all’apice della crisi per Nave Diciotti, oppure l’accoglienza a tempo esibita dalla Germania verso i profughi siriani (con annesso controverso patto con l’autocrate turco Erdogan), così come la proposta uscita dal vertice informale di Strasburgo per un rafforzamento di Frontex, mossa dettata dalla volontà di “europeizzare” le frontiere più porose nel Mediterraneo per render più efficienti i controlli confinari e dunque impedire ai migranti intercettati colà di raggiungere i paesi del Nord Europa. A preoccupare l’Italia c’è soprattutto la minaccia di espellere da Schengen i paesi Ue che non dovessero cooperare con l’Agenzia europea di frontiera, una mossa percepita come una violazione di sovranità che formalizzerebbe una volta per tutte la nostra condizione di campo profughi europeo e ci condannerebbe a rimanere a lungo il laboratorio politico dei populisti.

 

Alberto de Sanctis