Settimana convulsa per la politica italiana, in cui la dialettica tra istituzioni interne e nuovi equilibri geopolitici si è intrecciata con i vincoli molto concreti dei conti pubblici. La cosiddetta vicenda Garofani – nata dalla pubblicazione di una conversazione attribuita al consigliere del Quirinale Francesco Saverio Garofani, in cui si evocava un presunto “piano” per fermare Meloni e favorire una nuova coalizione di centro-sinistra – ha trasformato un caso mediatico in un corto circuito istituzionale, con Fratelli d’Italia che ha parlato di complotto e il presidente del Consiglio che si è recato al Colle per un chiarimento diretto con Mattarella.
Il fatto che la crisi si sia rapidamente “sgonfiata” non cancella però il segnale: la maggioranza vive come minaccia qualsiasi ipotesi di riedizione di un “Ulivo 2.0”, mentre una parte dell’establishment è accusata di considerare il voto più come variabile da gestire che come vincolo da rispettare, alimentando sfiducia reciproca proprio mentre il Paese avrebbe bisogno di stabilità politico-finanziaria. Su questo sfondo si muove la legge di bilancio per il 2026, ora in esame al Senato come disegno di legge n. 1689 per il triennio 2026-2028, con un calendario parlamentare compresso e una stagione di audizioni che ha già messo in evidenza le richieste, spesso divergenti, di imprese, sindacati e corpi intermedi. Il rischio concreto è che la manovra arrivi alla fine dell’anno caricata di emendamenti last minute e di maxi-correzioni approvate con voto di fiducia, più orientate a tenere insieme la coalizione e placare categorie scontente che a costruire una strategia di crescita.
Nello stesso tempo Bruxelles ha recapitato a Roma un avvertimento formale sui poteri speciali (“golden power”) esercitati dal governo in materia di acquisizioni, in particolare nel settore bancario, giudicati potenzialmente in contrasto con le regole del mercato unico: un richiamo che segnala come la ricerca di sovranità economica nazionale abbia ormai un costo reputazionale e, potenzialmente, legale in sede europea. La dimensione internazionale pesa anche attraverso l’asse Washington-Mosca: il nuovo piano in 28 punti promosso da Trump per la guerra in Ucraina, elaborato in stretto dialogo con Putin, prevede il riconoscimento di fatti compiuti sul terreno e limiti all’espansione della NATO, chiedendo a Kyiv rilevanti concessioni territoriali e militari. L’Unione Europea, e con essa l’Italia, si trova così stretta tra la necessità di mantenere l’ombrello di sicurezza americano e il timore di essere relegata a comparsa in un negoziato definito altrove, mentre da Bruxelles arrivano segnali di inquietudine su un’intesa che potrebbe indebolire il principio di integrità territoriale e l’architettura di sicurezza costruita dopo il 1989.
Per l’economia italiana, questo scenario significa almeno tre cose: volatilità potenziale sui mercati energetici, in funzione di come verranno modulati sanzioni e rapporti con Mosca; incertezza sulle future regole fiscali europee, che dipendono anche dalla postura comune verso la guerra; e una pressione crescente perché il governo dimostri affidabilità tanto sui conti quanto sul rispetto delle regole del gioco occidentale. In sintesi, la settimana chiude con una paradossale convergenza: una disputa domestica nata da una registrazione informale, una manovra ancora in gran parte da scrivere e un negoziato globale su guerra e pace sembrano lontanissimi tra loro, ma concorrono tutti a definire il premio al rischio Italia che investitori, partner europei e alleati misureranno nei prossimi mesi.





