Politica

Immigrazione sotto il segno Meloni: com’è cambiata narrazione e azione

30
Agosto 2023
Di Simone Zivillica

Quella appena passata è stata una delle ultime estati dove si è sentito meno parlare di immigrazione irregolare – lo si può affermare con un certo grado di certezza giornalistica. Il dato, seppur spannometrico, si scontra comunque con quello, reale, empirico, degli arrivi sulle coste italiane. Il più alto, questo, degli ultimi anni dove – al contrario – non si faceva che parlare di emergenza immigrazione, di invasione e, ahinoi, di paventata sostituzione etnica. Perché questo corto-circuito? Dove risiedono le ragioni di un’estate in cui si è parlato di scontrini gonfiati e di un libro auto-pubblicato di un generale piuttosto che di centri di accoglienza al collasso e arrivi fuori dalle medie finora conosciute? Anche alla luce dell’importante e incalzante discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al recente Meeting di Rimini proprio in tema di immigrazione, sta al governo Meloni dimostrare di saper scegliere una direzione chiara, ma soprattutto efficace.

I numeri dell’immigrazione 2023

Partiamo dai dati. Gli arrivi da gennaio 2023 sono stati 113.483, numeri del Viminale, con un picco di 3.042 persone sbarcate in un solo giorno il recente 26 agosto. Dati che fanno segnare un aumento rispetto allo scorso anno di circa il 300%, numero difficilmente celabile sotto un pur spazioso tappeto. Tanto che a prenderne atto è proprio la premier Giorgia Meloni che – va detto – dopo la fine della campagna elettorale di Fratelli d’Italia durata anni non ha mai preso di buon grado le notizie inerenti all’immigrazione, tanto da non parlarne quasi affatto – o farlo in modo non troppo preparato com’è invece solita fare, come nel caso della conferenza stampa di Cutro. Finita l’estate, quindi, arriva la notizia dell’istituzione di un commissario proprio sul tema immigrazione. Sarà il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano a ricoprire questo ruolo in seno al Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (il Cisr), con l’obiettivo dichiarato di far lavorare in modo più efficace e unitario tutti i ministri con competenze sul tema dell’immigrazione, da quello degli Interni Piantedosi a quello dei Trasporti Salvini fino a quello degli Esteri Tajani.

Soluzioni e correzioni di rotta

Già, perché l’immigrazione è da sempre problema complesso e interconnesso a una varietà di tematiche e competenze, ognuna in capo a un determinato servizio statale. Ecco quindi, che il nuovo commissario sarà cruciale per dare risposte concrete sia alla cittadinanza, principalmente quella che ha votato Giorgia Meloni e che si è sentita ripetere per anni la retorica – poi scoperta vuota – dei porti chiusi e del blocco navale. Poi alle amministrazioni locali troppo spesso bloccate in problemi più grandi di loro e da cui rischiano di sortire soluzioni non adatte. Ma anche – e forse più di tutti – alle persone in arrivo, lasciate in condizioni igienico-sanitarie, psicologiche, legali molto più che inadeguate, specialmente per una nazione del G7, dell’Unione europea, della Nato.

In merito a questi numeri, Giorgia Meloni ha dichiarato che «l’Italia sta subendo una pressione migratoria come non si vedeva da molti anni a questa parte, con quantità di arrivi imponente. È difficile spiegare all’opinione pubblica quello a cui assiste e lo capisco bene. […]  È essenziale che ciascun ministro che ha competenza in materia sia al corrente reale sul lavoro che svolge il suo collega per evitare duplicazioni, dispersione di risorse, ma anche che il nostro interlocutore di turno si rivolga a più d’uno di noi, sollecitando i medesimi interventi, senza poi dare coto dell’utilizzo degli aiuti che riceve». Una correzione del tiro tanto dal punto di vista comunicativo, dove l’immigrazione è passata da essere problema risolvibile con qualche slogan a questione interministeriale di difficile soluzione e comprensione, che dal punto di vista dei rapporti interni al gabinetto. Infatti, tra le righe, non può non leggersi un’autocritica alle azioni in merito di immigrazione che sono state portate avanti finora, a partire dagli accordi internazionali, Tunisia su tutti, che non hanno ancora sortito gli effetti sperati.

Le frontiere di Nordest e Nordovest

Quando si parla di immigrazione, inoltre, si pensa quasi solo ai barconi malconci in arrivo a Lampedusa o in altri porti del Sud. Molti degli arrivi, però, e dei problemi evidenti del sistema di accoglienza si verificano agli antipodi della penisola. Sia nelle frontiere a Nordest che in quelle a Nordovest, infatti, sono quotidiani sia gli arrivi che i tentativi di uscita dal nostro paese.

Nel primo caso siamo a Trieste, punto di arrivo – anche se nella maggior parte dei casi solo temporaneo – della rotta balcanica. Il percorso che porta, attraverso le montagne dei Balcani, afghani, pakistani, siriani, iracheni a raggiungere le strade del capoluogo friulano. Qui la prima accoglienza che ricevono è quella delle associazioni che da diversi anni fanno rete per dare un primo soccorso, anche sanitario alle persone, stremate, in arrivo dalle migliaia di chilometri percorsi principalmente a piedi. Tra queste, Linea d’Ombra, la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, International rescue committee Italia danno supporto a che arriva e cercano di fare advocacy affinché le istituzioni diano risposte più concrete e calate sul territorio alle circa 500 persone che oggi vivono nelle aree abbandonate intorno Trieste. Anche grazie a queste associazioni sappiamo che il fenomeno migratorio in Italia è in aumento su tutte le frontiere, non solo quelle delle coste a sud. Sono 7.890 gli arrivi dall’inizio di quest’anno fino alla fine di luglio, mentre erano stati “solo” 3.191 durante lo stesso periodo dello scorso anno. Inoltre, si fa sempre più consistente la presenza di nuclei familiari, ma anche donne sole o di bambini e minori non accompagnati.

Nel secondo caso, invece, siamo nella frontiera alpina a Nordovest, quella che separa il Piemonte dalla Francia, principalmente a Bardonecchia. Qui sono anni che i migranti che vogliono proseguire il viaggio verso il Nordeuropa, arrivati e dispersi nelle larghe maglie del sistema di accoglienza italiano tentano di attraversare il confine geografico naturale delle montagne. Lo fanno in inverno, spesso di notte, quando le probabilità di essere scovati, arrestati e rispediti indietro dalla gendarmerie francese sono più basse. L’esempio più concreto della non-cooperazione tra paesi della stessa Unione politica va in scena tra le montagne che, storicamente, separano i nostri due confini cugini. Non è servito, almeno finora, l’aver alzato la voce da parte di Meloni contro Macron proprio sul tema delle lezioni da dare agli altri da parte dei transalpini.

Soluzioni?

A breve, dalla prossima settimana, sarà inaugurato il nuovo sistema di rimpatri ideato e varato con il decreto Cutro, redatto all’indomani della tragedia che tutti ricordiamo – o almeno ci si augura. Tra Pozzallo e Modica, in Sicilia nella provincia di Ragusa, partirà il centro per esaminare con la formula dell’iter rapido le domande di asilo. Chiunque rientri nella lista, compilata mensilmente con decreto interministeriale Esteri-Interni-Giustizia, dei Paesi sicuri sarà rispedito in patria. Un sistema, questo, che lascia ancora perplessi, anche esponenti di spicco della stessa area politica del governo Meloni, come il governatore del Veneto Zaia, secondo cui questo sistema equivarrebbe a «svuotare il mare con un secchio». Le perplessità sono principalmente due. In primo luogo, affinché le espulsioni siano effettive occorrono accordi bilaterali con i paesi coinvolti, che ancora spesso mancano quasi del tutto. Inoltre, e questo forse è il punto più controverso, se si va a sovrapporre la lista dei paesi considerati sicuri e quelli di arrivo dei migranti in Italia, ci si accorge ben presto che queste non combaciano: le percentuali dei migranti in arrivo dai paesi sicuri – e che quindi possono essere espulsi – sono decisamente più modeste rispetto a quelli provenienti da tutti gli altri paesi non espressamente inseriti in quella lista. Viene da sé, quindi, che il problema rimarrebbe se non insoluto, quasi, e che il secchio di cui parla Zaia sia anche di dimensioni fin troppo contenute.