Politica

Il Trono di spade. Nel Pd è già iniziata la guerra, pronti già 5 nomi per il dopo Letta

14
Settembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

“Lo sport barbaro di parlare di Enrico (Letta, ndr.) come se fosse già ‘morto’ (politicamente, ndr.) e dovesse solo farsi da parte, dopo il voto, è una vergogna! Una ver-go-gna. Chiaro?!”. Il big dem che risponde così, al telefono, incute timore, nell’interlocutore, per il tono esagitato con cui risponde a una urticante, ma semplice, domanda. “Se è vero che Letta è il Pd andranno molto male, come dicono i sondaggi e pure l’umore generale – questa era la domanda – Letta prima o poi si dimetterà e si aprirà la lotta per la successione, quali saranno, secondo te, i candidati in campo?”. 

La domanda, in effetti, è malevola e urticante, ma di questo si parla, nel Pd, ergo è pure legittima. Perché il Pd già vive un clima da Trono di Spade. (per chi non avesse visto le prime otto stagioni, sta andando in onda, ora, su Sky, pure il prequel).

Infatti, da un paio di settimane – a fronte di sondaggi, per lo più, disastrosi e di una sconfitta, quella del centrosinistra, che appare conclamata – lo sport preferito, dentro il Pd, è, da sempre, non quello di ‘vogare’ come rematori che remano tutti nella stessa direzione, specie nel rush finale della campagna elettorale, ma pensare al ‘dopo’. Cioè a ‘mangiarsi’ l’ennesimo segretario, uno via l’altro, come Crono si ‘mangiava’ i propri figli. 

Ma perché Letta dovrebbe ‘mollare’ subito il Pd? Il segretario è pugnace, combattivo, e resisterà.

E così, dunque, Letta “inevitabilmente” – dicono già gli svolazzanti uccelli del malaugurio dem – “si dovrà dimettere”. Letta, però, magari non ne ha imbroccate molte, in campagna elettorale (vedi alla voce: pullman elettrico andato in panne, per dire l’ultima, seguono scomposti sghignazzi e arrivano da ‘dentro’ il partito, oltre che da fuori), ma il suo caratterino ce l’ha. È un finto buono, tanto per dire, ed è tignoso. Non mollerà né subito né facilmente, la tolda di comando del suo Pd.  

Letta è uno pugnace, combatterà fino all’ultimo – e giustamente – contro chi ne tesse già l’elogio (funebre), a prescindere da quale sarà il risultato elettorale del Pd. Inoltre, Letta potrebbe restare, sulla tolda di comando, ancora per diversi mesi. Avrà una pattuglia parlamentare magari esigua, ma compatta, perché scelta quasi tutta da lui, e un prestigio personale intatto e ancora da spendere. 

Inoltre, ci sarà – problema non piccolo, ma Letta è ben attrezzato e rodato, alla bisogna – da fare opposizione, strenua e occhiuta, all’altamente probabile ‘nuovo’ governo di centrodestra, quasi sicuramente a guida Giorgia Meloni, e – finiti i tempi, come si è visto nel confronto live, anfitrione il Corriere della Sera, Letta e Meloni, della ‘coppia’ Sandra&Raimondo ovvero Mondaini&Vianello,come i giornali li appellavano (i due, oggettivamente, hanno vissuto mesi di perfetta sintonia, ormai alle spalle), Letta non ha alcuna intenzione di ‘abdicare’ al ruolo di “principale leader dello schieramento a me avverso”. La bella, e un po’ folle, definizione che il suo unico, vero, predecessore, alla guida del Pd, Walter Veltroni, dava del suo competitor, poi premier, Berlusconi, che lo bastonò nelle urne. Solo che, anche quella volta, poco dopo il voto, Veltroni si dimise e abbandonò la guida del Pd, lasciando il partito nel pieno del marasma… 

Letta con il Pd invece vuol ergersi a ‘vero’, se non ‘unico’, oppositore della Destre. Letta ritiene che Conte avrà ruoli marginali (non nei voti, che sono in crescita, ma nel gioco parlamentare, di cui è digiuno) e che la premiata ditta Renzi&Calenda si acconcerà prima a fare una (finta) opposizione e, presto, ad accordarsi con il centrodestra, pronta a vendersi per il classico piatto di lenticchie. In buona sostanza, in cambio di qualche nomina ben apprezzata (enti pubblici, Rai, società partecipate) il Terzo Polo (più Renzi, che Calenda, a occhio), sarà ben felice di far votare, in nome dei ‘supremi interessi del Paese’, riforme che per il Pd e Letta sono come l’odore di zolfo del Diavolo in chiesa. Presidenzialismo, autonomia al Nord, etc etc etc. 

Ma se la sconfitta di letta e del Pd fosse davvero devastante… Una lunga storia di dimissioni di segretari.

Resta, però, in piedi, un non piccolo problema. Se la sconfitta del Pd dovesse essere non ‘contenuta’ (Pd al 23-24% e coalizione di centrosinistra al 29-30%), ma devastante (Pd al 20%, o persino sotto, e coalizione al 26-28%), il tema delle dimissioni, per il segretario, si dovrà, per forza di cose, porre. Magari Letta le avanzerà per farsele, immediatamente, respingere, ma si sa come vanno queste cose. Il ‘rischio’ che qualcuno ci pensi, ad accoglierle, resta sempre molto alto. 

Del resto, la storia del Pds (dimissioni di Occhetto, ‘costrette’ dal duo D’Alema-Veltroni, nel 1994; dimissioni di D’Alema nel 1998, etc.), la storia del Ds (dimissioni di Veltroni nel 2001), come pure la storia del Pd medesimo (dimissioni sempre di Veltroni nel 2009, di Bersani nel 2013, di Renzi nel 2017 prima e nel 2018 poi), tranne alcune – rare – eccezioni (le illogiche dimissioni di Zingaretti nel 2021…), sono costellati di partiti che, tra un congresso e una primaria, un’assemblea nazionale e una direzione, i propri figli alias segretari li mangiano e poi li sputano, senza neppure averli ben digeriti. Un Trono di Spade’ appunto, assai più succoso, e a volte persino più violento, della serie omonima. 

Insomma, davanti a un risultato molto negativo, dal punto di vista elettorale (numerico e politico), la ‘lotta per la successione’ sarebbe assai peggiore di quelle che, tra Francia, Germania e Italia si tenevano, nell’Alto Medioevo, per la carica di Imperatore del Sacro Romano Impero. Di certo più cruenta e priva di buona creanza. 

Ecco che, allora, già si affacciano – prima ancora, cioè, che la sconfitta si ‘materializzi’ davvero – i ‘candidati’ alla successione del trono del Pd. Una vera e propria guerra da ‘trono di Spade’ dove ogni arma e ogni tradimento è ben lecito. 

Chi sono i candidati, oggi ancora fermi ai box, e il problema dei ‘tempi’ che sono quasi tutto…

Ma chi sono i candidati per il dopo-Letta, sempre che Letta decida davvero di ‘passare la mano’ alla guida del Pd? Sono già cinque, ma presto si restringeranno a tre: Bonaccini, un sindaco (a scelta), Enzo Amendola. 

Rigidamente fermi ai box fino al 25 settembre, i ‘piloti’ che vogliono cimentarsi nel Gran Premio di Montecarlo (il più difficile, si sa), quello del congresso anticipato (che è un missile a tre stadi: voto tra gli iscritti, primarie, voto in Assemblea): hanno caratteristiche e tempistiche assai diverse. Uno è scoperto (Bonaccini), uno è più coperto (Nardella), il terzo non sa di esserlo (Amendola). 

Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, c’è di sicuro e non vede l’ora di buttarsi a capofitto nella corsa. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ci proverà, forse (si sta muovendo molto, in questi giorni e settimane). E, infine, new entry, nome nuovo, Enzo Amendola, oggi sottosegretario agli Affari Ue nel governo Draghi, cui però va ancora chiesto se vuole farlo. Più, forse, un sindaco del Sud: Antonio De Caro, Bari, nonché presidente dell’Anci, che però potrebbe ‘accontentarsi’ di succedere, in Puglia, al lungo regno di Emiliano. E uno del Centro, non ancora bene identificato, ma di cui già si parla. 

Ma proprio i ‘tempi’, specie quando e se si parla di congresso del Pd, sono tutto, con i democrat

Se Letta si dimettesse subito dalla guida del Pd – cosa che i suoi (finti) sostenitori di oggi (Franceschini, Orlando, etc.) non vogliono affatto – Bonaccini avrebbe davanti a sé una vera autostrada. E’ ‘pronto’ da mesi, almeno così dice chi lo conosce bene. Gli altri no. Se, invece, Letta aspettasse un po’ (diversi mesi, diciamo fino a metà del 2023), il fronte che, oggi, finge di sostenerlo ma che non vede l’ora di giubilarlo, potrebbe riorganizzarsi. E costruire, appunto, una candidatura ‘alternativa’ a quella di Bonaccini, vissuto dai big come la peste. 

Quella, appunto, del buon Enzo Amendola, il quale, però, a tutt’oggi, ne è ancora ignaro. Nel senso che ancora non glielo hanno chiesto, i vari big dem, ma pare che puntino tutti su di lui: Franceschini, soprattutto, ma anche l’ala sinistra (Orlando, non Provenzano, che vuol lanciarsi lui, da solo, nella pugna, Zingaretti, Cuperlo, Bettini).

Le correnti unite contro il ‘papa straniero’…

L’alternativa’ a Bonaccini è, appunto, Amendola. Un nome che vedrebbe, per la prima volta, unirsi la sinistra interna (le aree Orlando-Cuperlo-Zingaretti-Bettini, tutti tranne Provenzano, che vuole e ambisce alla corsa ‘in solitaria’) unirsi alla ‘destra’ interna (aree Franceschini-Delrio) sbarrare il passo al ‘papa straniero’ Bonaccini. 

“E’ il solo che ci unisce tutti – dicono diversi big di Enzino Amendola – e che può fermare Bonaccini e impedire che il nostro Pd diventi una succursale di Iv di Renzi, che vuole rientrare per colonizzarci” dicono, assai spaventati, i big dem. 

Provenzano (candidato in pectore della sinistra, ndr.) non ha chanche, contro Bonaccini, che avrà l’appoggio di Base riformista”, cioè la corrente riformista guidata da Lotti e Guerini, è il refrain dei big – e volente o nolente, dovrà convergere su Enzo, il solo che ci può unire e può fermarlo”. Manco si trattasse dell’arrivo dei Lanzichenecchi, pronti a calare su Roma, o del ritorno dentro il Pd di Renzi in persona, storico bau-bau della sinistra e di un Pd che, oggi, si è allargato anche al Psi di Enzo Maraio e agli ex bersaniani di Art 1 che, guidati da Roberto Speranza, vivono la sola idea che i ‘renziani’ possano riprendersi il partito come una bestemmia o una catastrofe cosmica. ‘Renziani’ che tra ex ‘renziani’ veri (quelli di Br, sgominati all’atto di formazione delle liste, da Lotti in giù) a quelli presunti (Bonaccini, appunto per cui lavora lo stesso spin doctor di Renzi…) sono considerati come ‘il Nemico interno n. 1’. 

Il bello della Democrazia (interna). Le lunghe, complesse, procedure che portano a Congresso 

Tutto questo se, ovviamente, dopo il voto e dura sconfitta, Letta ‘molli’ la guida del Pd e si dimetta per aprire la via al congresso anticipato, con relative primarie. Ma qui va detto che il ‘processo’ per nominare un nuovo segretario dem è sempre lungo e tortuoso. 

Innanzitutto, ci può essere, nel mezzo, la figura di un segretario ‘reggente’ o ‘pro-tempore’. Ce ne sono stati, dal 2008 (anno primo del Pd), ben cinque: Franceschini nel 2009, dopo Veltroni, Epifani nel 2013, dopo Bersani, Orfini dopo il Renzi I, nel 2017, e Martina dopo il Renzi II, nel 2018. Traghettatori del partito fino al congresso. 

Inoltre, per addivenire a congresso – che, a scadenza naturale, si dovrebbe tenere nell’a oggi lontanissimo 2024 – bisogna mettere in moto la macchina del partito, organizzare il voto nei circoli (gli iscritti), poi indire e organizzare e fare le primarie, poi convalidare voti ed eletti (i delegati) in seno all’Assemblea nazionale, organo deputato, per statuto, a fare il segretario, oltre che ad eleggere un altro organo (Direzione). In buona sostanza, ci vuole il tempo che ci vuole e trattasi di un tempo ‘biblico’, stante i tempi – frenetici – della Politica attuale, che può variare dai sei mesi all’anno intero. Cioè tutto il 2023… Morale, qui ci si sta ‘portando avanti’ col lavoro: nuovi candidati potrebbero venire fuori, nel corso del pre-congresso, altri potrebbero ritirarsi, etc. Senza dire che Letta potrebbe, banalmente, ‘non’ dimettersi e quindi, staremmo parlando del nulla

I profili e le possibilità dei candidati più forti. Il campione dei riformisti, Stefano Bonaccini e il sindaco: Nardella o De Caro e forse un altro

Ma veniamo, a questo punto, ai nomi e ai profili. In tutto sono cinque i ‘candidati’ al ‘dopo-Letta’: Bonaccini, Nardella, De Caro, mister X (sindaco), e Enzo Amendola che però bisognerà convincere. Il primo è il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini: punta pure a fare un ticket (con una donna, ovviamente). E fin qua si sapeva. Non è una notizia. Lui non vede l’ora di lanciarsi. 

Base riformista, la corrente di Lotti&Guerini, è pronta ad appoggiarlo: lui gode di buoni consensi – nel mondo sindacale, imprenditoriale, sociale – e ‘lei’ (Br, l’acronimo più infelice nella lunga e tortuosa storia delle correnti dem) vanta uomini (e donne) radicate nei famosi ‘territori’. Al Nord (una lunga filiera di sindaci), al Centro (idem, per non dire della messe di consensi che porta in dote Bonaccini medesimo, lungo la ‘linea Gotica’) e anche al Sud (tra porta-voti e portaborse, ecco). 

Poi, c’è un sindaco forte e radicato a casa sua (Firenze e Toscana) che si sta muovendo molto, specie di recente, in campagna elettorale, e che – dicono già gli avversari, che non mancano – “va facendo campagna a sé, non per il partito”. Che, cioè, ‘smania’ per ritagliarsi un ruolo autonomo, fino all’autocandidatura a segretario del Pd. E’ Dario Nardella, sindaco di Firenze, che parla con il Papa come con Elon Musk e che, in teoria, ad oggi sta dentro Br, ma che vorrebbe tentare la corsa ‘in solitaria’. Più un altro sindaco, sempre dell’Italia centrale, che vuole scendere in pista, ma che, ad oggi, è ancora coperto da anonimato. 

Tentato, ma fuori gara, è l’attuale sindaco di Bari, nonché presidente dell’Anci, Antonio Decaro. Di cui – sempre i nemici interni – si dice che “mosso da ambizione smisurata ed ego ipertrofico pensa di poter fare qualsiasi cosa, compreso il Papa o il presidente della Russia o segretario dell’Onu…”. Ma Decaro – che pure un pensierino lo ha fatto, alla segreteria del Pd – punta altrove: a succedere alla presidenza della Regione Puglia, quando, tra due anni, Michele Emiliano, al secondo mandato, dovrà passare, per forza, la mano. Pensa di appoggiare il segretario dem che gli garantisca quella carica o un posto nell’Europarlamento, per il quale, a sua volta, si voterà il rinnovo nel 2024. 

Il ‘terzo uomo’ non candidato, Enzo Amendola 

Infine, e questa è la vera novità giornalistica, ecco il ‘terzo uomo’, che donne, al momento, zero, tranne una, l’ex ministra Paola De Micheli, ma che, nel caso, potrebbe fare ticket proprio con Amendola, portando in dote il mondo del ‘lettismo’ e l’imprimatur dello stesso Letta, forse. E’ un uomo di partito, ma soprattutto un uomo del Sud, elegante, gentile, ottimi studi, ottime relazioni (nel governo, di cui è sottosegretario, con il Colle, in Europa, etc.) e gran savoir faire. Solo che, prima, bisognerà pur convincerlo, Amendola, a ‘scendere in campo’. A ieri, ne era all’oscuro. Impegnato com’è nella difficile lotta da capolista alle Politiche in Lucania, dove lo ha paracadutato lo stesso Letta che, all’atto di formare le liste, lo aveva messo in una posizione di fatto ineleggibile in Campania (terzo nel listino) e lo ha recuperato causa forti pressioni e grazie la rinuncia del giovane lucano La Regina, per lo ‘scuorno’ di Provenzano che ne è il ‘papà’. 

Amendola, la campagna elettorale, in Lucania, se la fa da solo, non ha uno staff, corre a perdifiato da un paesino all’altro e proprio “non ci pensa”, dice chi lo conosce. Ma i big sono in pressing: “sarebbe il primo segretario meridionale del Pd, ma è l’unico digeribile al Nord, ha solidi rapporti con il Pse e la governance della Ue, con il Colle, farebbe opposizione seria, ma pacata, al governo delle destre, pronto a incunearsi nei suoi errori”. 

Se è per questo, Amendola ha molte altre qualità: cultura raffinata, savoir faire, viene dalla Fgci-SG e poi dal Pds-Ds. Insomma, è un uomo di sinistra, oltre che un tifoso, sfegatato, dell’Inter FC. Ora, non resta che dirglielo e convincerlo, a Enzo. Oltre che, si capisce, ritardare l’addio di Letta alla guida del Pd. Il quale, però, a oggi, non ha intenzione di mollare. Il ‘trono di Spade’, nel Pd, deve ancora iniziare.