Politica

Il senso del viaggio in America di Luigi Di Maio

20
Novembre 2017
Di Redazione

Photo/ Corriere della Sera

 

Fra le grandi manovre del M5S in vista delle politiche di marzo c’è anche il viaggio negli Stati Uniti dell’aspirante premier Luigi Di Maio. Al vicepresidente della Camera è spettato il doppio compito di provare a rilanciare la politica atlantista del Movimento e di accreditare oltreoceano una formazione considerata a lungo come l’emblema dell’antipolitica che fra qualche mese avrà l’occasione di conquistare Palazzo Chigi.

Quello dei Cinquestelle è in primo luogo il tentativo di scrollarsi di dosso l’ingombrante etichetta di forza apertamente filorussa, mettendo da parte i toni e le fantasie che ne hanno caratterizzato la prorompente ascesa politica in nome del più sano realismo e della maturità che dovrebbero ispirare chiunque ambisca a prendere in mano le redini del Paese. Di Maio ha comunque cercato di garantirsi un certo margine di autonomia nel momento in cui ha rivendicato la linea del Movimento su tematiche come Afghanistan (“Una missione da chiudere”) o difesa comune sotto l’egida Nato (“Investire in intelligence e tecnologia, più che in armi”). In tema di politica russa, il giovane leader ha spiegato che Mosca resta pur sempre un interlocutore storico e che il no alle sanzioni del suo partito dipende in primo luogo da un’analisi del loro impatto sugli interessi italiani.

L’impressione che si ricava dal viaggio americano del vicepresidente della Camera è che il M5S non sia ancora del tutto pronto a rinunciare alle relazioni intessute con esponenti del mondo russo. Il che, agli occhi di Washington, può costituire un limite. Persino il presidente Trump, che pure si era speso in campagna elettorale per un reset dei rapporti con Mosca, alla prova dei fatti non ha potuto nulla per piegare la ferma opposizione degli apparati che reggono e orientano la politica americana, come Pentagono, burocrazia e agenzie federali. Nella capitale americana il vicepresidente della Camera si è mosso con l’ambasciatore d’Italia Armando Varricchio e ha organizzato l’incontro più importante con il vice assistente del segretario di Stato con delega su Europa ed Eurasia, Conrad Tribble. Sul tavolo alcune delle tematiche più sentite degli ultimi mesi come rapporti con l’Europa, euro, elezioni e banche e la promessa che l’Italia non cadrà nel caos con un governo M5S.

Evidentemente troppo poco per gli strateghi della politica estera americana, se è vero che a detta dell’ex direttore del Consiglio per la sicurezza nazionale di Obama, Charles Kupchan, “Washington ritiene che l’Italia sarebbe meglio servita da un governo di centrosinistra o centrodestra, piuttosto che dal M5S”. Il voto in Sicilia ha confermato che per gli Usa la priorità è la stabilità del sistema politico italiano, magari sotto l’egida di un governo guidato da un ex alleato di ferro come Silvio Berlusconi.

 

Alberto De Sanctis