Politica

Il governo alla prova di giustizia ed economia

03
Novembre 2025
Di Beatrice Telesio di Toritto

Negli ultimi giorni il dibattito politico italiano si è riacceso attorno a due temi centrali per l’equilibrio istituzionale ed economico del Paese: la riforma della giustizia e il peso crescente della pressione fiscale. Due questioni apparentemente distinte, ma che in realtà si intrecciano in un quadro politico segnato da polarizzazione, da un lato, e da una rinnovata attenzione ai vincoli europei e alle sfide internazionali, dall’altro.

La riforma della giustizia, approvata in via definitiva dal Senato il 30 ottobre, rappresenta uno dei passaggi più significativi del governo Meloni dall’inizio della legislatura. La norma introduce la separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, un tema che da decenni divide la politica italiana e che tocca il cuore stesso dell’equilibrio tra poteri dello Stato. Il governo ha definito la riforma un «traguardo storico», sottolineando la volontà di modernizzare il sistema e di renderlo più trasparente, riducendo — nelle intenzioni dell’esecutivo — il rischio di commistioni tra la funzione inquirente e quella giudicante. Le opposizioni, al contrario, hanno denunciato un rischio di compromissione dell’indipendenza della magistratura, accusando l’esecutivo di voler indebolire un pilastro costituzionale e di spingere verso una deriva di tipo politico-giudiziario. È in questa dialettica, fortemente polarizzata, che si inserisce anche l’annuncio del referendum confermativo, che aprirà nei prossimi mesi una fase di campagna e di confronto pubblico destinata a segnare la scena politica del 2026.

Sul piano economico, i dati diffusi da Eurostat offrono un’altra chiave di lettura del momento politico: l’Italia è salita dal settimo al sesto posto tra i Paesi dell’Unione Europea per livello di pressione fiscale, e dal quinto al quarto nell’area euro. Un avanzamento che non è certo motivo d’orgoglio, perché evidenzia quanto il peso del fisco continui a gravare su imprese e cittadini. Il dato riporta al centro del dibattito una questione storica e mai risolta: l’equilibrio tra sostenibilità dei conti pubblici e competitività economica. La pressione fiscale elevata, infatti, rischia di alimentare tensioni sociali e di diventare terreno di scontro politico, con il governo impegnato a difendere la propria linea di rigore e l’opposizione pronta a rivendicare la necessità di alleggerire il carico su lavoratori e famiglie. È verosimile che, nei mesi a venire, la politica economica dell’esecutivo — già condizionata dal percorso del PNRR e dai vincoli europei — debba confrontarsi con una crescente richiesta di “respiro” fiscale e redistributivo.

In questo scenario interno, anche il contesto internazionale contribuisce a definire la cornice politica complessiva. Le prime pagine dei principali quotidiani europei, il 31 ottobre, fotografano un’Europa attraversata da incertezze: la crescita resta stagnante in Italia e in Germania, mentre le prospettive dell’Unione appaiono fragili, schiacciate tra le tensioni geopolitiche globali e la necessità di mantenere coesione economica e istituzionale. A livello globale, la rivalità tra Stati Uniti e Cina sul commercio delle terre rare e dei semiconduttori è divenuta uno dei nuovi terreni di confronto strategico, con ricadute dirette anche sulle economie europee e, di riflesso, sulla capacità dell’Italia di orientare la propria politica industriale e tecnologica.

L’Italia appare così stretta tra ambizione riformatrice e realtà economica: la prima alimenta la narrativa di un governo deciso a lasciare il segno; la seconda impone prudenza e compromessi, perché ogni passo in avanti rischia di scontrarsi con vincoli europei, bilanci pubblici rigidi e una crescita che fatica a ripartire. In mezzo, un’opinione pubblica, che guarda attenta sia alle grandi riforme istituzionali sia alle promesse di alleggerimento fiscale.

In questo equilibrio, la sfida per l’esecutivo non è più soltanto politica, ma di credibilità. La capacità di tradurre i successi parlamentari in risultati tangibili determinerà non solo la tenuta del governo, ma anche la qualità del confronto democratico nei prossimi mesi. Perché la vera partita, al di là dei referendum e delle statistiche, resta quella tra fiducia e disincanto: la misura con cui la politica saprà dimostrare che il cambiamento non è solo un titolo da prima pagina, ma un percorso di trasformazione reale e condivisa.