Politica

Elezioni a Roma: candidarsi o non candidarsi? Amleto-Zingaretti ha cambiato idea di nuovo…Gualtieri è pronto, ma il Pd rischia grosso

08
Maggio 2021
Di Ettore Maria Colombo

“Il principe Amleto? Ha cambiato idea di nuovo”…

“Il Principe Amleto (alias Nicola Zingaretti, ndr.) ha cambiato idea di nuovo”, sbotta un big dem ieri sera, verso l’ora di cena. Essì, perché, infatti, questa sarebbe la novità dell’ultima ora: avrebbe deciso di non candidarsi più a sindaco di Roma, l’attuale governatore ed ex segretario dem. Sarebbe preoccupato, Zingaretti, per i dossier ‘avvelenati’ che l’attuale sindaca, Virginia Raggi – la quale gode dell’appoggio di Casaleggio jr, che gli ha già messo a disposizione la piattaforma Rousseau, come pure della base grillina dura e pura capeggiata da Lezzi, Toninelli e Di Battista – già promette – o, meglio, minaccia – di sfornare contro la sua gestione del Lazio (Concorsopoli in Regione, persino la gestione dei rifiuti, vecchie inchieste giudiziarie pendenti e finite ‘inguattate’ nel ‘porto delle nebbie’, alias la Procura di Roma, etc.). In tal modo la campagna elettorale finirebbe per ‘sporcare di fango’ una persona mite come lui e, soprattutto, osannato dai suoi concittadini per come il Lazio ha affrontato bene la pandemia.

Zingaretti teme gli ‘schizzi di fango’ della Raggi

Ora, al di la del fatto, puro e semplice, che Zingaretti è sempre uscito pulito, lindo e immacolato, da ogni inchiesta giudiziaria che lo ha anche solo lontanamente sfiorato, resta il carattere dell’uomo che non è un cuor di leone. Infine, ci sarebbero i classici ‘motivi personali’: l’ostilità della famiglia, le preoccupazioni per cinque anni da far tremare i polsi guidando Roma e pure – why not? – la voglia di un futuro sereno, lontano dai guai – come è stato in Provincia prima e in Regione poi – e anche dai riflettori. Del resto, leggenda vuole anche che ‘Zinga’ regga male, e a fatica, l’impegno politico in sé: non voleva candidarsi neppure a segretario del Pd (glielo impose, di fatto, il suo mentore, Bettini) e, pochi mesi dopo, già ne era così pentito che aveva già scritto diverse lettere di dimissioni che, alla fine, dopo due anni di nervi e amarezze, come si sa sono arrivate, a febbraio del 2021, cioè a stretto ridosso la nascita del governo Draghi.

Il Nazareno, il Pd locale e laziale, in ambasce

E così, non solo il Nazareno, ma anche il Pd locale, quello romano e laziale, torna in ambasce. Un Pd tutto speciale e particolare, quello romano e lazione: discende direttamente dai lombi del Pci che fu, da una parte, e in epoca post-comunista, era un Pds-Ds di chiara schiatta dalemiana e poi orfiniana rappresentata da Claudio Mancini. E, in parte, invece, qui il Pd si è innestato con gli ex dc (Bruno Astorre, segretario del Pd provinciale, e Andrea Casu, segretario del Pd romano) che, però, sono di rito franceschiano, dopo aver messo ai margini ex PPI del calibro di Beppe Fioroni, e alla cui opposizione c’è una sola, e indomita, parlamentare, la deputata Patrizia Prestipino, storica ex renziana e, oggi, in Base riformista.

Un demi monde, che ha sempre spadroneggiato, in Comune – sotto il lungo regno democrat della triade di sindaci Rutelli-Veltroni-Marino – come pure in Regione (da Badaloni a Marrazzo fino, appunto, al regno di Zingaretti, l’unico di peso) e il cui eterno dominus è e resta Goffredo Bettini.

Un mondo fatto di una serie di personaggi non di primo piano ma forti di voti, posti e relazioni. In testa a tutti c’è proprio Mancini, cioè il vero ‘imprenditore’ e factotum politico della candidatura dell’ex ministro all’Economia (ed ex storico), Roberto Gualtieri, insieme a Bettini.

“Arieccolo!”. Torna Gualtieri, l’eterno candidato a sindaco…

E così, come nel gioco dell’oca, si torna dal via, e cioè a Gualtieri, l’eterno candidato a sindaco, nel senso che della sua candidatura si parla da mesi, una sorta di ‘arieccolo!” di fanfaniana memoria. Lui “è pronto e non vede l’ora”, ripetono i suoi, ma ne ha dovuta mangiare di polvere, fino a ieri. Prima è stato stoppato da Letta in persona, che si trovò la grana della sua autocandidatura scoppiargli tra i piedi appena fu eletto segretario e che, quella scelta, non la prese mica tanto bene. Poi dalle lungaggini per approvare il regolamento delle primarie (si terranno, se tutto va bene, il 20 giugno, l’ultimo tavolo è stato indetto ieri notte) per stabilire le famose ‘regole’ delle primarie medesime. In buona sostanza, si voterà per lo più nei seggi on-line e, poco, nei gazebo messi all’aperto, voto aperto ai 16 enni e agli immigrati con permesso di soggiorno: obiettivo, circa10 mila seggi e 100 mila votanti. Come pure i confini della coalizione di centrosinistra – che andrà dalla sinistra radicale fino alla comunità di Sant’Egidio, passando per la società civile e i Municipi, e la Carta dei valori. Infine, appunto, Gualtieri è rimasto schiacciato, bloccato, imbalsamato, dalla indecisione del ‘principe Amleto’ su cui è tornato fortissimo, in queste ultime settimane, il pressing del Nazareno. Tanto che il povero Gualtieri ha, da settimane, prenotato la canonica intervista a Repubblica per auto-lanciarsi e continua a tenerla nel cassetto, ma, entro domani, potrebbe finalmente uscire. “Roberto è molto più forte di quanto voi crediate. Vedrete, sarà una sorpresa e diventerà sindaco” garantisce il fronte dei suoi supporter e fa buon viso al cattivo gioco anche il Nazareno, parlando di lui come “ottimi nomi e tutti molto spendibili”.

Ma la competizione a Roma sarà durissima e Gualtieri potrebbe non arrivare al ballottaggio

Sarà. Certo è che se davvero Nicola Zingaretti, nonostante il fortissimo pressing del Nazareno, dal segretario Enrico Letta in giù, passando per il responsabile e plenipotenziario sugli Enti locali, Francesco Boccia, fino alla Segreteria, dovesse gettare la spugna e restare dov’è, e cioè in Regione, fino al 2023 – quando potrebbe, finito il mandato, candidarsi per un seggio alle Politiche e diventare, a quel punto, un vero ‘senatore’ del Pd, nel senso tecnico e traslato del termine – la scelta di Gualtieri, che in ogni caso dovrebbe affrontare le forche caudine delle primarie, verrebbe vissuta, da molti dem, come un ripiego.

E, in una competizione serrata, dura, pesante, come quella che vede la sindaca, Virginia Raggi, già in campo e in giro per la città (nelle periferie, che sta girando da mesi come una trottola, pare che goda di ampi consensi), oltre che sostenuta da Casaleggio jr, da Rousseau, da Di Battista e, quasi sicuramente, da almeno due liste civiche. Come pure è in campo il centrista Carlo Calenda che, da leader di un partito assai piccolo (Azione) ha poche chanche, ma che, a sua volta, è in città a girarla da diversi mesi e, al netto degli sfottò che subisce in quanto ‘pariolino’ che scopre il Tufello nelle periferie ci va a sua volta, a farsi conoscere.

Morale, Gualtieri rischia di non arrivarci neppure, al quasi sicuro ballottaggio o secondo turno che, senza Zingaretti, sicuramente si prospetta, a Roma. Vero è, infatti, che il centrodestra – che parte, sulla carta, da almeno il 30% dei consensi con la Raggi ferma intorno al 10-15% – è, ad oggi, orba di candidato, ma se dovesse appena appena trovarne uno di livello tornerebbe in pista. Intanto, dopo la rinuncia di Guido Bertolaso, gira forte il nome dell’esponente di FdI, nonché vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, noto e apprezzato, in città, per le sue battaglie, mentre assai più deboli sono gli altri nomi (Francesco Giro e Maurizio Gasparri). Il rischio clamoroso, dunque, per il centrosinistra potrebbe anche essere quello di mancarlo, il ballottaggio.

I dubbi amletici che attanagliano Zingaretti

Ma proprio in base all’assioma di un big dem, che dice una ovvietà, e cioè che “Enrico (Lettandr.) può permettersi molte cose, tipo perdere diverse città, ma non può permettersi di perdere Roma”, il Nazareno spinge, da settimane, al contrario, affinché Zingaretti sciolga la riserva e si candidi a sindaco di Roma. Ma Zinga, oggi più di ieri, recalcitra, non si fida, non è convinto, è incerto.

Il problema non è solo quello di lasciare a metà il lavoro fatto dal governatore in regione Lazio, specie sul fronte del piano vaccinale e sanitario. Né i dubbi amletici sulla sua discesa in campo, Zingaretti li nutre per i sondaggi (vincerebbe in pratica, e largamente, contro ogni avversario, Raggi in testa, e pure ‘mister X’ di centrodestra) e neppure per il timing delle eventuali dimissioni da governatore. “Checché ne dicano Calenda, Gasparri e altri, che neppure conoscono la legge, non vi è alcuna incompatibilità nella corsa a sindaco” – spiegano, giustamente, dal Nazareno – “Nicola si può dimettere anche l’ultimo giorno utile”. Resterebbe un tema di opportunità politica, certo, e cioè dimissioni troppo a ridosso della campagna elettorale per la corsa a sindaco, con il rischio di confondere l’elettore: “andate uniti in Regione, siete divisi a Roma”, sarebbe lo slogan facile che gli rinfaccerebbero tutti gli avversari.

Il difficile ‘gioco a incastro’ tra Pd e 5Stelle

In effetti, il gioco a incastro del Pd con l’alleato M5s è di non facile soluzione: il problema, in ogni caso, non è quando far votare il Lazio. Di certo, non subito, ad ottobre, ma in ogni caso in via anticipata. Poi, che sia a dicembre del 2021 o, con la scusa della necessità di approvare il bilancio della Regione, anche a febbraio 2022, si vedrà. Il problema, per Zingaretti e Letta come per Conte e Di Maio – che trattano su questo per il ‘paso doble’ comune-Regione come su Napoli – è chi candidare a governatore in base al patto che, da tre mesi, regge la Regione, quello tra Pd-M5s-LeU: un esponente dei 5Stelle (la Lombardi) o del Pd (l’assessore alla Sanità D’Amato)? Ma, come si diceva all’inizio, il vero timore di Zinga – come dimostrano le righe al vetriolo vergate ieri da Marco Travaglio sul Fatto quotidiano – è di finire in mezzo a qualche ‘macchina del fango’ che lo stritoli, lo macchi e ne spezzi deboli nervi. Ecco il perché si fa già ‘largo a Gualtieri’. Volente o nolente, il Nazareno gli tirerà la volata.

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