Politica

Declino a 5Stelle. Un MoVimento sempre più debole minaccia Draghi

25
Maggio 2022
Di Ettore Maria Colombo

L’ultimo abbandono polemico, Giarrusso

Con l’abbandono della ex Iena Dino Giarrusso, notizia fresca fresca di ieri mattina, fa sette. Dal 2019 sono già a quota sette (su 14) gli europarlamentari che hanno abbandonato l’M5s dal giorno della loro proclamazione al Parlamento Ue. La metà esatta. Una vera ecatombe, senza dire che il gruppo pentastellato, a Strasburgo, vegeta nel gruppo Misto, ha perso tutte le cariche (la vicepresidenza del Parlamento che era affidata a Fabio Massimo Castaldo, non rinnovato a gennaio, dopo tre anni di guida ininterrotta) e, in buona sostanza, a Bruxelles conta meno di zero.

Ma il ‘caso Giarrusso’, che ha annunciato il suo abbandono in diretta tv, dagli studi di Coffee break (la 7), forse per non smentire i suoi trascorsi di show man, è già montato a dovere, tra montagne di fiele, accuse e controaccuse. Giarrusso, infatti, non solo annuncia la nascita di un ‘nuovo’ Movimento politico composto da altrettanti fuoriusciti dal Movimento (il suo obiettivo è di candidarsi alle Regionali in Sicilia a ottobre, tanto per togliere un po’ di voti al M5s) e che aspira – e lo dice pure – alla “notorietà di un altro celebre fuoriuscito, Alessandro Di Battista”, e, come quello, vuole mettersi all’opposizione di Draghi, ma cerca anche di blandire Conte, nonostante lo ‘strappo’ appena consumato. Pochi giorni fa aveva denunciato “il cerchio tragico” intorno a lui, ma ora sperava di rompere in modo soft dicendo che prova per l’ex premier, “il migliore degli ultimi 20 anni, grandissima stima”.

La replica di Conte: “voleva solo poltrone”

Solo che Giuseppe Conte, alle blandizie, reagisce malissimo, con una stilettata al cuore: “Giarrusso l’ho incontrato spesso, anche di domenica, e mi ha sempre parlato e chiesto poltrone, vicepresidenze, posizioni, delegati territoriali. Non ho mai avvertito dissenso politico. Ora gli chiediamo coerenza, chi lascia il Movimento deve lasciare i suoi incarichi che ha grazie a noi. Il suo ruolo in Europarlamento è per noi strategico”. E poi, sulla fondazione da parte dell’ex Iena di un nuovo partito, aggiunge: “È un elemento di chiarezza. Già riceviamo numerosi attacchi dall’esterno, abbiamo bisogno di persone che dall’interno non lavorino per danneggiare il Movimento”. Perplesso dalla scelta di Giarrusso anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: “Se qualcuno non è d’accordo su qualcosa può restare nel Movimento e portare avanti le sue idee. Chi se ne va di fatto non cambia nulla, nel partito”. E dato che anche il gruppo M5s all’Europarlamento chiede a Giarrusso di dimettersi, ricordando i suoi vecchi post (“Chi cambia casacca lasci la poltrona”), i toni trascendono subito. La ex Iena replica parlando di “bugie di Conte, parole false e diffamatorie di un leader circondato solo da yes man cui chiesi solo di votare gli organigrammi” e di “un partito che ha tradito i suoi valori ed è comandato da un piccolo gruppo che isola i non allineati”. Insomma, un’altra ferita e sfregio dentro un M5s ormai ridotto ai minimi termini e che si aggira sul ring come un pugile suonato.

Il record. In tre anni 102 i parlamentari persi

Scendendo nei numeri del Parlamento italiano, gli abbandoni nel gruppo M5s sono impressionanti: i deputati oggi sono 155 e gli abbandoni sono stati 66 (erano 221 al momento della proclamazione degli eletti nel 2018, a inizio della legislatura) mentre al Senato oggi sono rimasti 72 senatori con 36 abbandoni (erano 108 a inizio legislatura), quindi il M5s ha perso, in totale, 102 parlamentari (erano 340 a inizio legislatura), una ecatombe.

Per lo più sono andati nel Misto (60 alla Camera e 29 al Senato), ma hanno anche formato gruppi nuovi e tutti oggi all’opposizione del governo Draghi: i 13 senatori di Cal-Pc-Idv al Senato e 15 deputati di Alternativa alla Camera, ma sono finiti ovunque, dal Pd a Iv, fino a Lega, FI e FdI.

Alle prossime politiche al massimo saranno 70

Il problema, però, è che, anche con numeri diventati così bassi ed esangui, sono sempre ‘troppi’, in vista delle prossime elezioni politiche.

Nel 2018 il M5s, con il 32% dei voti, portò in Parlamento 226 deputati e 112 senatori (calcolo complicato, rispetto ai numeri citati sopra, che 5 deputati e 4 senatori furono ‘espulsi’ dal M5s prima ancora di essere eletti, in campagna elettorale ma risultavano formalmente eletti 5s), un exploit che raddoppiava il numero degli eletti del 2013, quando il Movimento prese il 25%. Numeri oggi improponibili da poter riconfermare. Sia per la riforma costituzionale voluta proprio dal M5s, che porterà il Parlamento dagli attuali 945 seggi a soli 600 (i numeri degli eletti, cioè, diminuiranno per tutti) sia perché la media dei vari istituti di sondaggi colloca il M5s al 13-15%.

E se è vero che, oggi i parlamentari sono solo 227 (l’ultimo espulso è l’ormai ex presidente della commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli), rispetto ai 338 che staccarono il biglietto per il Palazzo nel 2018, con le percentuali attuali è difficile immaginare che il M5s riesca ad eleggere più di 60-70 parlamentari. Un numero esiguo e che, comunque, necessiterà dell’ovvio ‘ricambio’ che chiederà Conte per eleggere uomini e donne a lui più vicine (i cinque vicepresidenti di Conte, Rocco Casalino, le ex sindache Raggi e Appendino), oltre a figure della società civile (il diplomatico Benassi, il sociologo De Masi, etc).

Il tetto dei due mandati e il tema delle deroghe

Inoltre, c’è il ‘tema dei temi’, il tetto dei due mandati, previsto dallo Statuto del Movimento e che almeno il Garante, Beppe Grillo, è assai restio a toccare. Le soluzioni in vista sono due.

Alcune, limitate, ‘deroghe’ per personalità di peso e rilievo (il presidente della Camera Fico, il ministro degli Esteri Di Maio, la vicepresidente del Senato Taverna, l’ex capo politico Crimi, il capodelegazione al governo Patuanelli, etc.) e la possibilità della ‘deroga’ al tetto dei due mandati tramite la possibilità di candidarsi alle Regionali (cariche di governatore, consigliere) e Comunali (idem) pur avendo già svolto due legislature.

Basterà per tacitare i tanti appetiti degli esclusi? Difficile a dirsi, ancora meno a farsi. Certo, con una legge elettorale di tipo proporzionale, il problema sarebbe meno drastico e drammatico, ma se restasse il Rosatellum, che prevede il 37% di collegi uninominali, per quella quota parte bisognerà trattare soprattutto con il Pd perché i collegi ‘sicuri’, per il Movimento (tranne, in parte, la Campania e la Sicilia) saranno ben pochi e dovrà essere il Pd a farsene carico, nel Centro-Nord, il che – allo stato – non pare impresa facile.

Alle Comunali la lista M5s c’è solo in 64 centri

Del resto, che il Movimento sia sempre più debole ed esangue lo dimostrano anche le liste presentate nei Comuni alle prossime Comunali. Il numero dei comuni al voto in cui il M5s si presenta è ridicolo per quanto è basso: solo il 6,5% (64 comuni su 978 che vanno al voto).

Nel 2021, primo anno dell’era Conte, era del 38% (103 comuni). Il M5s corre solo in 18 capoluoghi di Provincia su 26 al voto. Non è presente in città come Belluno, Como, Lucca, Monza, Oristano, Parma (dove vinse il suo primo sindaco, Pizzarotti, uno dei primi espulsi dal Movimento), Rieti e Verona. La presenza di liste M5s è discreta in Lombardia (12 comuni), Puglia (11), ma ce ne sono solo 4 in Sicilia (Palermo, Messina, Erice e Scicli) e zero in Sardegna, regioni dove il M5s aveva preso il 48% e il 42%, e solo 6 in Campania, altra storica roccaforte, mentre in quasi tutte le altre Regioni sono solo 2.

Il crollo dei militanti e lo spettro delle cause

Problema nel problema è il numero dei militanti. Della struttura territoriale, i Meet up, che accompagna il Movimento dalla sua nascita, nel 2005, è rimasto ben poco. Nel 2015 i Meet up erano 1275, oggi sono appena 195. I membri (negli altri partiti si chiamerebbe ‘iscritti’) sono 64.235 contro i 167.007 del 20215. Solo negli ultimi giorni il saldo negativo è di meno 500… Un dato agghiacciante. Conte promette un tour nelle città al voto, ma tutti dicono sia ‘imminente’ eppure non è ancora partito. La nuova rete territoriale del Movimento con referenti regionali e provinciali ancora non si vede. La causa legale, aperta da alcuni ex iscritti al Tribunale di Napoli, pende come una spada di Damocle e rischia di invalidare tutte le nuove nomine volute da Conte a colpi di ricorsi e controricorsi lunghi e dispendiosi. Solo il nuovo simbolo (“Conte” la scritta in cerchio giallo e una pennellata di verde) è pronto ma non sarà svelato prima di altri mesi.

La politica. Cresce la voglia di strappo…

Infine, c’è la politica. Persa la battaglia sul nuovo invio di armi all’Ucraina e sulla richiesta di avere Draghi a riferire in Aula prima del Consiglio Ue che si terrà il 30/31 maggio (Draghi, se andrà, non si presenterà prima di metà giugno), per poter ottenere un voto parlamentare che non ci sarà, votate – senza colpo ferire – le modifiche alla riforma del ddl concorrenza (balneari e non solo) e ddl fiscale (catasto e non solo), dove la parte del leone l’ha giocata il centrodestra e la parte dell’alfiere di Draghi l’ha impersonata, al solito, il Pd, continuano a serpeggiare malumori e ‘tentazioni’ di rompere con la maggioranza.

L’ultima spiaggia è il dl Aiuti, che contiene le norme sulla nascita di un nuovo inceneritore a Roma che l’M5s avversa. Se ci sarà la fiducia, il M5s minaccia di non votare il decreto, ma anche se lo facesse una crisi di governo su una materia così tecnica sarebbe ridicola. Ma i contiani restano sul piede di guerra. “Se non c’è rispetto verso il M5S, che è la prima forza di maggioranza, dovrà aprirsi una riflessione seria sulla nostra lealtà al governo, sul nostro sostegno”, mette a verbale Gianluca Ferrara, vice-capogruppo del M5s in Senato, silurato – insieme al contiano Licheri – per la presidenza della commissione Esteri. Molti evocano lo strappo e si chiedono “che senso ha restare così al governo?”. Per ora, è Conte a frenare, sulla crisi, ma a Campo Marzio, sede del partito, si sta rispolverando l’antica formula dell’appoggio esterno, che fa tanto sapore di Prima Repubblica, mentre dai territori si chiede di ‘staccare la spina’ e basta. Il dl Aiuti e l’inceneritore a Roma è ritenuto, paradossalmente, la nuova ‘linea rossa’, ma la conta è rimandata a dopo le Amministrative quando, peraltro, arriverà la nuova batosta elettorale. Nuovo nome, nuovo simbolo, magari da testare alle Regionali in Sicilia, sono pronti e si prevede una nuova votazione on-line tra iscritti per cercare di invertire la rotta a un Movimento ormai declinante che va incontro al suo Destino.