Politica

Cosa hanno detto Di Maio e Guerini in Parlamento sull’Afghanistan

07
Settembre 2021
Di Redazione

MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ONOREVOLE DI MAIO

"Signora Presidente, senatrici e senatori, dopo aver aggiornato il Copasir e le Commissioni esteri e difesa, ritengo fondamentale continuare insieme al ministro Guerini in quest'Aula un intenso e proficuo dialogo con il Parlamento. Prima ancora che come parlamentari o membri del Governo, quanto sta accadendo in Afghanistan, ci chiama in causa come donne e uomini. Le immagini strazianti dei profughi e le aspettative di pace e sviluppo di un intero popolo ribaltate in pochi giorni non ci lasciano indifferenti. Non ci lascia certo indifferenti la prospettiva che i progressi faticosamente raggiunti in vent'anni, soprattutto per le donne, possano essere cancellati. Lavoriamo perché ciò non avvenga rimanendo al fianco del popolo afgano.

Questa crisi ripropone l'esigenza di un multilateralismo più efficace ed inclusivo e al tempo stesso la necessità di una forte coesione europea e di un'autonomia strategica e operativa dell'Unione nell'alveo delle nostre consolidate alleanze in piena sinergia con i partner.

La risposta agli eventi delle ultime settimane in Afghanistan ha richiesto sin da subito uno sforzo di coordinamento internazionale senza precedenti. Sicurezza, gestione dei flussi migratori, contrasto al terrorismo e narcotraffico, assistenza umanitaria e tutela dei diritti universali, sono sfide che possono essere affrontate solo con un approccio a più dimensioni. Da settimane siamo in costante contatto con i principali interlocutori internazionali utilizzando tutti i formati disponibili, dall'Unione europea al G7, dalla NATO alle Nazioni unite. È prevista domani una nuova riunione a livello ministeriale con un formato ampiamente inclusivo copresieduta dal segretario di Stato Blinken.

Anche a livello bilaterale i contatti sono continui del presidente Draghi e i miei. Oltre che con i colleghi europei, ho avuto nelle ultime settimane colloqui telefonici e incontri anche con i miei omologhi di Stati Uniti, Russia, Cina, Canada e India.

Poche ore fa sono rientrato da una missione nella Regione, che mi ha portato in Uzbekistan, Tagikistan, Qatar e Pakistan. Con i vari interlocutori ho discusso della stabilità regionale, contrasto al terrorismo e lotta al traffico di droga. Abbiamo deciso di sviluppare una collaborazione bilaterale su due fronti: maggiore sinergia tra le nostre intelligence e assistenza umanitaria ai rifugiati, con l'obiettivo di costruire un percorso comune per proteggere la popolazione civile e i soggetti più vulnerabili. Nei prossimi giorni avvieremo i necessari contatti operativi.

Crediamo nella necessità di coinvolgere tutti gli attori internazionali che possano contribuire alla definizione di una strategia sostenibile nei confronti dell'Afghanistan. Come Presidenza di turno abbiamo proposto la piattaforma del G20, più ampia e inclusiva, per affrontare le principali sfide del dossier afgano. Stiamo verificando condizioni, modalità e tempistiche per un vertice straordinario dedicato all'Afghanistan che potrebbe essere preceduto da riunioni preparatorie dei Ministri degli esteri.

L'importanza di un coinvolgimento del G20 è stata riconosciuta anche nella riunione informale dei Ministri degli esteri dell'Unione europea cui ho partecipato la settimana scorsa in Slovenia. Una settimana fa si è chiusa la prima fase, quella emergenziale, in risposta ad un succedersi degli eventi ben più rapido di quanto l'intera comunità internazionale avesse previsto. La priorità è stata l'evacuazione: nel giro di pochi giorni abbiamo messo in salvo e trasferito in Italia 5.011 persone, di cui 4.890 afghani, più della metà donne e bambini, tra quanti hanno collaborato con le istituzioni italiane e appartengo a categorie vulnerabili. Il ponte aereo ininterrotto realizzato grazie alla sinergia fra tutti gli alleati ha consentito di far uscire dall'Afghanistan complessivamente oltre 120.000 persone, compresi interi nuclei familiari. L'Italia, tra i Paesi europei, ha evacuato il maggior numero di cittadini afghani. Il ministro Guerini potrà fornire maggiori dettagli, lasciatemi però ribadire la profonda gratitudine di noi tutti alle Forze armate, al corpo diplomatico e all'intelligence.

Il successo di un'operazione condotta contro il tempo e in condizioni estreme è frutto di uno stretto coordinamento tra i comparti esteri, difesa e intelligence, dell'impegno instancabile e coraggioso dei nostri diplomatici, militari, della collaborazione con le organizzazioni della società civile, ma anche del sostegno dei nostri partnerregionali internazionali, in primo luogo Stati Uniti, Qatar, Kuwait, Pakistan, che non hanno esitato ad attivare procedure straordinarie per aiutarci. A questi Paesi e a questi Governi esprimiamo sincera riconoscenza.

Conclusa l'emergenza, abbiamo ora avviato una fase nuova di pianificazione e gestione della crisi. L'Italia continuerà ad aiutare gli afghani che intendano lasciare il Paese e ne abbiano titolo. Le operazioni dovranno naturalmente essere condotte in modo diverso, data la partenza definitiva dei contingenti militari e la chiusura allo stato attuale della nostra ambasciata a Kabul. Ci stiamo muovendo su più fronti: da un lato lavoriamo con i Paesi che collaboreranno per la futura gestione dell'aeroporto di Kabul, in particolare Qatar e Turchia; il Ministro degli esteri qatarino mi ha aggiornato sulla assistenza tecnica fornita per il ripristino dell'operatività dello scalo, già da qualche giorno sono stati riavviati i voli interni. Il Ministro si è anche mostrato fiducioso sul ripristino delle condizioni di sicurezza dell'aeroporto. Dall'altro lato, stiamo interagendo con i Paesi limitrofi per l'individuazione di percorsi umanitari che consentano l'espatrio per quanti arrivano dall'Afghanistan via terra.

Oltre al tema delle evacuazioni, il confronto multilaterale prosegue su base quotidiana con riunioni a livello politico e tecnico su altri fondamentali profili, in primo luogo sulla presenza diplomatica a Kabul dopo la chiusura temporanea della maggior parte delle ambasciate. Ora abbiamo deciso di trasferire la nostra ambasciata a Doha come ufficio diplomatico, in linea con quanto facendo altri Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Canada e in prospettiva Olanda e Spagna.

Ho avuto modo di parlare con il mio omologo qatarino, che ha confermato massima collaborazione. Ci sembra un'opzione efficace perché consente contatti con potenziali interlocutori, con i Paesi dell'area e con i nostri partner che hanno già dislocato in Qatar i propri punti di rappresentanza competenti per l'Afghanistan. Stiamo anche riflettendo sulla creazione di una presenza congiunta in Afghanistan, un nucleo formato da funzionari di più Paesi sotto l'ombrello dell'Unione europea o eventualmente delle Nazioni Unite, con funzioni prevalentemente consolari e che serva da punto di contatto immediato. Si tratterebbe di una soluzione innovativa, per la quale sarà necessario un efficace coordinamento preventivo sia per gli aspetti di sicurezza, sia per la necessità di definire un mandato chiaro. Qualunque modalità prescelta dovrà in ogni caso essere inclusiva, condivisa con tutti i Paesi potenzialmente interessati a contribuire.

Il secondo tema al centro del coordinamento internazionale riguarda l'atteggiamento da mantenere nei confronti dei talebani e più in generale della futura dirigenza afghana. L'approccio dell'Italia si inserisce anzitutto nel solco di un'impostazione condivisa a livello europeo, ne abbiamo discusso la scorsa settimana nella riunione informale dei Ministri degli esteri dell'Unione in Slovenia. Per poter proseguire nel nostro sostegno al popolo afghano, abbiamo convenuto che i talebani vanno giudicati sulla base delle loro azioni e non delle dichiarazioni, azioni che intendiamo misurare in base a cinque parametri.

Uno: il ripudio del terrorismo e la cooperazione del contrasto al narcotraffico. Due: il rispetto dei diritti umani (in particolare di donne e minoranze), dello Stato di diritto e della libertà dei media. Tre: l'istituzione di un Governo inclusivo e rappresentativo. Quattro: la garanzia di incondizionato e sicuro accesso umanitario per le organizzazioni internazionali, in particolare delle Nazioni Unite. Cinque: il rispetto dell'impegno assunto, volto ad assicurare il libero passaggio a coloro che intendano lasciare il Paese, in linea con la risoluzione n. 2593, approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 30 agosto.

Si tratta di concetti che trovano ampia condivisione anche nei Paesi che ho visitato in questi giorni. Certo, ciò che stiamo vedendo in Afghanistan in queste ore non è affatto incoraggiante. Sulla base di queste condizioni fondamentali, il nostro approccio deve unire al pragmatismo sul piano operativo la fermezza sui principi. Vigilare sul rispetto di queste condizioni e calibrare, di conseguenza, il nostro comune atteggiamento nei confronti delle autorità afghane ci consentirà anche di utilizzare efficacemente le leve di cui disponiamo nei loro confronti.

Una delle leve più importanti a disposizione è l'assistenza economico-finanziaria. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l'Unione europea è il primo erogatore di aiuti allo sviluppo e, per questo, un'azione concertata anzitutto a livello europeo è particolarmente cruciale.

Il terzo punto su cui è imprescindibile un'azione coordinata è quello della stabilità regionale e della sicurezza internazionale. Il ministro degli esteri tagiko, ad esempio, mi ha trasmesso la preoccupazione e il grave senso di vulnerabilità del suo Paese lungo il confine con l'Afghanistan. Per sorvegliare questa frontiera il Tagikistan ha richiamato in servizio attivo nell'esercito oltre 20.000 riservisti.

Dobbiamo prevenire il rischio che la crisi afgana abbia un impatto negativo destabilizzante sui Paesi limitrofi, con implicazioni che potrebbero andare ben oltre la dimensione regionale. Mi riferisco anzitutto al contrasto al terrorismo. Gli attacchi del 26 agosto scorso all'aeroporto internazionale di Kabul, con il loro pesante bilancio di vittime e feriti, testimoniano come il terrorismo rappresenti una minaccia concreta e immediata. Oltre all'Isis-Khorasan, che ha rivendicato gli attacchi, nel Paese operano gruppi estremisti affiliati ad Al Qaeda con cui i talebani mantengono talvolta un approccio ambiguo.

Abbiamo contrastato il terrorismo in Afghanistan per vent'anni e siamo riusciti a raggiungere importanti risultati anche al costo della vita di 54 militari italiani, cui vanno il nostro ricordo e la nostra gratitudine.

Il Paese non può e non deve tornare a essere un rifugio sicuro per i terroristi. Dobbiamo stringere alleanze e coinvolgere tutti gli attori (specie quelli della regione) che condividono questa stessa preoccupazione, oltre a Russia e Cina.

Altrettanto importante sotto il profilo della sicurezza è la lotta al traffico di stupefacenti. Il narcotraffico è un'importante fonte di finanziamento dei talebani. La produzione afgana di oppio da cui si ricava l'eroina rappresenta circa l'85 per cento di quella mondiale. Stiamo valutando iniziative nel settore della lotta al narcotraffico in raccordo con le competenti agenzie delle Nazioni Unite, a partire dall'Ufficio per il controllo della droga e la prevenzione del crimine.

L'Italia intende contribuire alla gestione internazionale della crisi afgana con proposte concrete, articolate in un piano di azione nazionale a sostegno del popolo afgano. Si tratta di uno sforzo corale di tutte le nostre amministrazioni che dovrà coinvolgere anche la società civile e gli enti territoriali, il cui contributo è indispensabile. La sua realizzazione si gioverà anche di risorse e strumenti internazionali, ad esempio dell'Unione europea delle Nazioni Unite.

Il piano che ho già condiviso nelle sue linee fondamentali in Consiglio dei Ministri è per sua natura in evoluzione e dovrà essere progressivamente adattato agli sviluppi sul terreno e alle esigenze che dovessero manifestarsi. La prima riunione tra amministrazioni per la definizione del piano, coordinata dalla Farnesina, si è tenuta una settimana fa e ha consentito di individuare i cinque pilastri su cui poggia questa strategia nazionale. Il primo riguarda l'assistenza umanitaria. Il segretario generale Guterres ha convocato per lunedì prossimo una conferenza internazionale per discutere dell'emergenza Afghanistan.

L'attuale crisi si è aggiunta alle conseguenze di un conflitto protratto, agli effetti della siccità e della carestia e all'impatto della pandemia. Un afghano su tre ha problemi per mangiare, una situazione che riguarda metà dei bambini al di sotto dei cinque anni, mentre gli sfollati interni sono oltre 550.000 dall'inizio dell'anno.

Dobbiamo fare ogni sforzo per evitare una catastrofe umanitaria. Giovedì scorso, su mia proposta, il Consiglio dei ministri ha destinato 120 milioni di euro a iniziative di resilienza a favore della popolazione afghana, all'assistenza ai rifugiati nei Paesi limitrofi, nonché alla partecipazione italiana all'attuazione di programmi internazionali di risposta alla crisi in Afghanistan. Si tratta di fondi che erano originariamente destinati alla formazione delle forze di sicurezza afghane nell'ambito della delibera missioni. Auspico di nuovo il sostegno del Parlamento per autorizzare quanto prima l'attribuzione di queste risorse da utilizzare entro fine anno.

Stiamo rivedendo la programmazione della cooperazione allo sviluppo per riorientare i fondi previsti per l'Afghanistan anche in questo caso verso interventi a carattere umanitario. Le risorse per il 2021 verranno portate da 21 a 31 milioni di euro complessivi, destinandole a iniziative per l'assistenza alimentare, per servizi di salute materno-infantile e per la lotta alla malnutrizione infantile e, in generale, per la tutela delle fasce più vulnerabili della popolazione come donne, minori e sfollati interni. Gli interventi potranno aver luogo sul canale multilaterale, tenendo conto delle possibilità per le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite o della famiglia della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di operare in sicurezza in Afghanistan e nei Paesi limitrofi.

Ci stiamo adoperando perché alle organizzazioni internazionali sia assicurato l'accesso umanitario pieno, sicuro e senza ostacoli al Paese, garantendo che gli aiuti arrivino ai diretti ed effettivi destinatari. Ne ho discusso, nei miei contatti, con il Segretario generale delle Nazioni Unite e con l'alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati per i rifugiati Filippo Grandi. La presenza e operatività in Afghanistan delle agenzie specializzate ONU è la nostra priorità.

Continuiamo a lavorare anche nell'ambito del programma Covax, perché prosegua con sempre maggiore efficacia l'azione di risposta alla pandemia in Afghanistan, dove sono state già consegnate 2,5 milioni di dosi.

Tra le categorie più bisognose di assistenza umanitaria vi sono sfollati e rifugiati. Il secondo pilastro del piano nazionale è, dunque, la messa a punto di una risposta strutturale al flusso di rifugiati dall'Afghanistan verso i Paesi vicini e potenzialmente verso l'Europa. Per gli afghani in condizione di particolare vulnerabilità, soprattutto donne e minori, stiamo lavorando per verificare la possibilità di attivare percorsi sicuri in direzione dei Paesi limitrofi, anche con l'ausilio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni.

In Tagikistan ho incontrato i rappresentanti di UNHCR per constatare direttamente la situazione sul terreno. In Qatar ho visitato una delle strutture di prima accoglienza e transito di civili dall'Afghanistan, toccando con mano l'importante sforzo messo in campo dal Paese in coordinamento con gli Stati Uniti per facilitare le operazioni umanitarie. In Pakistan, dove abbiamo istituito in ambasciata una situation room per la gestione dei profughi afgani, ho tenuto a visitare la frontiera con l'Afghanistan a Torkham.

Dai sopralluoghi che ho svolto e come mi hanno confermato gli interlocutori della cooperazione allo sviluppo sul campo, almeno per il momento, dal punto di vista dei flussi migratori la situazione rimane sotto controllo, ma il rischio è che la crisi economica e alimentare, anche in vista dell'inverno, possa innescare flussi più ampi.

Tutti i rappresentanti dei Governi che ho incontrato mi hanno manifestato maggior preoccupazione per il rischio di proliferazione della minaccia terroristica. Nei giorni scorsi si sono verificati alcuni attentati al confine tra Afghanistan e Pakistan. Proprio per questo abbiamo deciso di rafforzare il coordinamento tra le nostre intelligence.

Ho istituito un tavolo di coordinamento con le organizzazioni della società civile sull'accoglienza in Italia e sull'assistenza umanitaria ai rifugiati afgani nei Paesi dell'area. Il tavolo, che tornerà a riunirsi il 9 settembre, presieduto dalla vice ministra Marina Sereni, potrà fornire un importante valore aggiunto per la messa a sistema di proposte e capacità.

Mobiliteremo il fondo della Farnesina per le migrazioni al fine di sviluppare attività mirate a rafforzare le capacità dei Paesi vicini di gestione dei flussi migratori e accoglienza di migranti e rifugiati. Le priorità sono l'assistenza alle donne, la formazione in materia di diritti umani, la lotta ai trafficanti di esseri umani. L'obiettivo è quello di sostenere istituzioni e comunità locali, ma va inserito nell'ambito di una più ampia strategia di gestione dei flussi migratori che l'Europa è chiamata a mettere in campo.

Intendiamo infatti utilizzare il più possibile strumenti di portata europea. Chiederemo l'inserimento dell'Afghanistan come Paese prioritario nel programma di reinsediamento dei rifugiati finanziato tramite il Fondo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione dell'Unione europea. Su mia iniziativa, l'alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Grandi è stato invitato al Consiglio esteri informale dell'Unione europea, riunitosi, come ricordavo, la settimana scorsa per riflettere su una strategia d'azione complessiva per fronteggiare la crisi afgana nei suoi diversi aspetti politici, securitari, umanitari e migratori.

Leggere la crisi afgana solo attraverso la lente del rischio migratorio è riduttivo e sarebbe un errore anzitutto politico; tuttavia, alla luce delle conseguenze che la situazione umanitaria potrebbe avere a breve e medio termine, è necessario garantire la massima condivisione europea dell'impatto migratorio. A fronte delle esitazioni di alcuni Stati membri, riteniamo necessaria una visione più ambiziosa e coraggiosa del ruolo che l'Unione può giocare, anche assumendo su di sé costi più elevati.

Il terzo pilastro del piano d'azione italiano include le iniziative formative. Mi riferisco, ad esempio, alle borse di studio o all'accoglienza presso le università italiane di studentesse e studenti afgani. Il Ministero dell'università e della ricerca ha già avviato una ricognizione capillare presso tutti gli atenei a tal riguardo. Stiamo inoltre lavorando per estendere agli studenti afgani il progetto University corridors for refugees (Unicore), che prevede la creazione di corridoi universitari di studio e integrazione per studenti rifugiati. La Farnesina assicurerà massima collaborazione nella predisposizione di questi percorsi, valorizzando il diritto allo studio come strumento di accoglienza e integrazione e mettendo a frutto quanto sperimentato con successo negli ultimi anni. Numerose sono le manifestazioni di solidarietà della società civile italiana nei confronti delle studentesse e degli studenti afgani. La Farnesina, in raccordo con le altre amministrazioni, ha intrapreso un'azione di razionalizzazione e coordinamento dei diversi tipi di offerte da università, fondazioni e organizzazioni non governative e privati, per canalizzarle verso progetti concreti per l'accoglienza in Italia di studenti afgani. A livello scolastico, il Ministero dell'istruzione ha già messo allo studio le modalità più opportune per assicurare l'erogazione di servizi formativi a favore dei minori afgani giunti in Italia, molti dei quali non conoscono la nostra lingua.

Il quarto pilastro riguarda le iniziative per i diritti umani, con particolare attenzione alle donne. Intendiamo promuovere nei forainternazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, iniziative appropriate a tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali degli afgani. Lavoreremo per cercare di costruire un consenso in ambito Consiglio diritti umani per l'istituzione di un meccanismo di monitoraggio anche attraverso la promozione di una dichiarazione congiunta nel corso dell'imminente quarantottesima sessione del Consiglio, che comincerà lunedì prossimo. Stiamo anche lavorando all'organizzazione di un evento sulla condizione e sui diritti delle donne in Afghanistan in occasione della prossima settimana ministeriale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Vogliamo inoltre mobilitare le risorse assegnate al quarto Piano d'azione nazionale per l'attuazione dell'agenda donne, pace e sicurezza delle Nazioni Unite, includendovi iniziative per l'Afghanistan.

Il quinto pilastro è relativo alle iniziative politico-diplomatiche. È l'elemento centrale perché consente la progressiva messa a punto di una strategia condivisa con i partner internazionali e crea i presupposti per facilitarne la realizzazione. Ho già riferito sull'azione che come Italia stiamo portando avanti, a cominciare dal presidente Draghi, nei diversi fora internazionali e nei contatti bilaterali.

Più in generale, in prospettiva, l'esperienza afgana deve farci riflettere soprattutto in quanto Paesi membri dell'Unione e della NATO. Appare oggi ancor più evidente la necessità di potenziare e mettere a frutto gli strumenti della politica di sicurezza e difesa comune dell'Unione europea. L'Unione europea ha dimostrato, di fronte alla pandemia e alle sue conseguenze sul piano economico e sociale, una capacità di reazione efficace e tempestiva. Le azioni intraprese, sia sul terreno delle campagne di vaccinazione sia sul terreno del sostegno alle crisi sociali e alla ripresa economica, confermano la bontà delle scelte effettuate in direzione di una sovranità condivisa a livello continentale. Analogo impegno deve riguardare ora il contributo dell'Unione alla causa della pace e della sicurezza e stabilità internazionali. Sono le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sono convinto che come europei dobbiamo poter disporre di capacità operative per fronteggiare le situazioni critiche che minacciano i nostri interessi e la nostra stabilità. A quest'obiettivo stiamo lavorando attraverso la messa a punto di una bussola strategica.

Voglio dirlo con chiarezza: crediamo nella necessità dell'autonomia strategica europea, ma anche nella complementarità tra Politica di sicurezza e difesa comune e Alleanza atlantica. Tra i due aspetti non c'è contraddizione, ma sinergia. Anche in ambito NATO abbiamo deciso di condurre un'analisi onesta e approfondita sulle lezioni apprese con la conclusione della missione Resolute support. Avevamo già lanciato una riflessione di ampio raggio sul futuro della NATO, chiamata NATO 2030, che include anche una revisione del cosiddetto concetto strategico: una riflessione e una revisione rese ancor più necessarie e urgenti dopo i tragici fatti in Afghanistan e a cui l'Italia deve contribuire in maniera sostanziale.

Presidente, senatrici e senatori, tutti gli sforzi nazionali e internazionali convergono in questo momento su un obiettivo comune e prioritario: preservare i progressi in termini di diritti umani e libertà civili che la società afghana ha compiuto nell'ultimo ventennio, un patrimonio di valori e capitale umano costruito con grandi sacrifici e investimenti. Non possiamo permettere che vada disperso.

Abbiamo sostenuto lo sviluppo della rete infrastrutturale con la costruzione di strade che collegano Kabul all'interno del Paese. Abbiamo riabilitato ospedali e costruito pozzi e sistemi idrici. Nel 2005 appena il 23 per cento della popolazione aveva accesso all'elettricità, nel 2017 il 98 per cento. Le infrastrutture sono cruciali per lo sviluppo, ma quanto si è andato formando nelle menti e nei cuori degli afghani lo è ancor di più ed è più difficile da smantellare. La società afghana oggi ha raggiunto un livello di connessione che rende impensabile tornare a una situazione di chiusura e isolamento analoga a quella di un ventennio fa. Attraverso l'UNESCO abbiamo ripristinato la Educational radio and television (ERTV), che ha fornito al Ministero dell'educazione uno strumento per condurre programmi di formazione ed educazione a distanza.

Grazie al nostro impegno e a quello di nostri partner e alleati, il tasso di alfabetizzazione dei giovani nel 2018 ha raggiunto il 65 per cento, secondo i dati Unicef. La stessa organizzazione internazionale ci dice che in vent'anni il numero dei bambini a scuola è passato da 1 milione a 9 milioni. La mortalità sotto i cinque anni si è più che dimezzata: da 128 bambini ogni 1.000 del 2000 a 60 nel 2019, così come si è più che dimezzato il tasso di mortalità materna, passando dalle 1.450 donne decedute nel 2000, ogni 100.000 bambini nati vivi, alle 638 del 2017.

Tra il 2001 e il 2018 il tasso di iscrizione femminile nella scuola primaria è balzato da un valore prossimo allo zero a oltre l'80 per cento. Le donne sono diventate una parte importante della forza lavoro, afgana arrivando ad occupare oltre un quarto dei seggi in Parlamento. Anche l'aiuto dato ad alcune calciatrici di Herat per farle arrivare in Italia, per cui ringrazio gli enti e le organizzazioni che hanno collaborato, ci ricorda gli spazi che le donne afghane hanno saputo conquistare in questi anni. La libertà di fare sport è tra i semi che abbiamo piantato e che dobbiamo continuare a coltivare.

In vent'anni abbiamo contribuito a formare una generazione con una diversa visione della società, basata sui diritti fondamentali di ciascun individuo. Sono quella visione quella forza che spingono ora donne coraggiose a manifestare a Herat come a Kabul. Non abbandonare il popolo afghano è un nostro interesse e soprattutto un nostro dovere morale." 

 

MINISTRO DELLA DIFESA, ONOREVOLE GUERINI

"Signor Presidente, onorevoli senatrici, onorevoli senatori, mi permetterete di rivolgere fin da subito un pensiero riconoscente alle nostre Forze armate per lo straordinario impegno, la grande professionalità e la profonda umanità che ancora una volta hanno dimostrato nell'affrontare la crisi afghana. Sono certo di interpretare in questo doveroso omaggio anche il vostro sentimento.

Nell'accogliere a Ciampino il rientro dell'ultimo volo, insieme ai Sottosegretari e ai Presidenti delle Commissioni difesa, ho detto loro che gli italiani sono orgogliosi della straordinaria impresa umanitaria che hanno condotto e che ha reso onore al nostro Paese.

Dopo il collega di Maio, che voglio qui ringraziare per l'intensa collaborazione di queste settimane, articolerò il mio intervento sugli sviluppi della crisi afghana con l'obiettivo di illustrare le azioni messe in campo dalla Difesa e di condividere una chiave di lettura per quanto avvenuto e una chiave interpretativa rispetto ai possibili sviluppi della situazione e delle sue ripercussioni sul futuro della politica di difesa e sicurezza nel contesto dello scenario geopolitico attuale.

Nel ripercorrere brevemente le azioni attuate dalla Difesa all'indomani dell'annuncio della conclusione della missione della NATO, vi riporto oggi il consuntivo finale dell'operazione di evacuazione dei cittadini afghani, rimandando per i dettagli alle mie comunicazioni dello scorso 24 agosto alle Commissioni congiunte esteri e difesa.

L'operazione Aquila omnia ha portato in Italia 5.011 persone, comprensive del personale della nostra ambasciata, e altri cittadini italiani, di cui 4.890 afghani. Siamo di fronte a un numero decisamente superiore a quello dei collaboratori diretti dei nostri contingenti, della nostra missione diplomatica e dei loro familiari, dal momento che le attività di trasporto hanno riguardato anche attivisti dei diritti umani e dei diritti delle donne, giornalisti, membri delle istituzioni e collaboratori delle organizzazioni non governative italiane presenti sul territorio in questi anni, individuati con criteri analoghi e condivisi con gli altri Paesi alleati.

Si è trattato di un'operazione prettamente militare, che ha comportato un notevole sforzo organizzativo ed operativo, sotto la guida del comando operativo di vertice interforze, in uno scenario difficile e a tratti non permissivo; un'operazione complessa: sono stati eseguiti novanta voli attraverso un consistente spiegamento di mezzi aerei, tra velivoli C-130 e aerei KC-767. La presenza a Kabul di una joint evacuation task force, composta da 119 militari, ha assicurato la cornice di sicurezza, il supporto sanitario e le funzioni di comando, controllo e comunicazioni strategiche, in stretto ed efficace coordinamento con il personale diplomatico e militare della nostra ambasciata.

La Difesa, all'interno di una cornice organizzativa distribuita in Italia e in teatro operativo, ha visto impegnato un dispositivo di oltre 1.500 unità per attività di trasporto, logistiche e di supporto all'accoglienza e gestione dei rifugiati (per quest'ultima esigenza sono state messe a disposizione anche strutture militari). Permettetemi di dire che si è trattato di un'impresa straordinaria, merito innanzitutto delle donne e degli uomini in divisa, che hanno operato con dedizione e professionalità. (Applausi). Certamente non è il caso di fare classifiche – non mi appassionano neanche – ma credo sia giusto registrare che l'Italia è risultata il Paese dell'Unione europea che ha evacuato il maggior numero di cittadini afghani, grazie al lavoro congiunto delle diverse articolazioni dello Stato coinvolte. Tutte queste attività sono state svolte, inoltre, in stretto coordinamento con gli alleati attraverso un'efficace e reciproco supporto.

Voglio evidenziare principalmente la collaborazione con Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania, insieme ai quali siamo stati in grado di far fronte anche alle ulteriori richieste di trasporto presentate dall'Unione europea e da altri Paesi. A loro intendo rivolgere, anche in questa sede, il mio più sincero ringraziamento. Come ha già sottolineato il collega Di Maio, altrettanto fondamentali sono stati i contributi dei nostri partner regionali, come Qatar, Kuwait e anche Pakistan; questa disponibilità è il frutto di solidi rapporti bilaterali particolarmente significativi anche sul piano tecnico-militare. Su richiesta di Washington, abbiamo reso disponibili le basi di Aviano e Sigonella per il transito dei civili afghani verso gli Stati Uniti.

Infine, nell'ambito dell'Alleanza atlantica abbiamo offerto assetti di polizia militare, sanità e team specializzati nella cooperazione civile e militare e nel controllo dello spazio aereo, per contribuire all'attività che la NATO potrà decidere di condurre sul proprio territorio per supportare ulteriori attività di accoglienza e supporto umanitario.

Le immagini drammatiche dell'aeroporto di Kabul sono ancora davanti ai nostri occhi. Alla soddisfazione dell'impresa portata a termine si affiancano il forte rammarico e la preoccupazione per le persone che non sono riuscite a partire e che aspirano a costruirsi un futuro fuori dall'Afghanistan; anche per questo, la Difesa assicurerà la piena disponibilità per la condotta di eventuali ulteriori attività di evacuazione, secondo modalità e tempistiche che necessariamente dovranno essere ponderate e coordinate nel quadro delle iniziative politico-diplomatiche illustrate poco fa dal ministro Di Maio.

L'evoluzione della situazione in Afghanistan ha colto di sorpresa l'intera comunità internazionale, per la rapidità con cui è mutato il contesto politico e militare e per i conseguenti e drammatici risvolti umanitari. Esisteva la consapevolezza comune del rischio di una offensiva talebana nella fase immediatamente successiva al ritiro. Ma, allo stesso tempo, la NATO e la maggior parte degli analisti stimavano che l'efficacia delle forze di sicurezza afghane sarebbe stata perlomeno sufficiente a contenerla: una stima basata sulla larga superiorità numerica delle forze afghane, sulla disponibilità adeguata di equipaggiamenti e sulle valutazioni positive in merito all'operato e alla preparazione dei militari locali, che negli anni più recenti avevano dimostrato una capacità operativa autonoma, frutto soprattutto dell'impegno nelle attività di addestramento svolte dalle forze NATO anche in situazioni complesse. È tuttavia evidente come le cose non siano andate secondo le attese.

I talebani si sono mossi per acquisire rapidamente obiettivi di elevata valenza operativa e tattica, come i varchi di confine, i principali centri abitati e le vie di comunicazione verso la capitale: un risultato decisamente agevolato dalla quasi inesistente resistenza delle forze di sicurezza e difesa afghane, che, in alcuni casi, non hanno impegnato in combattimento gli avversari, con una condotta non prevedibile e inaspettata per le sue modalità e per le forze in campo.

Ci si deve chiedere, dunque, che cosa sia successo e cosa non ha funzionato. Stiamo parlando di forze armate ben addestrate e ben equipaggiate, che, nel corso degli anni, si sono distinte combattendo coraggiosamente, con grandi sacrifici e numerose perdite, contro i talebani, Al Qaeda e Isis.

Se gli accordi di Doha e la conclusione della missione Resolution support possono avere avuto un impatto da un punto di vista motivazionale, le ragioni dello sfaldamento delle forze di sicurezza sono da ricercare innanzitutto nella diretta conseguenza di una evidente mancanza di coesione e in uno scarso senso d'identità, ascrivibile soprattutto all'atteggiamento della leadershiprepubblicana, che, per diversi motivi, non è stato in grado di svolgere quel ruolo di guida autorevole e rappresentativa che la situazione richiedeva. Questa è una delle prime e più importanti lezioni che, secondo me, dobbiamo assumere ed approfondire dopo l'esperienza condotta in Afghanistan.

La decisione della conclusione della missione Resolution support è stata condivisa in ambito NATO, naturalmente all'interno di un confronto che ha visto accenti diversi tra gli alleati, ma anche la volontà di essere coerenti con il valore della coesione dell'Alleanza. Ho già avuto modo di ricordare che, durante la ministeriale nato dello scorso febbraio, avevo rappresentato la necessità di valutare la conferma della presenza delle forze dell'Alleanza anche oltre la scadenza del 1° maggio, prevista dagli accordi stipulati dall'amministrazione americana. Già allora, il raggiungimento delle condizioni politiche di sicurezza previste dall'accordo appariva lontano dall'essere soddisfatto, visti lo stallo dei colloqui, l'aumento significativo degli attacchi alle forze di sicurezza afghane e gli assassinii mirati di rappresentanti delle istituzioni, dei media e della società civile.

Abbiamo sempre ritenuto che il dialogo intra afghano e il mantenimento delle istituzioni repubblicane fossero le condizioni indispensabili per il futuro del Paese, ribadendo il nostro orientamento, condiviso anche da altri Paesi europei, circa l'esigenza di correlare le decisioni sulla conclusione definitiva della missione a progressi tangibili di queste condizioni. La difficoltà a raggiungerle ha fatto prevalere, nelle valutazioni dell'amministrazione americana, la scelta di associare il rientro a un approccio temporale, timebased, fissando la conclusione della missione Resolution support al 1° maggio e articolando il rientro delle forze entro la data fortemente simbolica dell'11 settembre.

Chiaramente, questo cambio di impostazione, a causa del venir meno delle capacità operative, critiche e funzionali al mantenimento del quadro di sicurezza generale dell'intera missione di addestramento e supporto, ha determinato condizioni tali per cui nessun altro Paese alleato poteva rimanere in Afghanistan. Si è arrivati, di conseguenza, al meeting straordinario dello scorso 15 aprile, nel quale – come ho detto – pur nella diversità degli accenti tra gli alleati, abbiamo assunto assieme questa decisione, appunto in coerenza con il valore fondante, irrinunciabile e da preservare della coesione dell'Alleanza.

Signor Presidente, senatrici e senatori, la cronaca degli ultimi giorni non può e non deve far dimenticare l'impegno nazionale di questi vent'anni nella più grande operazione militare dal termine della Seconda guerra mondiale. Naturalmente, siamo ben consapevoli che i fatti accaduti hanno reso palesi alcuni significativi punti critici, su cui tornerò, ma non possiamo avviare alcuna riflessione su quanto avvenuto senza ricordare le ragioni della missione e anche i risultati conseguiti.

All'indomani del tragico attacco alle Torri gemelle nel 2001, a seguito dell'invocazione dell'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, siamo intervenuti con in nostri alleati per combattere il terrorismo globale, che aveva trovato, proprio in Afghanistan, un rifugio sicuro. Aver scelto di agire, di dare il nostro contributo concreto nella lotta contro una minaccia imminente, diretta a tutto l'Occidente e ai suoi valori, è stata una scelta non solo doverosa ma soprattutto giusta.

La presenza di Al Qaeda nel Paese è stata resa inefficace; di questo dobbiamo riconoscere il merito, senza alcun dubbio, alla NATO, ai nostri 50.000 militari che si sono avvicendati in questi vent'anni. Prima di tutto per loro dobbiamo ricordare sempre le ragioni della nostra partecipazione, in particolare per i nostri 54 caduti e per gli oltre 700 feriti, cui va il nostro grato e deferente pensiero.

Ricorderemo sempre – e con noi tutti gli italiani – il loro tributo alla sicurezza delle nostre comunità e alla difesa dei valori che incarnano la nostra Repubblica.

Se, tuttavia, abbiamo garantito che per vent'anni l'Afghanistan non tornasse ad essere un luogo sicuro per il terrorismo internazionale, non possiamo nasconderci il fallimento nell'attività di costruzione di istituzioni solide e realmente rappresentative dell'articolata società afghana. Su questo punto, quello cioè dell'institution building, siamo chiamati a riflessioni, che dovremo condurre sia nei contesti internazionali che a livello nazionale, relativamente ai nostri modelli di intervento e alla necessità di un approccio multidimensionale coerente, efficace e condiviso, di cui la dimensione militare è solo una delle componenti.

L'esperienza afghana ci interroga, però, anche su quali conseguenze possono scaturire dalla crisi in atto e sugli impatti che questa potrà avere in un'area già di per sé fragile e che gioca un ruolo centrale negli equilibri geopolitici globali. In una prospettiva più generale, dobbiamo evitare che l'Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per la jihad mondiale e i recenti attentati a Kabul, con il connesso significato propagandistico, possono essere strumentalmente presentati come una vittoria e come una rinnovata affermazione delle capacità operative della galassia jihadista.

Vi è il rischio, quindi, che il deterioramento del quadro di sicurezza si estenda a quelle regioni di elevato interesse strategico nazionale in cui siamo impegnati, quali il Sahel e l'Iraq. Chiaramente le condizioni di riferimento sono profondamente diverse: in Iraq, ad esempio, sta crescendo in maniera significativa la forza delle istituzioni e la NATO ha l'occasione di rilanciare le proprie capacità di institution building, mettendo immediatamente a sistema le criticità emerse nello scenario afghano.

Sarà con questa visione di insieme, in particolare, che l'Italia, a valle di una ponderata e approfondita valutazione anche di quanto avvenuto oggi in Afghanistan, assumerà nel prossimo 2022 il comando della missione NATO in quel Paese.

Nell'indicare le aree di interesse nazionale che potrebbero essere interessate dalle ricadute della crisi afghana ho prima citato il Sahel, regione che è sempre più centrale negli interessi di sicurezza europei e italiani e nella quale il nostro impegno è significativamente cresciuto. Anche qui dovremo portare le lezioni apprese dalla vicenda afghana in termini di modello di intervento e approccio a 360 gradi rispetto alle problematiche di quei Paesi.

È evidente che il nostro Paese, così come l'Alleanza atlantica, deve trarre numerosi insegnamenti dall'esperienza afghana, per meglio identificare quali sono i suoi punti di forza, ma anche le sue debolezze, quale appunto la difficoltà a supportare un processo multinazionale di nation building, come quello che pretendeva lo scenario operativo afghano.

L'epilogo afghano ha rilanciato la discussione in merito al ruolo della NATO e dell'Unione europea nello scenario globale. La NATO è stata e resta l'organizzazione di riferimento per la nostra sicurezza, che garantisce protezione e deterrenza rispetto all'evoluzione del quadro geostrategico mondiale e che, prima di essere alleanza militare, è innanzitutto alleanza di valori. Le democrazie liberali e il loro patrimonio di valori e diritti sono un modello da difendere, che, pur a valle dall'indispensabile processo di riflessione e di analisi sugli esiti dell'esperienza afghana, dovrà continuare ad essere l'archetipo di riferimento del nostro peculiare apporto allo scenario di cooperazione e insieme di competizione del nuovo contesto globale.

Il processo di revisione strategica NATO 2030, attualmente in corso, dovrà tenere in assoluta considerazione quanto avvenuto dal 2001 ad oggi, nello sviluppare il nuovo concetto strategico di una NATO bilanciata, ma soprattutto l'idea di alleanza del futuro e delle sue relazioni con le grandi organizzazioni internazionali, prima fra tutte l'Unione europea. L'Unione è chiamata ancora di più a definire coraggiosamente la propria autonomia strategica, in complementarietà con la NATO, ma valorizzando al massimo le peculiarità e gli strumenti che le sono propri, essendo l'organizzazione che più di tutte ha le capacità di intervenire con efficacia nella realizzazione di azioni proiettate allo sviluppo economico, culturale e sociale dei Paesi in cui siamo chiamati ad operare.

Il tema della difesa comune, oggetto della recentissima e autorevole sollecitazione del Presidente della Repubblica, è tornato centrale nella discussione politica europea, anche grazie all'azione propulsiva del nostro Paese. Iniziative concrete sono state avviate per promuovere una più forte integrazione nel settore, attraverso l'irrobustimento delle capacità, lo sviluppo di una più solida base industriale e l'adattamento dell'architettura istituzionale dell'UE, ma non basta: è necessario un salto di qualità, innanzitutto politico. Credo sia infatti ormai chiaro a tutti – la crisi afghana ce lo dimostra plasticamente – che siamo chiamati ad assumerci responsabilità sempre maggiori, nel quadro di quella che già oggi si chiama, non a caso, politica di sicurezza e difesa comune e che, attraverso la definizione della bussola strategica, dovrà finalmente trovare una sua direzione, insieme concreta e coraggiosa, per la quale la difesa europea non vada perciò vista esclusivamente come la risposta ad un'esigenza operativa, quanto piuttosto come un tassello fondamentale e necessario alla costruzione di un'Europa più pienamente politica, indispensabile per poter competere ed agire sulla scena mondiale. Si tratta quindi di promuovere una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell'Unione nel campo della difesa e della sicurezza, non in contrapposizione, ma anzi in piena sinergia con la NATO.

Come ho in più occasioni sostenuto, la convinta promozione dello sviluppo e dell'acquisizione di capacità militari europee deve essere infatti assolutamente interpretata quale naturale e coerente azione di rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza atlantica, a conferma dell'insolubilità del solido rapporto transatlantico e con l'obiettivo di consentire all'Europa di contribuire in maniera sostanziale ed efficace alla sicurezza e alla stabilità globale. Per fare ciò sono necessari un orizzonte politico e una visione comune: analisi delle minacce, definizione di un'agenda politica condivisa, costruzione di capacità militari comuni e, soprattutto, volontà di utilizzarle come Unione. Durante la riunione ministeriale UE di Lubiana della scorsa settimana abbiamo affrontato proprio il tema del ruolo che l'Unione vuole giocare nel contesto globale, partendo dalla lezione afghana, che deve essere di stimolo per rafforzarne il coraggio e il livello di ambizione. È evidente che, per entrambe le organizzazioni, una delle sfide riguarderà anche e soprattutto i processi decisionali. La nuova competizione globale richiede certamente rapidità ed efficienza: dovremo essere capaci, tutti noi, di rispondere a questa esigenza continuando a tutelare i principi e le forme delle democrazie liberali. Si tratta di una sfida certamente difficile, ma credo ineludibile, dentro i processi di revisione strategica delle organizzazioni internazionali di riferimento.

Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, l'operato dei nostri militari, silenzioso e instancabile, merita il plauso e la gratitudine da parte dalla nazione, per l'impegno al servizio dei valori della libertà e della democrazia in diverse regioni del pianeta, agendo con riconosciuta professionalità e sacrificio. L'evacuazione appena conclusa, il quotidiano impegno in patria e all'estero, il supporto nella lotta alla pandemia sono mirabili esempi di uno straordinario patrimonio umano di competenze e di conoscenza, sostenuto da irrinunciabili capacità tecnologiche, che dobbiamo preservare e sviluppare. L'esperienza afghana ci chiama alla responsabilità di plasmare una nuova architettura di difesa e sicurezza, incentrata sull'evoluzione e la fattiva collaborazione tra una NATO più moderna e un'Unione europea più forte, che considero, in tutta la loro portata, le sfide emergenti ed il ruolo degli attori globali. L'Italia, anche attraverso un dibattito che sia all'altezza di questa sfida, deve continuare responsabilmente a fare la propria parte e lo farà."

 

 

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