Politica

Corsa al Colle/2. Draghi quasi candidato, il problema è che nessuno dei partiti lo vuole

23
Dicembre 2021
Di Ettore Maria Colombo

Draghi si pone in modalità ‘vista Colle’… 

Il messaggio è chiaro, inequivocabile fin oltre le aspettative. Non ci si candida per il Quirinale – Mario Draghi lo sa e sa come muoversi tra le liturgie della politica – ma a chi in più occasione ha chiesto un segnale, ne manda uno che suona come definitivo. Il premier segna la rotta sin dalla prima domanda sul suo futuro e se sia o meno con ‘vista Colle’. Ebbene sì, lo è…

Alla prima domanda esordisce con una risata ma va dritto al punto: “Abbiamo conseguito tre grandi risultati. Abbiamo reso l’Italia uno dei paesi più vaccinati del mondo, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto i 51 obiettivi. Abbiamo creato le condizioni perché l’operato del governo continui indipendentemente – scandisce – da chi ci sarà, l’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo, ed è la più ampia possibile”. L’accento cade, ovviamente, tutto su quell’indipendentemente che vuol dire, appunto, “anche con un altro, volendo, dopo di me, il governo può continuare”.

Draghi non risponde direttamente alle domande sul suo futuro, ma l’indicazione che dà è in realtà più di una semplice indicazione di rotta. “Sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni, dice in modo molto chiaro, ma “la responsabilità della decisione” sul Colle “è nelle mani delle forze politicheLa palla, insomma è ai partiti.

Il Presidente va eletto a “larga maggioranza”

Certamente”, ammette il premier, che la maggioranza di governo si possa dividere sull’elezione del nuovo capo dello Stato “è uno scenario da temere”.

Se i partiti non trovassero una figura unitaria e iniziassero a farsi la guerra sul Colle, la sua esperienza a palazzo Chigi sarebbe comunque conclusa. In questo momento, invece, è il suo convincimento, l’elezione del nuovo Capo dello Stato dovrebbe essere “rapida e condivisa”. Tradotto in termini di passaggi parlamentari, questo vorrebbe dire eleggere il nuovo inquilino di quello che era il palazzo dei Papi già alla prima votazione, quando è necessaria la maggioranza assoluta dei 1007 grandi elettori (dai 674 voti in su).

Se la maggioranza si accorda su Draghi al Colle non ci sono franchi tiratori che tengano, però il difficile sarebbe trovare il nome del successore del premier a palazzo Chigi”, è il ragionamento di un deputato della maggioranza. Il toto-nomi è già partito. Per i bookmakers del Transatlantico Marta Cartabia resta in pole.

Ma i partiti di Draghi non ne vogliono sapere: la scusa è che “il governo deve andare avanti”

Draghi al Colle? Le forze politiche dicono ‘no’. Una volta compreso, in via semi-definitiva, che Mario Draghi non nasconde le sue ambizioni, ma rimette la scelta sul suo futuro a loro, ai partiti, devono dir la loro, stavolta in modo netto. 

E se, nelle parole pronunciate dal premier, i leader ‘leggono’ l’intenzione (o quantomeno l’aspirazione) dell’ex governatore della Bce di trasferirsi da palazzo Chigi al Colle più alto, lo scenario scatena l’agitazione di quasi tutti loro, nella convinzione che, senza Draghi alla guida, il governo non andrebbe avanti. Ma per la maggior parte dei partiti l’esecutivo deve proseguire la sua opera fino alla scadenza naturale della legislatura, ovvero nel 2023. La parola d’ordine è “continuità”, scongiurando il rischio di elezioni anticipate.

Pd e M5s lasciano spiragli, ma anche loro tifano perché Draghi resti dov’è, cioè a Chigi

I dem non si mettono di traverso, ma sembrano voler lasciare aperto uno spiraglio. Di tutt’altro avviso Lega e Forza Italia, assai contrarie. Non si espone il Movimento 5 stelle, che resta cauto.

Condividiamo il giudizio positivo sul bilancio dell’anno di governo e anche l’auspicio che la legislatura vada avanti in continuità con l’azione di governo fino al suo termine naturale”, recita una asettica nota delle solite fonti del Nazareno.

Una posizione che il M5s modula con parole pressoché identiche: “il M5s ha apprezzato – dicono fonti parlamentari pentastellate – le parole di Draghi e l’operato del governo che sta rispettando, con il sostegno fondamentale del Parlamento, i punti programmatici su cui è nato. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Pertanto, M5s ritiene necessaria una continuità dell’azione di governo”.

Il centrodestra parla tre lingue diverse, ma è chiaro: Draghi al Colle proprio no, non si può

Il problema è tutto in casa del centrodestra, però, che parla tre lingue diverse, a seconda del partito, e fin troppo spesso lo fa con lingua biforcuta. A dirla tutta, c’è chi è chiaro, limpido, cristallino. Silvio Berlusconi, per dire, sa bene che il suo unico, vero, temibile, avversario nella sua ascesa al Colle è proprio Mario Draghi. “Se c’è lui, non ci sono io” – ripete, da giorni, ai suoi, facendo il ‘cavaliere’ – “ma solo se tutti lo votano alla prima votazione, altrimenti, a partire dalla IV, io ci sono eccome”.

Fonti della Lega fanno sapere, dopo aver ascoltato tutti le parole di Draghi con il fiato sospeso, che “C’è preoccupazione per eventuali cambiamenti che potrebbero creare instabilità”. Salvini, cioè, ha mangiato la foglia: Draghi si tiene ben aperta la porta del Quirinale, pur rimettendosi alla volontà del Parlamento, e lui torna a blindarlo dove sta e come dice da giorni. “Senza Draghi del doman non v’è certezza”, chiosa ilare. Tradotto: la mia Lega non reggerebbe nessun governo ‘alternativo’ con nessun altro premier e non potrebbe continuare a stare in maggioranza col Pd e i 5S se, al governo, non ci fosse Draghi.

Giorgia Meloni – che pure era, fino a ieri, la main sponsor dell’ascesa di Draghi al Colle per averne, in cambio, elezioni politiche anticipate – si sfila: “Più che una conferenza di fine anno quella di Draghi è sembrata una conferenza di fine mandato. Dal premier due ore e mezza di auto celebrazioni, senza ammettere gli errori fatti sulla pandemia”, è il j’accuse della leader di FdI.

La svolta di Draghi sarà, in ogni caso, e inevitabilmente, sul tavolo del vertice del centrodestra che oggi si troverà di nuovo tutto insieme, dopo mesi di latitanza. In teoria, si parlerà di manovra economica, in realtà di Colle. E dato che il centrodestra vanta, giustamente, di avere stavolta la maggioranza ‘relativa’ tra i Grandi elettori (415) onori e oneri. Spetta a loro.