Politica
Calandrini: “Una manovra responsabile che mette al centro famiglia, lavoro e impresa”
Di Alessandro Caruso
(Intervista pubblicata su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Responsabilità, visione e coerenza, così Nicola Calandrini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, sintetizza la manovra 2026. «In tre anni l’Italia ha voltato pagina: conti in ordine, debito su un sentiero sostenibile e occupazione ai massimi storici». Una legge di bilancio che, spiega, «consolida le fondamenta del Paese e mette al centro famiglia, lavoro e impresa».
Presidente, la legge di bilancio arriva in un momento cruciale per l’economia italiana ed europea. Qual è, secondo lei, la priorità politica che deve guidarne l’impianto?
«Questa legge di bilancio è la quarta del Governo Meloni e rappresenta la prosecuzione di un percorso preciso, fondato su responsabilità, visione e coerenza. In tre anni l’Italia ha voltato pagina: conti in ordine, debito su un sentiero sostenibile e occupazione ai massimi storici. È la dimostrazione che si può crescere senza sforare, sostenere senza sprecare. La priorità politica resta quella di consolidare le fondamenta economiche e sociali del Paese: tutelare i lavoratori, sostenere le imprese che producono ricchezza e occupazione, incentivare la natalità con un sistema che si avvicina sempre più al quoziente familiare. La manovra di Bilancio 2026 guarda al futuro con serietà, mette al centro la famiglia, il lavoro e l’impresa, e conferma che stabilità e sviluppo possono camminare insieme sotto la guida di un’Italia credibile e rispettata».
In un quadro di regole fiscali europee rinnovate, come si può coniugare il rigore dei conti pubblici con la necessità di sostenere crescita e investimenti strategici?
«Il rigore dei conti pubblici non è un limite, ma una condizione per la crescita. Risanando le casse dello Stato si liberano risorse: meno debito significa meno spesa per interessi, più margini per investimenti e politiche sociali. Un Paese che rispetta gli impegni guadagna fiducia, vede migliorare il rating e diminuire il costo del credito per famiglie e imprese. La crescita si può sostenere senza fare nuovo debito, ricomponendo con intelligenza la spesa. È lo stesso paradigma che ha guidato anche la rimodulazione del PNRR: spendere il massimo ma spenderlo bene, dove serve, dove la spesa diventa investimento che produce ricchezza. È un percorso che non dà necessariamente risultati immediati ma il Governo Meloni guarda al medio periodo, non soffre della sindrome da campagna elettorale. La longevità dell’esecutivo – il terzo più duraturo della storia repubblicana – è parte di questo circolo virtuoso: stabilità politica, credibilità internazionale e fiducia che genera nuovi investimenti».
Nella Legge di Bilancio 2026 ritornano strumenti importanti per sostenere la crescita e gli investimenti produttivi. Qual è la logica che ha guidato queste scelte?
«La logica che guida questa legge di bilancio è chiara: sostenere chi produce valore e non disperdere risorse in misure inefficaci. L’esperienza del Superbonus, che ancora nel 2026 peserà per oltre 40 miliardi sulle casse dello Stato, ha dimostrato che i bonus a pioggia non solo non funzionano, ma generano squilibri e debito. Il Governo Meloni ha scelto un approccio opposto: incentivi mirati, legati alla produttività e alla competitività. La misura del super ammortamento per i beni strumentali, il credito d’imposta per la ZES Unica del Mezzogiorno – grande intuizione del Governo Meloni che sta riportando il Sud a crescere – e il rifinanziamento della Nuova Sabatini vanno in questa direzione. Sono misure che creano un circolo virtuoso: più investimenti significano posti di lavoro, maggiori entrate e quindi più risorse per la collettività. Il PNRR è uno strumento straordinario e temporaneo; ora l’Italia è più solida e stabile, pronta a proseguire con le proprie forze un percorso di crescita strutturale».
Come si assicurerà che questi incentivi, specie quelli legati alla transizione energetica, non restino sulla carta ma si traducano in investimenti reali, soprattutto al Sud e nelle filiere più energivore?
«Anche in questo caso è l’esperienza a indicarci la strada. La ZES Unica per il Mezzogiorno sta dimostrando che la chiave del successo non è solo lo stanziamento delle risorse, ma la capacità di farle arrivare davvero alle imprese in modo semplice e veloce. La sburocratizzazione è il motore di questo processo. È su questo che il Governo Meloni sta concentrando gli sforzi, perché ogni incentivo, in particolare quelli legati alla transizione energetica, si traduca in investimenti reali e non resti un esercizio sulla carta. Il Parlamento, con il suo contributo alla legge di bilancio, potrà rafforzare questo percorso. L’obiettivo è chiaro: rendere il sistema più semplice, attrattivo e competitivo, soprattutto nelle filiere strategiche, dove la semplificazione può trasformarsi in sviluppo concreto e duraturo».
Molti osservatori parlano di una “manovra prudente ma espansiva”. Condivide questa definizione? E quale misura rappresenta meglio la linea del governo?
«Potrebbe essere definita così: è prima di tutto una legge di bilancio che si inserisce in continuità con il percorso degli anni precedenti, non una rottura, ma un’accelerazione consapevole. La misura che meglio rappresenta questa linea del governo è senza dubbio il taglio del cuneo fiscale e contributivo che quest’anno si rivolge in modo più deciso al ceto medio — con particolare riferimento alla fascia di reddito tra 28.000 e 50.000 euro, dove l’aliquota si prevede scendere dal 35% al 33%. Questo intervento fa il paio con la misura divenuta strutturale lo scorso anno, che ha ridotto le tasse sui redditi fino a 28 mila euro, e la grande riforma fiscale che l’Italia aspettava da 50 anni. Con questi interventi restituiamo maggiore potere d’acquisto ai lavoratori, stimoliamo consumi e produzione e inneschiamo un circolo virtuoso: più lavoro, più consumi, più entrate per lo Stato. È quindi una manovra che mantiene i conti in ordine — evitando spese disordinate — e nel contempo utilizza le risorse in modo strategico, puntando su crescita, lavoro, stabilità».
Sul fronte fiscale, il governo ha più volte ribadito l’obiettivo di semplificare e alleggerire il carico su imprese e famiglie. Quali sono i prossimi passi in questa direzione?
«Semplificare e alleggerire resta la nostra bussola. La riforma fiscale è già in larga parte attuata con 21 decreti legislativi pubblicati e dispiegherà i suoi effetti massimi nei prossimi anni: meno adempimenti, un rapporto fisco-contribuente improntato alla collaborazione, pugno duro per chi evade, un’IRPEF più semplice con aliquote accorpate e il taglio del cuneo che rafforza il potere d’acquisto».
Tra le voci più attese c’è quella dedicata al lavoro e al sostegno dei redditi medio-bassi. È previsto un intervento per rendere strutturali i tagli al cuneo fiscale o rafforzare la detassazione dei premi di produttività?
«La riduzione dell’aliquota dal 35 al 33% per i redditi tra i 28mila e i 50mila euro prevista nella manovra 2026 è già prevista come strutturale e fa il paio con la riduzione del cuneo fiscale e contributivo per i redditi fino a 28 mila euro resa strutturale lo scorso anno. Credo che ci sia poi la possibilità, per il Parlamento, di intervenire sulle procedure legate alle compensazioni dei crediti d’imposta: liberare risorse liquide significa permettere alle imprese di investire di più e creare nuovo lavoro».
Guardando oltre la manovra, quali sono le priorità della Commissione Bilancio per il 2026?
«Una delle priorità è sicuramente quella di portare a definizione, grazie all’egregia attività che sta portando avanti il gruppo di lavoro congiunto, i nuovi testi della legge 196/2009 (contabilità e finanza pubblica) e la legge 243/2012 (pareggio di bilancio) entro i primi mesi del 2026. È il modo più serio per coniugare trasparenza, programmazione e crescita, in coerenza con il nuovo quadro europeo. Per quanto concerne le riforme una è appena stata approvata, in attesa del referendum, ed è quella della giustizia: una giustizia più rapida ed efficace permette al Paese, tra le altre cose, di mostrarsi più attrattivo nei confronti degli investitori esteri. Poi c’è il tema della stabilità dell’esecutivo: il Governo Meloni dimostra che la stabilità libera risorse. Rendere questo stato di fatto una costante di sistema con la riforma del premierato, salvaguardando sempre il ruolo centrale del Parlamento, permetterebbe di rendere la crescita della nazione più solida e strutturale».





