Politica

Alluvione, ancora crisi. «Tutti possono aiutare, anche senza stivali»

29
Maggio 2023
Di Giampiero Cinelli


Gli abitanti delle zone alluvionate non possono ancora voltare pagina. Non sanno quando lo faranno. Per adesso, la loro certezza, è la solidarietà. Migliaia le chiamate arrivate al numero verde 800024662, messo a disposizione dalla Regione, 7 giorni su 7 dalle ore 8 alle 20. La maggior parte delle telefonate riguardano la richiesta di informazioni su come fornire aiuto alla popolazione colpita. Prosegue la raccolta fondi “Un aiuto per l’Emilia-Romagna”, lanciata dalla Regione per sostenere le comunità colpite. Alle ore 10 di oggi le donazioni hanno superato i 28,4 milioni di euro. Sono 1.818 i volontari di Protezione civile impegnati sul campo, di questi 737 provengono dalle organizzazioni nazionali, 248 dall’Emilia-Romagna e 833 dalle colonne mobili di altre Regioni. A questi vanno aggiunti i 75 volontari attivati nell’ambito del meccanismo europeo di mobilitazione (Dipartimento nazionale di Protezione civile) e operativi nel ravennate: 38 provenienti dalla Slovacchia, 22 dalla Slovenia e 15 dal Belgio. Considerando anche le 105 unità tra personale tecnico, amministrativo e di polizia locale provenienti dalle amministrazioni di Bari, Firenze, Genova, Milano, Roma, Venezia e dislocate attraverso l’Associazione nazionale Comuni italiani a supporto dei comuni alluvionati, il personale operativo sul campo arriva a circa 2.000 unità.

Ad aiutare arrivano anche persone slegate dai circuirti associativi, spesso cittadini della regione. Vanno senza una preparazione specifica ma determinati a rendersi utili. Una di loro è Matilde, ragazza di Bologna che per sette giorni, cinque dei quali a Faenza, si è rimboccata le maniche e indossato gli stivali. Ci spiega che non tutti hanno l’abbigliamento adatto a stare molto tempo nel fango ma questo non è un problema, ci si coordina e ognuno può fare qualcosa. Chi vuole andare non deve temere di essere inadeguato. Nella casa di «un amico di un amico» Matilde ha cercato di salvare il salvabile, ma innanzi tutto di portare fuori l’acqua, che ogni tanto rifluiva. Una catena di persone, con in punta chi aveva la torcia per vedere nella stanza, e fuori quelli che trasportavano gli oggetti. Nelle altre abitazioni c’è chi dice: «Tranquilli, buttate tutto», chi invece, magari più anziano, vuole ripassare con lo sguardo tutti quegli oggetti ormai irriconoscibili, perché fa fatica a distaccarsene. Qualcuno è preoccupato per dei documenti burocratici, che nessuno più potrà pretendere. «Mi sono trovata davanti un Paese che non riconoscevo più. Con un solo colore. E nell’aria una polvere costante. A Faenza nella zona bassa l’acqua è arrivata anche a due metri». E anche se l’acqua sta scendendo tanta ne è uscita dai tombini quindi è nociva. «Ho saputo di gente – ci dice lei – che facendosi male mentre spalava ha avuto bisogno di assistenza medica per l’infezione della ferita. Io invece mi sono fermata mercoledì perché a un certo punto ho cominciato a non stare molto bene. Sei sempre bagnaticcio e respiri aria pesante. Ad ogni modo la Protezione Civile ha organizzato presidi dove è possibile ricevere l’antitetanica e chi va con le associazioni è ben tutelato».

Matilde ci ha raccontato di come tutta la comunità sia concentrata nel venirne fuori. Ognuno partecipa secondo le sue possibilità. Anche preparando i panini a quelli che lavorano e mettendosi a disposizione, se si abita ai piani più alti delle abitazioni, di coloro che invece hanno avuto la propria casa invasa dall’acqua. L’allerta finirà ma bisognerà risolvere i disagi e adesso si discute se la soluzione migliore sia usare i mezzi pesanti quando il fango si sarà solidificato, oppure favorire il drenaggio di tutto ciò che va rimosso. Un altro problema è l’immondizia, che deve continuare a essere smaltita e che al momento è difficile da accantonare, così come l’altro materiale delle case. Poi Matilde ha parlato della situazione dei paesini attorno ai maggiori centri colpiti. Quelli ad esempio meno collegati che non sono serviti dall’autostrada. «Di chi vive lì non abbiamo molte informazioni e non immaginiamo l’entità dei danni. Sono più difficili da raggiungere e i viveri vengono portati con gli elicotteri». Salutiamo Matilde ringraziandola per la sua testimonianza che non intendiamo spettacolarizzare. Ci risponde che non è andata lì per la popolarità, nei suoi toni si intuisce soltanto un senso di appartenenza che va vissuto così, partendo senza pensarci un attimo. Li chiamano “angeli del fango”, ma sono solo fratelli, sorelle, amici che non vedono l’ora di riavere la loro terra.

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