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10
Novembre 2023
Di Redazione

Le motivazioni per una Riforma costituzionale che aumenti la “verticalità” e la “stabilità” del Potere esecutivo italiano sono ben spiegate da quanto detto dalla Presidente Meloni al suo intervento di oggi alla CNA: 

“C’è stata una sola endemica ragione per la debolezza della politica, i ritardi infrastrutturali, quelli in ricerca e sviluppo, il divario Nord-Sud, lo scarso protagonismo internazionale e la difficoltà dell’Italia nel difendere i propri interessi. 

Nei primi venti anni di questo millennio fino all’arrivo del Covid, la Francia ha avuto 4 presidenti della Repubblica, la Germania 3 Cancellieri, l’Italia 8 presidenti del Consiglio che hanno presieduto 11 governi diversi. Nello stesso periodo Francia e Germania sono cresciute di più del 20%, l’Italia meno del 4%. Allora o diciamo che tutti i politici italiani sono più scarsi di quelli francesi e tedeschi, e io francamente non lo penso, o dobbiamo fare i conti sul fatto che qualcosa non ha funzionato nel sistema italiano. 

In questi 75 anni sono cambiati i protagonisti, le leggi elettorali, i partiti, però l’instabilità è rimasta sempre la stessa. L’unica cosa che non è mai cambiata è la base del sistema, cioè la Costituzione, ed è qui che ora abbiamo avuto il coraggio di intervenire, per questo abbiamo varato la riforma costituzionale con l’elezione diretta del capo del governo, che garantisce stabilità agli esecutivi”.

L’anamnesi e la diagnosi sono chiare, è sulla terapia del “malato Italia” che iniziano le differenze. 

Quando settimana scorsa abbiamo ripercorso l’esito dei precedenti tentativi di Riforma il nostro intento non era quello di scoraggiare la Premier dall’andare avanti, anche perché il consiglio di nessuno potrebbe farlo, figuratevi il nostro. 

L’intento era piuttosto quello di inquadrare il topic “Riforma costituzionale” alla luce di quanto è accaduto e di quanto, inevitabilmente accadrà. Perché i protagonisti del dibattito pubblico sono sempre gli stessi, così come gli argomenti.

“Deriva autoritaria”, “Presidenzialismo di fatto”, “Torsioni e contorsioni della democrazia” sono tutte espressioni che fanno parte del lessico che ha accompagnato qualsiasi tentativo di riforma. Con il paradosso che non le abbiamo mai sentite quando è stata messa in atto l’unica vera “torsione” degli ultimi anni, ovvero la riduzione del numero degli eletti fine a se stessa. 

Questo perché? Perché maggiori poteri fanno paura a tanti, mentre il loro indebolimento e la loro polverizzazione fanno altrettanto comodo. 

La stabilità di un Governo depotenzia il potere di influenza e interdizione di chi non ricopre cariche elettive, ma pretende di andare oltre il proprio campo d’azione per influenzare le decisioni di chi è stato eletto per farlo. 

Ok i checks & balances, i pesi e contrappesi, e tutto l’armamentario di “Diritto Costituzionale giornalistico” che abbiamo imparato a conoscere. Ma ostinarsi a non vedere la necessità di un’evoluzione, significa continuare a non dotare degli opportuni strumenti chi guida una Nazione che ripiegata su se stessa ha scarso futuro, ma che invece necessita di una proiezione europea e globale con le spalle sufficientemente forti.  

Quindi di nuovo: Riforma sì, ma con l’auspicio che si possa assistere ad un dibattito privo di pregiudizi e orientato all’interesse nazionale. Che bello sarebbe se non ci fosse bisogno del referendum e soprattutto della campagna elettorale per arrivarci? 

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