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24
Maggio 2024
Di Redazione

Come direbbero a Napoli, Giovanni Toti ha arrevotato (mi perdoneranno i fini linguisti partenopei se lo scritto non corrisponde all’espressione corretta), ovvero ha ribaltato il tavolo. 

Per chi non avesse seguito, il Presidente di Regione Liguria, indagato a Genova e agli arresti domiciliari per corruzione, è stato finalmente sottoposto a interrogatorio di garanzia. 

Evidentemente consapevole che tutto quanto dichiarato nelle più di 8 ore di interrogatorio sarebbe automaticamente finito sui giornali di oggi o domani, Toti ha scelto di rendere pubblica la memoria prodotta ad integrazione di quanto detto. 

Una mossa comunicativa inedita, molto coraggiosa, che ha consentito alle sue argomentazioni di trovare un minimo di spazio sulle pagine di quei giornali che, pur dando ampio spazio alla notizia, evitano di avere un atteggiamento aprioristicamente colpevolista. 

Sì, sono pochi, o meglio non tanti, ma quantomeno consentono di mitigare la dilagante ondata di rinnovato giustizialismo che quotidianamente riempie le nostre orecchie di intercettazioni lette da attori con cadenze da Padrino e i nostri occhi di banalissime foto in barca che vengono raccontate come fossero Gomorra. 

Bene quindi ha fatto Toti a tentare di gestire la comunicazione del processo mediatico, consapevole di quanto questo sia il momento in cui maturano convincimenti che nessuna sentenza potrà mai scalfire. Le frasi boccaccesche di Spinelli o le espressioni triviali sue o di un suo collaboratore sono etichette indelebili anche a fronte di eventuali assoluzioni. 

A volte ci chiediamo se questa situazione vada bene agli operatori della giustizia, a chi svolge il mestiere di inquirente e di giudicante senza cercare la visibilità o il percorso verso la politica.

A volte ci sembra che la macchina dell’informazione giudiziaria tenda a sovrastare suo malgrado chi vorrebbe solamente lavorare per la giustizia, e non che sia la giustizia a lavorare per i propri interessi personali. 

In assenza di una riflessione seria sul problema e di interventi che dovrebbero provenire in primis dall’organo di autogoverno della Giustizia, a chi si trova nella tempesta del processo mediatico non resta che iniziare a difendersi da lì, prima ancora di arrivare all’eventuale “giusto processo”.