Innovazione

Cosa serve per completare la transizione digitale. Intervista con Pierfrancesco Angeleri, Presidente di Assosoftware

15
Novembre 2022
Di Andrea Sivo

«Il freno principale verso un’adozione più estesa e interconnessa delle soluzioni gestionali è di natura culturale. Resta, infatti, stabile al 51% il numero di PMI che detiene del personale dedicato all’IT e al digitale», parola di Pierfrancesco Angeleri, Presidente di Assosoftware, uno dei principali stakeholder nel processo di transizione digitale in Italia. Un settore di importanza strategica per il nostro Paese, basti pensare che le aziende che operano nell’ambito del software e dei servizi a esso correlati hanno generato nel 2021 un fatturato di 51,3 miliardi di euro, in crescita del 14% rispetto al 2020. Angeleri oggi presenterà con la sua associazione la ricerca 2022 “Il mercato dei software gestionali: stato di maturità e leve per la crescita nelle PMI e nella PA”, organizzata dagli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, che sarà un’occasione utile per rilanciare le istanze del settore alla politica, tra cui la necessità di investire nella diffusione delle competenze digitali.

Pierfrancesco Angeleri

La pandemia ha accelerato la trasformazione della società verso il futuro digitale, rendendoci tutti più consapevoli di quanto le nuove tecnologie facilitino la nostra quotidianità e permettano alle imprese di essere più resilienti e sostenibili. Qual è lo stato dell’arte sulla transizione digitale del nostro Paese?
«La pandemia ha fatto maturare una nuova consapevolezza nel Paese sull’importanza del digitale per le imprese di ogni settore. L’adozione di strumenti digitali a supporto dei processi è cresciuta, anzitutto per una risposta tattica all’emergenza, che ha portato le applicazioni a proliferare in poco tempo. Questo è evidenziato dalla crescita del business riscontrata dai produttori di software, che caratterizza un settore in buona salute nonostante gli anni di crisi pandemica. La maturità di utilizzo da parte delle organizzazioni è lievemente cresciuta, dopo una prima adozione contingenziale. Aziende e PA hanno avviato un percorso di consolidamento della tecnologia. Manca ancora però un vero commitment organizzativo alla revisione delle modalità di lavoro e una chiara visione strategica sul digitale, che faccia leva anche sui software gestionali».

Come sta evolvendo il mercato dei software gestionali negli ultimi anni? Quali riscontri avete?
«Nel 2021, le aziende che operano in Italia nell’ambito del software e dei servizi a esso correlati hanno generato un fatturato di 51,3 miliardi di euro, in crescita del 14% rispetto a quanto registrato nel 2020. Le PMI e le grandi imprese rappresentano l’86% del mercato, per un totale di 44,2 miliardi di euro, mentre le microimprese arrivano a 7,1 miliardi. Il comparto delle aziende produttrici di software gestionali in Italia sfiora i 20 miliardi di euro di fatturato nel 2021 (+16%). Cresce la maturità di utilizzo nelle organizzazioni: il 93% delle PMI ha adottato almeno un software gestionale. È ancora diffusa la frammentazione applicativa ma si è iniziato a lavorare al consolidamento dei dati. I principali freni alla trasformazione sono di natura culturale. Cresce la consapevolezza dell’importanza del digitale, ma solo il 9% delle PMI e il 7% delle Pubbliche Amministrazioni intervistate possono definirsi “avanzate” secondo l’indice di maturità nell’utilizzo dei software gestionali messo a punto dalla ricerca promossa da AssoSoftware in collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano».

La ricerca 2022 “Il mercato dei software gestionali: stato di maturità e leve per la crescita nelle PMI e nella PA” mette in evidenza una maggiore consapevolezza di PMI e PA sui benefici derivanti dall’utilizzo di software gestionali. Tuttavia, ci sono ancora una serie di criticità che ostacolano l’adozione di queste piattaforme. Quali sono le principali problematiche che sono state riscontrate?
«Le PMI e le PA avanzate nel percorso di trasformazione sono ancora poche ma i casi di successo evidenziano benefici tangibili legati all’efficienza e all’efficacia dei processi. L’impatto potenziale di queste soluzioni sul sistema paese è significativo ma deve essere correttamente guidato. Enti e aziende dichiarano una mancanza di risorse finanziarie e competenze per poter accelerare: è necessario che tutto l’ecosistema, a partire dalle istituzioni fino agli attori del mercato, si muova in modo coordinato per favorire questo percorso, promuovendo piani di incentivazione e lavorando alla creazione delle competenze digitali nel Paese, ambito su cui l’Italia è particolarmente indietro rispetto al resto d’Europa».

Quali sono i benefici dell’adozione di soluzioni gestionali nella PA?«La consapevolezza della rilevanza strategica di questi software è ormai radicata, in ambito sia pubblico sia privato, anche se con obiettivi diversi. L’indice di maturità nell’adozione del software evidenzia i passi in avanti nella Pubblica Amministrazione. Il beneficio maggiormente riscontrato risiede nella trasparenza e nel controllo sui processi dell’ente (rilevante nel 74% dei casi), seguito dalla qualità del patrimonio informativo (72%), dalla capacità di supportare nuove modalità di lavoro come lo smart working (72%) e la maggiore interoperabilità tra applicativi e processi (71%). Grazie alle soluzioni gestionali, è possibile infatti monitorare in modo trasversale i processi, avendo chiare le responsabilità e lo stato di avanzamento, rendendoli più snelli e interconnessi, oltre che gestibili anche al di fuori dalle sedi dell’ente. Analizzando la distribuzione dell’indice nella Pubblica Amministrazione, si osserva invece come solo il 7% del campione di enti locali analizzati può definirsi avanzato. Pur registrando un indice di adozione complessivamente più elevato di quello delle PMI, nella maggior parte dei casi queste realtà non presentano un approccio maturo all’utilizzo delle nuove soluzioni, in quanto prevalentemente frutto di obblighi e adempimenti piuttosto che di una reale visione strategica sul digitale».

Uno dei gap principali sul digitale che l’Italia sconta rispetto ai partner europei riguarda la diffusione delle digital skills tra i cittadini: secondo i dati del Desi 2022 della Commissione europea, il nostro Pese è quartultimo in Europa nella classifica relativa alle competenze digitali di base. Quali sono le politiche da mettere in campo, a suo parere, per favorire la diffusione di una cultura digitale?
«Il freno principale verso un’adozione più estesa e interconnessa delle soluzioni gestionali è di natura culturale. Resta, infatti, stabile al 51% il numero di PMI che detiene del personale dedicato all’IT e al digitale. Il dato sale alla totalità del campione delle PA, aiutato però dall’obbligatorietà per ciascun ente di detenere un responsabile per la transizione digitale: solo il 35% del campione ha altro personale dedicato a supporto di questo ruolo. Nel comparto delle imprese e degli enti medio-piccoli è difficile investire nel digitale e nell’arricchimento delle competenze in questa direzione, spesso manca una visione strategica sul tema, che porta a un utilizzo puntuale di soluzioni per rispondere a esigenze tattiche o, nel caso del mondo pubblico, ad adempimenti dettati dalla politica».

Con l’avvio della XIX Legislatura e la formazione del governo Meloni si sta aprendo una fase politica nuova. Quali sono le vostre proposte al nuovo Esecutivo per vincere la sfida della digital transformation, già a partire dalla prossima Legge di Bilancio?
«Incentivare l’adozione dei softwaredi gestione dei processi aziendali (ora esclusi), incrementando il credito d’imposta al 40% per il triennio 2023-2025, e incentivando con un ulteriore 10% i progetti di filiera tra imprese e/o PA.
Incentivare le attività di R&S, con l’obiettivo primario di mantenere in Italia i vantaggi degli investimenti in prodotti software, fondamentali per avere una strategia tecnologica digitale competitiva a livello continentale e mondiale: anche qui con un credito d’imposta del 40% per gli investimenti in R&S di nuovi prodotti e del 20% per gli investimenti mirati al miglioramento di prodotti esistenti.
Infine, ma non ultimo, incentivare la formazione sul digitale che èl’asset strategico per l’integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi e nei servizi. Occorre mantenere il credito d’imposta per la formazione esistente per riqualificare i profili già operativi in azienda, ma anche semplificare la burocrazia per accedere all’agevolazione. Infine, è necessarioampliare anche i soggetti erogatori, includendo anche i produttori di software e piattaforme oggetto della formazione. La formazione è un driver fondamentale per la crescita delle professionalità impiegate nelle aziende».

Lei è stato recentemente eletto Presidente di AssoSoftware. Su quali basi fonderà la sua proposta di rappresentanza di un intero settore?
«Il comparto del digitale, per via della pervasività delle soluzioni tecnologiche e del ruolo che queste hanno nel creare valore attraverso la rivisitazione in ottica “intelligente” di attività e processi, assume un peso crescente negli attuali sistemi economici. Oggigiorno, il livello di maturità digitale è uno dei principali indicatori per misurare il livello di sviluppo di un sistema paese e la sua capacità di competere nei mercati internazionali. In tale scenario, l’industria del software assume un ruolo strategico, in quanto fattore abilitante ed elemento di traino per lo sviluppo economico. Tuttavia, come dimostra la ricerca realizzata con gli Osservatori del Politecnico di Milano, il nostro Paese ha ancora un ampio gap da colmare. Questo divario, però, rappresenta per il nostro comparto una grande opportunità, in quanto indica la presenza di ampi spazi da sfruttare per accompagnare le imprese nel necessario percorso di evoluzione tecnologica. Inoltre, ci sono alcuni elementi che potranno fare da acceleratore allo sviluppo digitale del paese, dal rafforzamento nell’utilizzo di tecnologie determinato dalla pandemia Covid-19, alle risorse finanziarie che saranno messe in campo con il PNRR, al processo di digitalizzazione della PA intrapreso dai governi negli ultimi anni. È in tale contesto che matura il programma per la presidenza 2022-2026, disegnando un percorso di evoluzione dell’Associazione nell’ottica di rafforzarne la capacità di rappresentare appieno le imprese del settore, facendo valere il ruolo strategico che assumono per lo sviluppo dell’intero Sistema Paese, e la capacità di generare valore per gli associati attraverso la realizzazione di servizi in aree rilevanti di interesse comune».

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