Innovazione

BeReal, il social che punta alla sincerità

12
Ottobre 2022
Di Daniele Bernardi

“Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu”. La frase, originariamente scritta dai fratelli Grimm per la favola di Tremotino, è oggi spesso affiancata al mondo dei social media e resa nuovamente di uso comune dal documentario The Social Dilemma prodotto da Netflix. Il film, attraverso interviste ad esperti del settore, mette in guardia gli utenti dai pericoli che nasconde il nostro schermo, o meglio, il nostro feed di Instagram (o di un qualsiasi altro social network).

La frase è particolarmente azzeccata per il modello di business delle principali piattaforme online: da Facebook a TikTok, la monetizzazione è interamente basata sul tempo che tu utente passi sul mezzo e, dunque, l’obiettivo delle società è farti rimanere attaccato allo schermo il più a lungo possibile. Per far questo, l’algoritmo che suggerisce i contenuti le prova tutte, raccogliendo sempre più informazioni sui tuoi gusti e mostrandoti video e foto sempre più addictive. Ma deve per forza andare così? È possibile che non vi sia un altro modello di social network?

Ebbene sì, o almeno, ci si sta provando. Nel 2020, Alexis Barreyat e Kevin Perreau hanno lanciato BeReal, “non un altro social” si legge nella pagina dell’App Store. In effetti, fin da subito ci si rende conto che la piattaforma, di passaporto francese, è ben diversa da come abbiamo inteso i social media finora. Come si evince dal nome, il focus di BeReal è la realtà: basta filtri, foto ritoccate e quegli account perfetti ma che poi, sotto sotto, di perfetto non hanno nulla. Con BeReal si torna alla sincerità.

Ma bando alle ciance, come funziona effettivamente questa piattaforma? Seppur appartenente alla GenZ, al momento in cui ho saputo di dover scrivere un articolo su questo social, non avevo ancora BeReal. Ho pensato che fosse ipocrita scrivere di qualcosa (soprattutto qualcosa a pochi ‘click’ da me) senza neanche provarla, così ho installato il social, ho creato il profilo ed ho iniziato ad utilizzarlo.

Il funzionamento è semplice: in una data ora del giorno, ricevi una notifica che recita “Time to BeReal. 2 minuti rimasti per catturare un BeReal e vedere cosa fanno i tuoi amici!”. A questo punto si avranno effettivamente due minuti per scattare una foto, ovunque ci si trova, e caricarla sulla piattaforma. Piccolo dettaglio: verranno scattate contemporaneamente due foto, una con la fotocamera esterna e una con quella interna, pubblicate assieme. L’idea è quella di non lasciare nulla fuori dall’obiettivo ma piuttosto trasmettere la pura realtà del momento, a 360 gradi.

Quando pubblichi la tua foto puoi decidere se renderla visibile a tutti (in quel caso finirà nella sezione Discovery) o solo ai tuoi amici e possono essere aggiunte all’immagine captions e posizione. Altra regola: se non pubblichi, non puoi vedere cosa hanno pubblicato gli altri. C’è da dire che la tempistica dei due minuti può facilmente essere aggirata, è infatti possibile pubblicare fuori da quel lasso di tempo ma, in quel caso, sotto lo scatto, verrà segnalato con quanto ritardo è stato fatto.

Oltre alla mia personale esperienza, per l’occasione ho domandato ad alcuni normali utenti di BeReal cosa ne pensassero della piattaforma e della sua vision. Fin da subito gli utenti hanno fatto emergere alcune particolari distinzioni tra i diversi social: su BeReal “metto delle foto che su Instagram non pubblicherei mai” dice Elisa, una ragazza di 23 anni. Mentre Vincenzo, un altro ragazzo, spiega che l’uso di BeReal “è molto più personale e limitato rispetto ad Instagram o TikTok”, “non si rincorrono i follower”. Spesso gli amici su BeReal sono, come recita anche il motto dell’azienda, “i tuoi amici, davvero”. In effetti, la genuinità degli scatti e dei momenti che si condividono, portano gli utenti a circoscrivere molto di più la propria lista di amici.

Altro elemento sollevato da queste interviste è il rapporto tra autenticità ed intrattenimento. L’autenticità non porta intrattenimento, partiamo da qui. Facendo un giro veloce sul proprio feed è facilmente evidente: le foto sono spesso di cattiva qualità, scattate sul momento e prive di preparazione, spontanee sì ma poco aesthetic. Inoltre, non tutti conduciamo una vita entusiasmante e ricca di colpi di scena, anzi, i contenuti pubblicati su BeReal mostrano proprio come la quotidianità sia in un certo senso deludente e spesso simile a quella di tutti gli altri. Sono in molti ad aver ironizzato questo aspetto della piattaforma, come il creator digitale @turboapolo che ha messo insieme alcuni suoi BeReal in un reel di Instagram.

La formula funziona? Presto per dirlo, ma intanto BeReal continua a crescere. In un anno il social ha raggiunto 21,6 milioni di utenti, erano meno di 1 milione un anno fa (921 mila). Certo, è ancora molto lontano dal miliardo e mezzo di utenti di TikTok (per non parlare dei quasi 3 miliardi di Facebook), ma promette bene e c’è chi come Accel, società americana che ha investito in Facebook, Dropbox e Spotify (tanto per citarne alcune), ha staccato un assegno di 30 milioni di euro per entrare in affari con la piattaforma di stanza a Parigi.

Pare inoltre che, dopo essersi “inspirato” alle storie da Snapchat e ai Reel da TikTok, Instagram stia mettendo a punto una funzione che dovrebbe assomigliare ai post su BeReal: la Candid Challenge, una sorta di storia da pubblicare entro due minuti dalla notifica con visualizzazioni limitate. Ma è ancora presto per sapere effettivamente se e come Meta deciderà di far propria questa funzione.

Se da un lato c’è chi esalta le gesta del nuovo social network, c’è anche chi non la pensa così e sostiene si tratti solo di un fenomeno passeggero. Il pericolo in effetti che finisca come Clubhouse, il social che è stato la moda del lockdwon nella primavera del 2020 ed è poi scomparso nel giro di alcuni mesi, è reale.

Comunque andrà, a BeReal va riconosciuto un merito non da poco, ovvero quello di aver ridato dignità alla sincerità, alla semplicità, alle nostre vite imperfette e spesso monotone e averci ricordato che non siamo gli unici a non aver fatto quella vacanza da sogno alle Hawaii o ai Caraibi quest’estate.