Food

La guerra parallela, quella del pane

28
Maggio 2022
Di Beatrice Telesio di Toritto

Nonostante Odessa sia stata soltanto sfiorata dalla guerra russo-ucraina, il suo porto – il più importante del Mar Nero – è sotto il controllo di Mosca che impedisce da lì le esportazioni via nave di grano e altri prodotti agricoli. Ad oggi, infatti, tonnellate e tonnellate di cereali rimangono ferme nei granai di Odessa. Ciò non solo sta soffocando l’economia ucraina, già in forte difficoltà, ma rischia anche di provocare una emergenza alimentare con gravi ripercussioni a livello globale, come dichiarato dal World Food Programme. Come è noto infatti, Russia e Ucraina producono nel loro insieme un terzo del commercio globale di grano e diversi paesi mediterranei ed africani importano circa il 75% del loro fabbisogno alimentare da Kiev. Luoghi come lo Yemen, il Libano, la Siria ma anche lo Sri Lanka, il Tagikistan e il Laos rischiano così di pagare un prezzo altissimo a causa di tale blocco e del conseguente aumento del costo delle risorse alimentari.

Nonostante la Russia abbia smentito a più riprese l’accusa di star usando il cibo come un’arma, di fatto tiene sotto scacco milioni di persone. Sembra infatti difficile non pensare a questa come una mossa strategica per abbattere le risorse e il morale ucraini e aggiungere pressione al sistema internazionale, sperando di forzare così un allentamento delle sanzioni occidentali. È probabile allora che la Russia stia cercando di compensare le difficoltà riscontrate sul piano terrestre con il controllo dei porti ucraini.

Si sta così delineando con chiarezza una “guerra del pane”, che si aggiunge a quella del petrolio e del gas con conseguenze potenzialmente devastanti per tutti. La comunità internazionale si sta allora mobilitando per trovare una soluzione, essendo la questione diventata materia di sicurezza nazionale non solo per l’Ucraina. L’emergenza alimentare è infatti stata messa al centro delle discussioni nelle sedi dell’Onu e dell’Ue, a cui Volodymyr Zelensky si è rivolto, sfruttando la platea di Davos, per ottenere supporto: «La comunità mondiale ci aiuti a riaprire i porti marittimi, altrimenti la crisi energetica sarà seguita da quella alimentare. Ci sono diversi modi per farlo, uno è l’esercito» avverte il Presidente ucraino. In questi giorni si sta immaginando come si possa concretizzare un intervento internazionale che permetta di fatto ai mercantili di salpare da Odessa. Alcune le ipotesi sul tavolo. L’ammiraglio americano James Stavridis ha parlato di una missione della Nato per scortare le navi commerciali bloccate nei porti. Ma qualsiasi intervento diretto da parte occidentale porta con sé un rischio altissimo di escalation del conflitto, così come già ampiamente discusso con la questione della “no fly zone” sui cieli ucraini. Senza contare che, in qualsiasi caso, una missione via mare dovrebbe fare i conti con le mine sparse dall’esercito ucraino nelle acque del Mar Nero per ostacolare un’invasione russa. Un problema non da poco, come ricorda un vecchio detto militare riportato da Marta Dassù in un pezzo su La Repubblica: «mettere una mina è facile, toglierla è un’impresa». Si possono allora fornire armi a Kiev per rompere il blocco imposto da Mosca, così come stanno facendo Stati Uniti e Gran Bretagna o anche la Danimarca che, come annunciato lunedì nel summit di Washington, ha intenzione di fornire gli Harpoon, missili antinave a lungo raggio. Ma sono in pochi a credere in un intervento militare di questa portata. Si è ipotizzato anche di utilizzare vie terresti e non marittime per il trasporto del grano, ma il rischio di bombardamenti russi sarebbe troppo alto e i tempi di realizzazione troppo dilatati.

Una soluzione però deve essere trovata per scongiurare lo spettro di un’emergenza alimentare, come discusso anche dal Presidente del Consiglio Mario Draghi nell’incontro a Roma con il Premier bulgaro Kiril Petkov questo lunedì. Il Premier italiano aveva già fatto notare come molti Paesi, soprattutto in Africa e Medio Oriente, siano più vulnerabili che mai ai rischi legati al blocco del grano, temendo inoltre che ciò possa generare una forte instabilità politica e sociale in loco.

A parlare poi di come tutto ciò possa avere delle ripercussioni dirette sull’Italia è Adolfo Urso, Presidente del Copasir, secondo cui l’obiettivo della Russia sarebbe quello di creare una crisi tale da scatenare un processo migratorio che dall’Africa investa il nostro Paese. Anche il Ministro degli esteri Luigi Di Maio, dopo aver preso atto dell’insuccesso del Piano per la pace presentato all’Onu la settimana scorsa, ha dichiarato che nei prossimi giorni l’Italia lavorerà duramente affinché almeno una parte del grano presente in Ucraina sia evacuata. «E chissà se proprio un compromesso tra le parti sulla food security non possa costruire la strada per un dialogo che porti alla pace» si chiede Di Maio, sottolineando così come gli obiettivi alimentari dei nostri Paesi abbiano il potenziale per far cessare il conflitto.

Su questa spinta, giovedì pomeriggio Draghi ha telefonato al Presidente russo Vladimir Putin, dichiarando di aver sentito la responsabilità di trovare con lui una soluzione condivisa alla crisi alimentare in atto e alle sue gravi ripercussioni sui Paesi più poveri del mondo: «c’è in gioco la vita di milioni di persone» ha detto il Premier in conferenza stampa. Il Cremlino di risposta ha assicurato di essere disposto a collaborare per il superamento della crisi sebbene Putin, aggiunge Draghi, ritenga che la colpa dell’emergenza alimentare sia da imputare alle sanzioni occidentali senza le quali la Russia avrebbe potuto esportare il grano. Sarà forse un tentativo vano ma sembra che un piccolo – forse troppo – spiraglio di dialogo allora possa aprirsi.