Esteri

Ucraina: verso il G20, la guerra altera i percorsi della diplomazia

06
Settembre 2023
Di Giampiero Gramaglia

La guerra in Ucraina altera i percorsi della diplomazia internazionale e ne manda in tilt le agende: sabato e domenica, il G20 in India, a New Delhi, si annuncia come una negazione del conflitto – l’Ucraina non è stata invitata, perché la presidenza di turno indiana non giudica il tema centrale -, dopo che i Brics ad agosto hanno ridisegnato il loro perimetro in funzione anti-occidentale o, almeno, in alternativa al G7, evitando di criticare la Russia per l’invasione.

Un anno fa, il G20 in Indonesia era stato dominato dalla guerra in Ucraina e aveva sciorinato divisioni e diffidenze nel Gruppo, dove Cina e India – i due quinti della popolazione mondiale – e diversi altri Paesi non condividono le scelte di Usa, Nato e Ue: sanzioni a Mosca e aiuti ad oltranza a Kiev.

Il segretario di Stato Usa Anthony Blinken giunge nella capitale ucraina, per recapitare a domicilio l’ennesimo pacchetto di sostegno militare e finanziario, del valore di un miliardo di dollari – dopo le munizioni a grappolo, ci sono dentro quelle all’uranio impoverito: il peggio dei nostri arsenali -. Mosca chiosa: “è la conferma che gli Usa vogliono continuare la guerra “fino all’ultimo ucraino”.

Blinken, però, deve pure fare sapere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che, avvicinandosi le presidenziali 2024, l’Amministrazione Biden avrà problemi a continuare ad essere così generosa con l’Ucraina e troverà resistenze, specie nella Camera a trazione repubblicana.

Anche i Paesi Nato e Ue hanno atteggiamenti altalenanti: se la Polonia e i Baltici sono pro-Ucraina al cento per cento e Svezia, Danimarca e Olanda promettono F-16, il Belgio afferma di non poterli consegnare a Kiev perché sono “in cattive condizioni”.

Zelensky, dal canto suo, vive un difficile momento. Nel pieno d’una controffensiva dall’esito tuttora incerto, ma che negli ultimi giorni sembra trovare un qualche vigore, il presidente decide di privarsi del ministro della Difesa Oleksii Reznikov e di rimpiazzarlo con un suo sodale, Rustem Umerov, finora capo del Fondo del Demanio. Su Reznikov c’è un sospetto di corruzione per forniture militari a prezzo gonfiato.

Anche nella prospettiva delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo – si voterà sia in Ucraina che in Russia, oltre che negli Usa -, la mossa pare coerente cogli impegni anti-corruzione del partito di Zelensky e con le sollecitazioni in tal senso degli alleati dell’Ucraina, Nato e soprattutto Ue – senza riforme in tal senso, l’adesione è una chimera -. Ma chi si batte per la democrazia e i diritti teme – scrive Politico – che il giro di vite anti-corruzione e l’idea di equiparare, in tempo di guerra, i delitti di corruzione e di tradimento finiscano col dare più potere ai servizi di sicurezza.

Il presidente russo Vladimir Putin, dal canto suo, ha visto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che cerca di riannodare le fila della pace del grano durata un anno – da luglio a luglio –, ma poi saltata: l’incontro a Sochi è un flop. Erdogan, però, non desiste: per garantire alle navi che partono dai porti del Mar Nero cariche di cereali un corridoio sicuro, “la Russia – spiega – ha due richieste: il collegamento della Banca russa dell’Agricoltura al sistema Swift, e l’assicurazione dei carghi”. Il leader turco promette novità “a giorni”.

Su tutt’altro registro, Putin, secondo la Casa Bianca, progetta di incontrare entro fine mese il leader nord-coreano Kim Jong-un, per discutere di scambi di armi, tecnologia e rifornimenti. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non conferma né smentisce: “Non abbiamo nulla da dire su questo”.

Gli Stati Uniti sono sempre più preoccupati della capacità di Mosca d’acquisire forniture militari, nonostante le sanzioni. La mossa di Putin di ricevere Kim, ‘sdoganato’ alla comunità internazionale dall’allora presidente Usa Donald Trump, che lo incontrò tre volte, una sul confine fra le due Coree, sarebbe in sintonia con la ricerca russa di approvvigionamenti militari: dopo i droni e l’artiglieria dall’Iran, missili e obici da Pyongyang? Per la ricerca della pace, nessuno, tranne Papa Francesco, mostra fretta.

Eppure, la guerra non dà tregua. Sulle perdite, Mosca e Kiev danno cifre sporadiche, probabilmente inattendibili. Dopo che l’intelligence statunitense ha stimato a mezzo milione i militari caduti nell’arco di 18 mesi sui due fronti, il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu dice che l’Ucraina ha perso 66 mila soldati – quasi 800 al giorno in media – nella sua controffensiva, che, in tre mesi “non ha raggiunto i suoi obiettivi in nessun settore” (parole di Shoigu).

I bollettini di guerra si riducono a elenchi di droni e missili intercettati –anch’essi non del tutto
attendibili – e di edifici civili colpiti. Ma la tragedia è sempre immanente: mentre Blinken è a Kiev,
un attacco russo sul mercato di Kostyantynivka, nell’Ucraina orientale, uccide almeno 16 persone,
fra cui un bambino, e ne ferisce una ventina. E’ uno degli episodi più cruenti degli ultimi mesi.
I tamburi della propaganda continuano a rullare. Putin rinnova le accuse a Zelensky: è “disgustoso”
– dice – che, nonostante le origini ebraiche, il presidente ucraino si presti “a glorificare il nazismo e
coloro che guidarono l’Olocausto in Ucraina”, con lo sterminio di “un milione e mezzo di persone”.
Kiev ribatte: “Nazista è Putin, che usa la Shoa per giustificare i suoi crimini”.

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