Esteri

Ucraina, Draghi ottiene l’unità nazionale in Parlamento. L’asse pacifista tra sinistra e M5S

02
Marzo 2022
Di Ettore Maria Colombo

«Per avere la pace bisogna volere la pace, e chi ha più di 60 chilometri di carri armati alle porte di Kiev non vuole la pace», dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante il suo intervento alla Camera dei deputati dove si votano le risoluzioni sull’Ucraina. Per una volta, le risoluzioni al voto in Parlamento sono importanti, solenni. E non solo perché c’è una terribile guerra in corso.

Viene ‘derogata’ la legge sull’invio delle armi.
Bisogna derogare a una legge, la 185/1990 che vieta la vendita di armi a un Paese belligerante e non è che sia successo tante volte, da allora. Gli interventi militari dell’Italia post fine del Muro ci sono stati, ma la fattispecie ha un solo precedente: le armi per i curdi contro l’Isis nel 2014. Infatti, per paradosso, tutte le altre volte che l’Italia ha votato, come Parlamento, per prendere parte a una guerra si è trattato non di ‘semplice’ invio di armi, ma di invio di veri e propri contingenti militari. Nell’ordine, Guerra del Golfo (1991), presidente del Consiglio Andreotti; Somalia (1992, missione Ibis), presidente Amato: Bosnia (1995), presidente del Consiglio Dini; Albania (1997, missione Alba), presidente Prodi; Kosovo (1999), presidente D’Alema; Afghanistan (2001, missione Enduring Freedom), presidente Berlusconi; Libia (2011), Iraq (2014, armi ai curdi contro l’Isis, il caso davvero paragonabile).

L’Occidente sta armando Kiev e l’Italia fa la sua parte. Il ministro alla Difesa, Lorenzo Guerini, ha firmato il decreto che indica la quantità di armi da spedire, le modalità e i tempi, ma il decreto è stato secretato. Per ora bisogna accontentarsi di sapere che la nostra Difesa fornirà missili Stinger antiaerei, missili Spike controcarro, mitragliatrici Browing, mitragliatrici Mg e munizioni.

I voti sulla doppia risoluzione parlamentare
La risoluzione parlamentare di ieri è largamente unitaria sia al Senato sia alla Camera, dove però viene votata non per intero ma su parti separate. Abbraccia l’intero arco parlamentare che va dalle forze di maggioranza (Lega-FI-M5s-Pd-LeU-Iv e altri gruppi minori) fino a quelle di opposizione (Fd’I). Il Parlamento approva con 224 voti al Senato, su un unico testo, e con i sì che oscillano dai 459 ai 521 voti alla Camera perché si vota per parti separate, che sono addirittura ben 12 (barocchismi parlamentari). La risoluzione chiede anche il ritiro delle truppe russe e il sostegno ai negoziati.

I voti contrari e gli astenuti. Il caso Petrocelli
In tutto ci sono stati 13 senatori contrari al Senato (12 di loro sono pasdaran ex M5s più Paragone di Italexit). A Palazzo Madama, poi, assenti non giustificati risultano 8 senatori di FI, cinque M5s, due di Iv e Lega, e si è astenuto il leghista Carlo Doria. Mentre sono 25 i voti contrari alla Camera (sempre di Alternativa, gli ex M5s) e 12 le astensioni, nel solo punto che riguardava l’invio di armi: tra questi spiccano 3 leghisti (Vito Comencini, Matteo Micheli ed Elena Murelli), due deputati di Forza Italia (Matteo Dall’Osso e Veronica Giannone), uno di LeU (Fratoianni), oltre agli altri ex M5s di Alternativa, del Misto e della componente Manifesta. Tra gli astenuti sull’invio di armi spicca Laura Boldrini del Pd. Astensione anche per Stefano Fassina, Erasmo Palazzotto (Pd) e Maria Flavia Timbra di LeU.

Un secco no ad aiutare l’Ucraina che fa clamore, al Senato, è quello del presidente di una commissione non qualsiasi, quella degli Esteri, il pentastellato Vito Petrocelli, di cui molti gruppi (Pd e Iv in testa) chiedono dimissioni. Che, però, non arrivano. Lui si trincera dietro un lapidario “mandare le armi è sbagliato”, ma non parla in aula. È stato l’unico grillino a votare contro quanto richiesto da Conte: trattandosi di una risoluzione, al momento non sono previsti, almeno per ora, provvedimenti disciplinari come sarebbe nel caso di voto di sfiducia al governo.

D’altra parte, le venature ‘pacifiste’ non mancano in tutto il gruppo pentastellato. La stessa capogruppo al Senato, Mariolina Castellone, non nasconde i suoi dubbi: “Votiamo sì, ma è una scelta compiuta con grande dolore”. Il pressing ‘pacifista’ dell’ex leader, Alessandro Di Battista, fa proseliti e il caso Petrocelli scoppia nelle chat. L’ex reggente Vito Crimi chiede provvedimenti, che non vengono presi, ma nei prossimi giorni i critici di Petrocelli, specie nell’ala dei dimaiani (il ministro degli Esteri si è schierato in modo netto dalla parte di Ucraina) torneranno a farsi sentire. Il M5s, più della Lega, oscilla pericolosamente tra atlantismo e pacifismo.

L’intervento di Draghi: duro, teso, emotivo
Draghi la mette giù dura e secca nei due interventi che tiene prima al Senato, di mattina, e poi alla Camera, nel tardo pomeriggio, con passaggi di forti emotività: cita De Gasperi (“Siamo pronti a costruire un mondo più giusto e più umano”, riecheggia la pavidità delle potenze alleate durante la politica di aggressione di Hitler all’Europa prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale (“L’aggressione a un paese vicino ci riporta indietro a più di ottant’anni fa”). «L’Italia non si volta dall’altra parte davanti all’attacco ingiustificato della Russia all’Ucraina», dice il premier, che schiera il nostro Paese al fianco degli alleati Ue e Nato e chiede al Parlamento di approvare una scelta che giudica, appunto, «senza precedenti»: inviare armi a un Paese in guerra. Draghi vuole «una condanna completa dell’orrore» e addita Putin al pubblico ludibrio sfidandolo ad ascoltare «le voci dei russi che protestano e che vengono arrestati» e di «abbandonare i suoi piani di guerra». Certo, Draghi un ramoscello di pace lo offre («non siamo rassegnati alla guerra, farò di tutto per cercare la pace»), ma «oggi è difficile».

Gli applausi dell’aula e i problemi che si aprono
Molti gli applausi delle due aule: sulla solidarietà agli ucraini che combattono «con coraggio», quando ringrazia l’ambasciatore Zazo a Kiev. Il premier rinnova l’invito della Farnesina a lasciare il Paese, con ogni mezzo, e posiziona l’Italia in prima fila anche sul fronte della crisi umanitaria. Chiede a Bruxelles di ripensare le regole sui migranti e intanto spiega che siamo pronti ad accogliere i profughi, semplificando le procedure. Ricorda che abbiamo già inviato fondi all’Ucraina e stanziato risorse qui per l’assistenza e che il governo è pronto a fare “tutto il possibile”, anche nei Paesi sul confine del conflitto, per far fronte “all’impatto di questa gigantesca migrazione”.

Nel frattempo, il governo si prepara alle conseguenze economiche di sanzioni che si è pronti a intensificare ancora – tra le proposte quella di un registro pubblico degli oligarchi vicini a Putin (e da cui l’Italia ha molto da perdere, più di tutti se Mosca decidesse di interrompere le forniture di gas). Il piano contro la crisi energetica impone di diversificare le fonti di energia, di guardare anche rigassificatori e al carbone (senza aprire nuove centrali).

Ma è un piano di emergenza, perché non ci sono problemi, almeno per ora, almeno non nell’immediato futuro. E soprattutto, “non cambia” le scelte di fondo sulla transizione energetica e la lotta ai cambiamenti climatici. E mentre il capo degli industriali Carlo Bonomi chiede un “comitato di crisi governo-Confindustria”, il premier in Aula spiega che certo, serviranno “nuove misure di sostegno” a famiglie e imprese – che potranno fare leva magari anche sui dati di molto superiori alle attese di Pil e deficit del 2021. Ma deve essere anche l’Europa ad agevolarle, dice ancora il capo del governo, mentre la Grecia ha presentato un meccanismo di solidarietà con prestiti ad hoc contro il caro energia e in Italia i 5S continuano a chiedere un Recovery fund post-bellico. Insomma, se la strada per ritrovare la pace è ancora lunga, quella per uscire dall’economia ‘di guerra’ che la guerra impone lo sarà ancor di più.

Gli interventi dei vari leader in Parlamento sono compresi dalla drammaticità del momento. Enrico Letta dice che «non sarà un’altra Sarajevo». Giorgia Meloni che «il nostro unico padrone è l’Italia, stiamo con il governo» (ma poi polemizza con Draghi). Matteo Salvini vuole «spalancare le porte ai migranti dall’Ucraina», ma, sottolinea, «ora è il tempo di dialogo e della diplomazia», strada su cui insiste anche Maria Elena Boschi (Iv), che chiede anche di “tenere sempre informato il Parlamento”, e, naturalmente, tutti i 5 Stelle e la sinistra. Berlusconi, preoccupato, telefona a Draghi. Per una volta, il Parlamento è (quasi) tutto compatto.

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