Esteri
Paesi Bassi: la breve parabola del governo Schoof e il ritorno alle urne il 29 ottobre
Di Marta Calderini
A meno di un anno dalle elezioni del novembre 2024, i Paesi Bassi si preparano a tornare alle urne. Il 3 giugno scorso, il primo ministro Dick Schoof ha rassegnato le proprie dimissioni dopo che Geert Wilders, leader del Partito per la Libertà (PVV), ha annunciato, tramite un post su X, il ritiro dei suoi ministri dalla coalizione di governo. La rottura ha reso impossibile la sopravvivenza dell’esecutivo, che già contava su una maggioranza risicata alla Tweede Kamer, la Camera bassa del Parlamento olandese. Il re Willem-Alexander ha accettato le dimissioni di Schoof e, su indicazione della Camera e del Consiglio elettorale, ha fissato le elezioni anticipate per mercoledì 29 ottobre 2025.
Il governo Schoof era nato con molte fragilità. Frutto di un accordo tra quattro forze molto diverse – l’estrema destra del PVV, i liberali del VVD, il Movimento dei contadini e dei cittadini BBB e i centristi cristiano-democratici del NSC – l’esecutivo si reggeva su una base parlamentare di 88 seggi su 150, in un sistema proporzionale tra i più puri d’Europa. La figura di Schoof, un tecnico indipendente ed ex capo dei servizi segreti civili, era stata scelta come sintesi tra posizioni troppo distanti per convergere su un leader politico. Un equilibrio precario, che ha resistito solo pochi mesi.
A far esplodere la crisi è stata, ancora una volta, la questione migratoria, da anni una delle principali linee di frattura nella politica olandese. Wilders aveva insistito per l’introduzione di nuove restrizioni al diritto d’asilo, tra cui una distinzione tra rifugiati temporanei e permanenti e un tetto più rigido al ricongiungimento familiare. Ma su questi temi BBB e NSC si sono opposti con decisione, temendo di scontentare il proprio elettorato, in particolare nelle zone rurali. Quando è apparso chiaro che il Parlamento non avrebbe approvato le sue proposte, Wilders ha scelto di rompere, preferendo un’uscita controllata dalla maggioranza per non perdere la faccia davanti alla sua base, che in larga parte – secondo i sondaggi – continua a sostenerlo.
La decisione di Wilders ha sollevato diverse critiche, a partire da Schoof che ha definito «irresponsabili e inutili» le dimissioni dei ministri di PVV, ma la caduta di questo governo non è stata una sorpresa per nessuno. Fin dalla nascita, l’esecutivo era apparso come una formula di compromesso temporaneo, più dettata dalla necessità di escludere la sinistra di GroenLinks-PvdA che da una reale convergenza politica. Nonostante l’assenza di gravi scandali o tensioni personali, le divergenze di fondo su clima, spesa pubblica, agricoltura e, appunto, immigrazione, hanno reso difficile qualsiasi programma coerente. Lo stesso Schoof, con un mandato da tecnico, non è riuscito a imporsi come figura di equilibrio duraturo.
Nel frattempo, il governo continuerà a gestire gli affari correnti fino al voto. Potrà occuparsi dei principali dossier internazionali, come il sostegno all’Ucraina e i negoziati commerciali con gli Stati Uniti, e presentare un bilancio provvisorio per evitare lo stallo amministrativo. Restano invece sospesi i progetti più divisivi, tra cui i tagli alle imposte sul reddito medio, le modifiche in materia di aborto ed eutanasia, e la controversa riforma agricola sostenuta dal BBB.
In vista del voto del 29 ottobre, gli osservatori prevedono uno scenario incerto. Gli istituti di ricerca pubblicheranno le prime intenzioni tra qualche settimana, ma gli analisti olandesi si aspettano che Wilders, forte del sostegno compatto del suo elettorato, potrebbe ottenere un buon risultato e rilanciare la sua centralità nel dibattito pubblico Wilders rendendo le prossime elezioni una sorta di referendum sulle sue proposte anti-immigrazione. Ma la frattura nella coalizione potrebbe anche favorire un rilancio del centrosinistra, guidato da Frans Timmermans, che già alle ultime elezioni aveva ottenuto un risultato solido con l’alleanza GroenLinks-PvdA. Il VVD, invece, si trova in una posizione difficile: stretto tra la tentazione di recuperare consensi a destra e la necessità di non perdere l’elettorato moderato, potrebbe vedere parte dei propri voti spostarsi verso partiti come NSC o Volt.
Il voto del 29 ottobre dirà se l’Olanda è pronta a spostarsi stabilmente a destra o se, come accadde dopo il 2010, tornerà a formule di centro-destra più moderate.
