Esteri

L’asse di Pechino: potere, spettacolo e rimodellamento del panorama geopolitico

06
Settembre 2025
Di Alessandro Caruso

Nel cuore di Pechino, in occasione della cerimonia dell’80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, si è consumata questa settimana una pagina di diplomazia spettacolare che ha riplasmato – almeno simbolicamente – gli equilibri globali. Il 2 settembre 2025, il 25° vertice SCO (Organizzazione della Cooperazione di Shanghai) ha portato sotto il cielo della capitale cinese le figure di Xi Jinping, Vladimir Putin e Kim Jong Un: un momento che, più di ogni altra cosa, consegna al mondo l’immagine di un asse consolidato tra Cina, Russia e Corea del Nord. La parata militare, massiccia e tecnologicamente avveniristica, era pensata come uno show di forza destinato all’opinione pubblica interna e alla platea geopolitica. Il messaggio era chiaro: la supremazia tecnologico-militare si abbina ad un riposizionamento strategico e ideologico. Xi Jinping ne ha fatto l’occasione per criticare “egemonismo e mentalità da guerra fredda”, invocando un multilateralismo più “giusto e ragionevole”, dove il Sud globale contesta l’ordine occidentale
Al summit bilaterale, Putin ha lodato Kim con frasi dai toni nostalgici ma potenti: “Russia e Corea del Nord lottano insieme contro il nazismo moderno” ha dichiarato, ringraziando Pyongyang per il contributo fornito nella guerra in Ucraina; Kim ha replicato ribadendo che “se serve, sarà nostro dovere fraterno fare tutto quanto possibile per aiutarvi”. La visita di Kim a Pechino – la prima dopo sei anni – ha suggellato una riappacificazione, con Xi che ha definito l’amicizia tra le due nazioni “immutabile”. L’agenda del summit si è concentrata su accordi strategici: rafforzamento della cooperazione – anche attraverso scambi tra alti funzionari – e promozione del coordinamento regionale e globale, con l’obiettivo di costruire una governance alternativa a quella occidentale e le reazioni oltreoceano non si sono fatte attendere. Negli Stati Uniti, il presidente Trump ha bollato il vertice come una congiura anti-americana, pur affermando di non esserne preoccupato: “Non useranno mai i loro militari contro di noi”, ha dichiarato, minimizzando la portata dell’incontro. Il Cremlino, attraverso il consigliere Ushakov, ha risposto definendo tali accuse “ironicamente esagerate”, sottolineando che nessuna cospirazione era stata pianificata. In Italia, l’eco degli eventi è meno vivace ma non assente: la diplomazia italiana osserva con cautela questa “rivitalizzazione” dell’asse emerso in Asia, consapevole delle implicazioni sul piano della sicurezza euro-atlantica e dei rapporti energetici, specie alla luce dell’espansione delle forniture russe verso Oriente. Il contesto, tuttavia, si arricchisce anche di tensioni militari che superano il palcoscenico di Pechino. Reagendo all’ostentazione di potenza, Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone hanno annunciato per il 15 settembre l’avvio dell’esercitazione congiunta “Freedom Edge”, un segnale chiaro di solidarietà e deterrenza regionale di fronte all’ascesa nordcoreana. Dietro la scenografia di parata e ammiccamenti ideologici, emerge un tentativo audace di ricollocare la Cina come epicentro di un blocco alternativo, che sfrutta la narrativa anti-imperialista per consolidare legami con regimi autoritari. La retorica del multilateralismo equo non è certo nuova, ma questa volta è accompagnata da simboli di potere e da patti concreti – e preoccupanti – sul fronte militare e strategico. Il vertice di Pechino non ha creato un’alleanza formale, ma ha rafforzato l’immagine di un asse coeso, una coalizione informale di autocrati legati da obiettivi comuni: arginare l’influenza occidentale, assicurarsi mutua protezione e costruire reti economiche alternative. Questo non significa necessariamente una guerra calda, ma una guerra fredda rinnovata con nuovi protagonisti.