Esteri

Israele nel Golfo

10
Febbraio 2022
Di Alberto de Sanctis

La scorsa settimana il presidente israeliano Isaac Herzog si è recato negli Emirati Arabi Uniti (Eau) dove ha incontrato il primo ministro e leader in pectore del paese, principe ereditario Mohammed bin Zayed al Nahyan. Il viaggio dello statista israeliano ha gettato le basi di una possibile cooperazione securitaria tra Gerusalemme e Abu Dhabi in un momento molto delicato per il paese del Golfo.

Nelle ultime settimane l’emirato arabo era stato oggetto di ripetuti lanci di missili e droni da parte dei ribelli yemeniti houthi, come sta già avvenendo contro l’Arabia Saudita. L’attacco più recente si è svolto proprio durante la visita di Herzog, mentre in precedenza erano stati bersagliati due gangli vitali dell’economia emiratina come la zona industriale e l’aeroporto di Abu Dhabi che hanno causato tre morti e sei feriti.

Gli houthi usano questi lanci per indebolire il sistema economico-finanziario degli Eau, fondato sull’attrazione di turisti e investimenti stranieri grazie alla sua garanzia di sicurezza. I ribelli hanno annunciato che le incursioni missilistiche continueranno qualora Abu Dhabi non dovesse cessare il supporto ai loro avversari nello Yemen meridionale.

In questi anni gli Emirati avevano ridotto fortemente la presenza militare nel paese dilaniato dalla guerra civile, salvo mantenere il sostegno ai loro clienti nel Sud per conservare una capacità di proiezione di influenza lungo la costa e nello strategico Golfo di Aden. Il parziale ritiro è avvenuto nel 2019, proprio mentre iniziavano i primi attacchi missilistici degli houthi contro l’Arabia Saudita.

Golfo di Aden

Grazie ai loro successi sul campo e dopo averli affrontati per circa due mesi nelle province di Ma’rib e Shabwa, a inizio 2022 i ribelli filo-iraniani entravano in contatto diretto con i gruppi armati filo-emiratini anche nel Sud dello Yemen. Questa svolta ha finito per chiamare direttamente in causa la strategia emiratina nel paese, complice il fatto che nello stesso frangente la dirigenza houthi rivolgeva le sue attenzioni contro gli Eau.

Il punto è che per rispondere alle minacce e difendersi dagli attacchi aerei, Abu Dhabi non può contemplare né l’avvio di una nuova escalation militare in Yemen né l’abbandono dei suoi clienti locali. La prima opzione comporterebbe costi e rischi difficilmente sopportabili in questa fase; la seconda implicherebbe la rinuncia alla proiezione marittima nello strategico collo di bottiglia che si protende fra il Corno d’Africa e la Penisola arabica e su cui l’emirato fonda buona parte delle sue ambizioni di potenza regionale.

In un clima del genere, dunque, l’offerta di cooperazione securitaria avanzata da Herzog verrà accolta di buon grado.

Gli strateghi emiratini sono particolarmente interessati ai sistemi anti-drone Skylock di produzione israeliana e al supporto di intelligence dello Stato ebraico per dirigere gli attacchi aerei contro le postazioni houthi in Yemen e prevenire l’insorgere di future minacce. Nel frattempo la leadership dell’emirato avrà modo di approfondire la sua relazione bilaterale con Israele, che resta un paese-chiave per il futuro degli equilibri di potenza nel Medio Oriente.

Anche Gerusalemme potrà trarre degli importanti benefici dal supporto agli Eau. Se per esempio riuscirà a stabilire una presenza nelle difese aeree e nei sistemi militari emiratini, lo Stato ebraico avrà la facoltà di radicarsi all’interno di un paese che vive a ridosso del suo arcinemico iraniano e che si affaccia su un bacino strategico quale il Golfo Persico. Questo passo avvicinerebbe ulteriormente i due paesi dopo la stipula degli Accordi di Abramo, ma rischia di compromettere le relazioni in parte riavviate proprio tra Teheran e Abu Dhabi.

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