Esteri

Israele-Hamas, si cerca l’intesa prima di Ramadan; Ucraina, gli aiuti latitano

09
Marzo 2024
Di Giampiero Gramaglia

E’ corsa contro il tempo per giungere a un cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza, tregua in cambio della liberazione degli ostaggi, prima che il Ramadan cominci – potrebbe già cominciare domani -, con tutti i rischi di accresciuta tensione tra ebrei e musulmani che il ‘Mese del Digiuno’ spesso porta con sé a Gerusalemme e nei territori.
I mediatori egiziani, che con quelli del Qatar e degli Usa stanno cucendo l’intesa basata sul rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas e di altri gruppi e sulla liberazione di centinaia di palestinesi dalle carceri israeliane, sembravano quasi rassegnati al fallimento, ma hanno ripreso slancio e riattizzato speranze nelle ultime ore.
La guerra è entrata nel sesto mese e continua: nella Striscia di Gaza, dove i morti hanno superato quota 30 mila; e in CisGiordania, al confine tra Israele e Libano, nel Mar Rosso, dove domenica è entrata in azione per la prima volta una nave italiana, il cacciatorpediniere Duilio.
E si combatte sempre anche sui fronti dell’Ucraina: da mesi, Kiev non riceve più aiuti occidentali nella misura sperata. Negli Usa, le guerre diventano una componente della campagna presidenziale. Il presidente Joe Biden assicura all’Ucraina sostegno incrollabile, ma avverte che Kiev non può vincere – e forse neppure resistere – senza le armi americane (che i repubblicani tengono bloccate).
L’ex presidente Donald Trump dice che la guerra in Medio Oriente è colpa di Biden – non è chiaro perché – ed esprime in forma più esplicita che mai finora il sostegno a Israele nel conflitto a Gaza, proprio mentre cresce la pressione, dentro e fuori gli Stati Uniti, perché Washington metta un freno all’alleato. Il magnate sta “nel campo di Israele e “condivide” il modo in cui Israele conduce l’offensiva nella Striscia, perché “deve risolvere il problema”.
Nel discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato giovedì sera, Biden ha annunciato la costruzione di un porto temporaneo, al largo delle coste della Striscia di Gaza, per incrementare il flusso di aiuti alla popolazione palestinese. La banchina offshore sarà costruita da militari statunitensi e consentirà “di alleviare le sofferenze dei civili palestinesi”, molti dei quali muoiono letteralmente di fame – si contano già una ventina di bambini deceduti di inedia -.
Gli Usa da una settimana paracadutano aiuti sulla Striscia, dopo la strage del pane del 29 febbraio e intendono intensificare tutte le forniture di viveri e medicinali. Si calcola che la missione d’emergenza consentirà la consegna dell’equivalente di centinaia di autotreni addizionali d’aiuti umanitari.

Guerre: Israele-Hamas, Biden e Netanyahu sempre più distanti
L’incertezza dei negoziati aumenta la distanza fra Stati Uniti e Israele, specie tra il presidente Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un segno delle frizioni e nel contempo delle esitazioni di Biden di fronte all’ipotesi di una rottura è la visita a Washington, non concordata con il premier, di Benny Gantz, ex capo del governo, leader di un partito di centro rivale del Likud di Netanyahu: Gantz viene ricevuto a Washington dalla vice-presidente Kamala Harris, dal segretario di Stato Antony Blinken e da vari altri esponenti dell’Amministrazione democratica, ma non dal presidente.
Gantz, che ha accettato di fare parte del governo di guerra, è un successore di Netanyahu in pectore, quando la situazione si stempererà e si potranno trarre le conseguenze politiche di quanto avvenuto, dal 7 ottobre – i raid terroristici in territorio israeliano, con 1200 vittime e circa 300 ostaggi presi – in poi (gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e dei suoi satelliti dovrebbero essere 130, ma alcuni di essi si ritiene siano morti).
A Gantz, Harris chiede un immediato cessate-il-fuoco a Gaza e la disponibilità a lasciare giungere nella Striscia più aiuti, specie dopo la ‘strage del pane’, giovedì 29 febbraio, quando almeno 112 palestinesi sono morti nella calca innescata da colpi di arma da fuoco esplosi da militari israeliani, mentre era in atto una distribuzione di pane, farina e altri viveri. Sulle cause e le circostanze dell’episodio tragico e odioso, ancora s’indaga.
E l’Amministrazione Biden tiene il punto di considerare “illegali” i nuovi insediamenti israeliani nei Territori, ripristinando una linea osservata per decenni, fin quando l’Amministrazione Trump non la rovesciò. Come risposta indiretta, nei centri d’arruolamento in Israele si segnalano file d’ultra-ortodossi pronti a mettersi la divisa e a prendere le armi.

Guerre: Israele-Gaza, l’incubo della fame dopo la ‘strage del pane’
Fonti sanitarie palestinesi riferiscono che l’80% delle vittime avevano ferite aperte, il che fa pensare che stano stati raggiunti da colpi da arma da fuoco piuttosto che calpestati. La versione d’Israele è che la maggior parte delle persone sia morta in una calca e che i militari israeliani abbiano sparato solo quando si sono sentiti minacciati. Il segretario generale dell’Onu António Guterres si dice “sconvolto” dalla carneficina e ha subito rinnovato la richiesta di un immediato cessate-il-fuoco e di un rilascio incondizionato degli ostaggi. Stante la gravità della crisi umanitaria ed alimentare, e la difficoltà di distribuire gli aiuti via terra, gli Stati Uniti hanno iniziato a paracadutare viveri e generi di conforto nella Striscia.
Le restrizioni agli aiuti umanitari tuttora imposte da Israele condannano a denutrizione e fame centinaia di migliaia di persone nella Striscia di Gaza. Funzionarti delle organizzazioni umanitarie riferiscono che le limitazioni agli ingressi, le ispezioni meticolose e le modalità di distribuzione caotiche hanno prodotto una carestia non naturale, ma “provocata dall’uomo”: martedì, una decina di bambini sarebbero morti letteralmente di inedia.
Invece, le Nazioni Unite, al termine di una loro inchiesta, anno trovato “chiari e convincenti indizi” che vittime del 7 ottobre e ostaggi a Gaza abbiano subito abusi sessuali e stiano tuttora subendoli. Tuttavia, il team di esperti dell’Onu non ha potuto parlare con nessuna delle vittime delle violenze: la maggior parte delle prove raccolte sono “circonstanziali”. Per Pramila Patten, l’inviata speciale delle Nazioni Unite, la mancanza di superstiti o di testimoni disponibili rende difficile raccogliere testimonianze di prima mano. E si continua a indagare sulle accuse di violenze sui detenuti da parte d’Israele.
L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, messa sotto accusa da Israele per asseriti episodi di connivenza con i terroristi di Hamas, accusa a sua volta Israele di trattenere e di sottoporre a tortura alcuni suoi collaboratori, costringendoli a confessare legami inesistenti con Hamas e con altre sigle terroristiche palestinesi. E si scopre che Israele ha piani per dare la caccia ai terroristi del 7 ottobre ovunque essi si trovino e ovunque essi fuggano: le rivelazioni di stampa non sorprendono, vista la storia di Israele di sapere rintracciare e colpire i suoi aguzzini, che fossero criminali nazisti o terroristi di diversa estrazione.

Guerre: Israele-Hamas, Huthi all’attacco nel Mar Rosso, nave Duilio risponde
La guerra prosegue pure nel Mar Rosso, dove gli Huthi, ribelli sciiti yemeniti appoggiati dall’Iran, continuano ad attaccare navi in navigazione da e per Suez. Lunedì, gli Usa, secondo quanto riferisce il Comando Centrale di Tampa in Florida, hanno abbattuto un missile anti-nave e tre droni lanciati dallo Yemen: l’azione dei ribelli non ha causato né morti né feriti. Mercoledì, è andata peggio: l’attacco degli Huthi fa due vittime, a bordo di un cargo che l’equipaggio deve abbandonare.
Lo scorso fine settimana, era entrato in azione il cacciatorpediniere italiano Duilio, intercettando e neutralizzando un drone diretto contro di lui. Il capitano di vascello Andrea Quondamatteo, comandante della nave, descrive così l’azione: “In navigazione nel Mar Rosso, abbiamo localizzato una traccia aerea sconosciuta. Il profilo era minaccioso e, a seguito di riconoscimento ottico attraverso i sensori di bordo di un drone della stessa tipologia e comportamento di quelli che si sono già resi autori degli attacchi al traffico mercantile in area, Nave Duilio ha reagito per autodifesa”.
Sulla scia di quanto accaduto, il Parlamento italiano ha autorizzato a larghissima maggioranza, martedì 5 marzo, la partecipazione italiana alla missione europea nel Mar Rosso Aspides, l’operazione “scudo” a difesa delle navi commerciali dagli attacchi Huthi.
C’è anche il timore di un disastro ecologico nel Mar Rosso, dopo l’affondamento di una nave che trasportava fertilizzanti, dannosi per la fauna e la flora marine, specie per la barriera corallina.

Guerre: Ucraina, aiuti Usa bloccati, scaramucce d’intelligence
La guerra in Ucraina continua a essere fatta di colpi a distanza, con droni, missili, raid aerei, più che di movimenti del fronte, che è sostanzialmente statico, anche se le fonti ucraine trasmettono un’impressione di fragilità e di debolezza delle loro linee difensive. E il Congresso di Washington non sblocca gli aiuti militari e finanziari, impastoiati nelle beghe di politica interna fra democratici e repubblicani
Gli ucraini rivendicano il successo dell’affondamento – non è il primo – di un’unità russa al largo della Crimea, un modernissimo pattugliatore. E’ l’ennesima conferma della vulnerabilità della flotta di Mosca nel Mar Nero. L’incrociarsi di attacchi aerei reciproci è esemplificato, lo scorso fine settimana, dall’incursione d’un drone su San Pietroburgo, seconda città russa e città natale del presidente Vladimir Putin, mentre droni russi raggiungevano Odessa, facendo almeno una dozzina di vittime civili, fra cui cinque bambini. E sempre a Odessa, giovedì, si sfiora la tragedia, e l’allargamento del conflitto, quando due droni russi si schiantano non lontano dal convoglio del presidente Volodymyr Zelensky e del premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Il Ministero della Difesa britannico stima che i russi abbiano subito, nei due anni dall’invasione, 355 mila perdite tra morti e feriti – le fonti ucraine situano i loro caduti a 31 mila e quelli russi a oltre 420 mila -. Le perdite russe molto elevate – e comunque non confermate – sarebbero dovute alla tendenza di Mosca a condurre una “guerra d’attrito”. Secondo fonti ucraine, nella sola giornata del 4 marzo i russi avrebbero perso 1.250 soldati. Impossibile verificare l’attendibilità delle cifre: dall’inizio dell’invasione, Kiev sostiene di avere distrutto 6.678 carri armati russi, 12.728 veicoli corazzati da combattimento, 10.308 sistemi di artiglieria, 1.008 sistemi missilistici a lancio multiplo e 701 sistemi di difesa aerea; di avere abbattuto 347 caccia russi, 325 elicotteri, 7.921 droni, 1.918 missili da crociera; e di avere annientato 26 navi da guerra e un sottomarino.
Le cronache registrano soprattutto batti e ribatti diplomatici e fughe di notizie che creano imbarazzi nelle cancellerie occidentali. La Germania finisce sulla giostra delle polemiche perché un colloquio non adeguatamente protetto, fra militari di rango, circa la fornitura all’Ucraina di missili Taurus, viene diffuso sui media russi e suscita aspre reazioni, specie dopo la sortita del presidente francese Emmanuel Macron, poi precisata e ridimensionata, sul possibile invio in Ucraina di truppe Nato.
Secondo Politico, il Cremlino, più che essere infuriato per l’ipotetica forniture di missili Taurus – armi tedesco-svedesi capaci di colpire in profondità il territorio russo -, è “gongolante” per avere “umiliato”, e imbarazzato Berlino, rivelando le conversazioni fra generali ‘intercettate’ sul telefono di un hotel di Singapore e diffuse nel giorno dei funerali di Navalny.
Prosegue il lavorio diplomatico verso il Vertice atlantico di luglio a New York, nel 75° anniversario della Nato, con il completamento del processo d’adesione della Svezia, ormai 32° membro dell’Alleanza atlantica, cui porta in corredo la sua efficiente industria degli armamenti.
L’avvicendamento a segretario generale del norvegese Jens Stoltenberg con l’olandese Mark Rutte pare scontato, ma i Paesi dei Baltici e dell’Europa orientale avanzano richieste di posti che contano nell’Alleanza. E fa scalpore la notizia che Victoria Nuland, il terzo diplomatico Usa più alto in grado, un ‘falco’ frequente bersaglio di critiche per le sue posizioni aggressive sulla Russia e Ucraina, andrà in pensione e lascerà l’incarico questo mese: lo annuncia il Dipartimento di Stato.
Nuland aveva prestato servizio all’ambasciata Usa a Mosca nei tumultuosi Anni ’90 ed era lì durante il tentativo di colpo di stato contro l’allora presidente russo Boris Eltsin. Nuland fu pure presente sulla piazza Maidan a Kiev nella protesta popolare del 2014.
Diplomatica di carriera, servì come assistente del segretario di Stato per l’Europa sotto l’Amministrazione Obama e si fece da parte durante l’Amministrazione Trump. Con Biden, era divenuta sotto-segretario di Stato per gli affari politici e sperava di succedere a Wendy Sherman, andata in pensione nel 2023, come vice-segretario di Stato. Ma Biden ha scelto Kurt Campbell e ora Nuland lascia.