Esteri

Intervista a Stefania Craxi: «La pace? Quella che vorrà l’Ucraina. Sì all’ingresso in UE, ma senza percorsi accelerati»

08
Giugno 2022
Di Andrea Maccagno

Tre settimane fa le acque in Senato e nella maggioranza di governo erano più che agitate. Non che adesso la situazione sia rosa e fiori, ma il 18 maggio scorso il termometro della crisi segnava febbre altissima.

Lo scontro andato in scena a Palazzo Madama è stato quello per l’elezione del nuovo presidente della Commissione Esteri, a sostituzione del grillino e filo-putiniano Vito Petrocelli. Il Movimento 5 Stelle chiedeva per sé lo scranno più alto, appoggiato dall’alleato a giorni alterni Partito Democratico. Il nome scelto quello di Ettore Liccheri.

Un profilo sul quale si è però spaccata la maggioranza, visto che Forza Italia e Lega hanno preferito puntare – insieme a Fratelli d’Italia – sulla forzista Stefania Craxi, che ha prevalso nella conta per 12 voti a 9. A tre settimane dal suo insediamento, abbiamo deciso di intervistarla, per fare un punto sul complicato contesto bellico e sui dossier da approvare da qui a fine legislatura.

Presidente Craxi, Forza Italia e Lega l’hanno eletta alla presidenza della Commissione con i voti di Fratelli d’Italia: in molti hanno parlato di una maggioranza cambiata, una minaccia per la tenuta del governo. Lei, in realtà, ha preso le distanze da queste dinamiche. Ma c’è effettivamente movimento negli equilibri parlamentari?
«Intanto, mi sia consentito dire che la mia elezione è una piccola rivincita della Storia. Al di là di questo, si tratta di un risultato politico: ci siamo trovati davanti a due legittime rivendicazioni, quella dei 5 Stelle che chiedevano si proseguisse con una loro presidenza in seno alla Commissione Esteri del Senato, e quella altrettanto legittima del mio partito – Forza Italia – che reclamava la guida di una Commissione permanente che (pur da forza di governo) non aveva. Con l’insediamento del nuovo Ufficio di presidenza, la Commissione ha ripreso la sua attività operativa in un clima di massima condivisione e questo è certamente un dato positivo perché non bisogna utilizzare la politica estera come elemento di scontro politico e di lotta interna».

È favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea?
«Sono favorevole, anche se ritengo che concedere un percorso accelerato suonerebbe irrispettoso verso i Paesi baltici che da anni approvano riforme per poter entrare nell’Unione europea. Occorre agire con diplomazia, intelligenza e misura, rendendo al contempo più snelli i processi di adesione: certamente, quando sento parlare di due decenni per Kiev, un po’ mi preoccupo».

Alla luce della situazione attuale, quale ritiene possa essere la via per arrivare alla pace tra Ucraina e Russia?
«È necessario innanzitutto ribadire che la pace sarà quella che vorrà il popolo ucraino, nel pieno rispetto del diritto internazionale e del principio di autodeterminazione dei popoli. Si deve lavorare incessantemente per la pace, cercare ogni spiraglio utile al dialogo, ricomporre una cornice di sicurezza europea e internazionale. Non sarà più possibile farlo sulla base della collaborazione, ma sulla base della deterrenza. Quello che è successo cambia inevitabilmente il quadro internazionale, ma occorre adesso sostenere ogni possibile strada negoziale con un surplus di diplomazia e di prudenza. C’è stanchezza, è vero, anche tra le nostre opinioni pubbliche, e va scongiurata la prospettiva di una “guerra di logoramento”. Più va avanti il conflitto, più rischiamo di non riuscire a trovare soluzioni. Anche sul fronte delle sanzioni, che sapevamo essere bi-direzionali, c’è il rischio che esse siano più afflittive per gli europei che non per i russi, quindi occorre un monitoraggio attentissimo: le sanzioni devono servire a portare Putin al tavolo del dialogo e della pace».

Quali dossier approvare da qui a fine legislatura per le materie di sua competenza?
«Il conflitto in corso in Ucraina ha spazzato via illusioni e certezze consolidate ed oggi, mentre seguiamo con preoccupazione quanto avviene sul fronte orientale intensificando gli sforzi per giungere ad una pace stabile e duratura, dobbiamo rivolgere un’attenzione ancora maggiore verso i Paesi della sponda sud del Mare Nostrum, esposti al rischio di una crisi alimentare che potrebbe certamente innescare pericolose derive destabilizzanti che si rifletterebbero negativamente sulla coesione del Vecchio continente. Sono da sempre convinta che ci si debba approcciare alla dinamica mediterranea non esclusivamente in termini securitari, ma anche e soprattutto guardando alle potenzialità di sviluppo dell’area che, se favorite, comporterebbero naturalmente benefici anche per le articolazioni comunitarie nel loro complesso. È questa, io credo, la grande sfida che abbiamo all’orizzonte, ed è su questo dossier, sulla necessità di definire una nuova agenda per il Mediterraneo, che dovremo impegnarci».