Economia

Superlega europea: un calcio alla tradizione

19
Aprile 2021
Di Redazione

di Paolo Bozzacchi

Questo non è un articolo per appassionati di calcio. Ma il commento alla notizia dell’alba della rivoluzione del calcio europeo che in poche ore ha già scatenato un dibattito politico-istituzionale al massimo livello, Emmanuel Macron e Boris Johnson compresi. Dodici top club inglesi, spagnoli e italiani tra cui Juventus, Milan ed Inter con la regia finanziaria di un colosso del calibro di JPMorgan hanno annunciato la nascita a breve (c’è chi addirittura parla di agosto 2021) di una SuperLega europea composta da 20 squadre divise in due gironi da 10 con partite internazionali infrasettimanali. Top secret al momento il partner televisivo pronto ad acquistarne i diritti di trasmissione. La SuperLega sarebbe un vero e proprio torneo dell’elite del calcio continentale, competitor diretto della Champions League gestita dalla UEFA. Il solo annuncio della SuperLega ha provocato la reazione immediata della stessa UEFA, che ha subito minacciato una causa legale da 50 miliardi di euro e l’espulsione non solo dei club dai rispettivi campionati nazionali, ma anche dei singoli giocatori aderenti dalle rispettive nazionali.

Al momento al progetto hanno aderito società del calibro di Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid, Manchester City, Manchester United, Liverpool, Arsenal, Chelsea e Tottenham. Ma presto sembra aderiranno club tedeschi e francesi. Uniche eccezioni di rango le posizioni contrarie al momento di Paris Saint Germain e Bayern di Monaco. Che andrebbero a completare il cerchio delle società calcistiche con più peso economico e sportivo in Europa.

Vista la massiccia presenza di società inglesi nella Superlega (50%) il primo commento è arrivato dal premier britannico Boris Johnson con un tweet: “I club coinvolti devono rispondere ai loro tifosi e alla più ampia comunità del calcio prima di fare nuovi passi. Sosteniamo gli organismi calcistici in vista delle azioni che intraprenderanno”.

 

Rincara la dose il premier francese, Emmanuel Macron: “Pronto a compiere tutti i passi necessari per sostenere gli organi calcistici che cercheranno di opporsi a questo torneo per soli ricchi”. Sulle stesse posizioni anche la Commissione europea, con il Vicepresidente per la promozione dello stile di vita europeo, Margaritis Schoinas: “Dobbiamo difendere un modello di sport europeo basato sui valori, sulla diversità e l’inclusione. Non c’è spazio per riservarlo ai pochi club ricchi e potenti che vogliono legami stretti con tutto ciò che le associazioni rappresentano: campionati nazionali, promozione, e retrocessione e sostegno al calcio dilettantistico di base”.

 

Ma qual è il vero motivo dello scatto in avanti antigiacobino dei top club del calcio europeo?

Il fulmine non è a ciel sereno, perché i conti del calcio europeo non tornano da tempo. I maxi investimenti internazionali sui singoli top club europei, che in qualche caso superano in pochi anni il miliardo di euro (due esempi il Manchester City e il Paris Saint Germain), non hanno ritorni adeguati e il Covid ha peggiorato le cose vietando le partite al pubblico e azzerando gli incassi al botteghino. Non solo. C’è un problema di campionati nazionali sempre più scontati dal punto di vista del risultato sportivo finale. Fatta eccezione per la Premier League, tutti gli altri campionati vengono assegnati a non più di 2-3 squadre, sempre le stesse. I casi di Barcellona e Real Madrid in Spagna e dei 9 scudetti alla Juventus negli ultimi 10 anni in questo senso sono paradigmatici.

 

C’è bisogno da un lato di un ridimensionamento degli stipendi dei top player alla Lionel Messi, Cristiano Ronaldo o Kylian Mbappé, capaci di incassare (sponsor inclusi) decine di milioni all’anno, dall’altro di stringere la forbice esagerata tra i guadagni dei giocatori dei massimi campionati e i calciatori professionisti che giocano nelle serie minori. Un calciatore professionista in Italia agli inizi può guadagnare anche meno di 25mila euro lordi l’anno. 

 

Sicuramente l’annuncio della SuperLega è un segnale forte di crisi, non necessariamente una rivoluzione elitaria. L’UEFA potrebbe prendere la palla al balzo e lanciare l’idea di superare in ottica europea i campionati nazionali di calcio e creare un’unica Lega europea con diverse categorie di appartenenza dei club a seconda dei risultati sportivi. In questo modo l’Europa del calcio darebbe anche una mano all’Unione europea che riuscirebbe a fare un doppio salto mortale con avvitamento dal punto di vista del senso di appartenenza dei cittadini e della coesione sociale.