Economia

Lehman Brothers: l’ultima big a cadere

15
Settembre 2023
Di Francesco Tedeschi

Nel settembre 2008 l’unica cosa che interessava il capo del Tesoro americano Larry Paulson, ex CEO di Goldman Sachs, era salvare il salvabile. La crisi dei mutui subprime aveva contagiato l’intero sistema finanziario globale, il tesoro americano aveva già salvato dal fallimento diverse banche e al momento – con la mediazione della FED – stava trattando il salvataggio della quarta banca d’investimento americana, Lehman Brothers.

Paulson aveva provato ad avviare trattative con Bank of America e Barclays per l’acquisizione di Lehman. Il negoziato però era molto complicato, le banche coinvolte nella vicenda chiedevano che il Governo desse delle garanzie, ma la FED si era opposta perché la banca d’affari era tra le più esposte. In pancia aveva valanghe di derivati tossici che producevano perdite per svariati miliardi di dollari. All’inizio si era pensato che Lehman fosse ‘too big to fail’. Ma così non è stato. Per questo quando il 15 settembre 2008 Richard Severin Fuld, chiamato dai colleghi il Gorilla, e CEO di Lehman, riceve la fatidica telefonata dal suo amico Larry Paulson, sa che non gli rimane molto da fare se non litigare.

Per salvare le banche, i governi e le banche centrali misero in campo una ‘marea’ di aiuti finanziari, nonché una rete di salvataggio gigantesca sui depositi e sugli stessi conti pubblici dei governi. E per correggere le dinamiche che avevano scatenato la crisi finanziaria, fu imposta una maggiore solidità patrimoniale, con criteri più stringenti per capitale e liquidità. La crisi si è svolta in più tappe: dal 2008 al 2010 ha riguardato soprattutto gli Stati Uniti, poi, dal 2011, ha contagiato l’Europa.

Nonostante la crisi del 2008 e il fallimento di Lehman siano ormai una ricorrenza da ricordare, come fosse un ammonimento. Bisogna pensare in prospettiva. Quella che era allora la quarta banca d’investimento americana non è fallita da un giorno all’altro. Sono passati 14 anni prima che Lehman cessasse effettivamente le sue attività. Per quasi un quarto di secolo, infatti, ha ripagato creditori, correntisti e smaltito miliardi di dollari di titoli tossici che aveva nei registri. Alcune conseguenze hanno più di uno strascico.

Per questo motivo la situazione da allora è cambiata. Le cartolarizzazioni che hanno contribuito a innescare quella crisi esistono ancora ma il sistema in qualche modo ha imparato la lezione. Quella di Lehman è stata una crisi di liquidità, e le banche centrali hanno capito che se c’e’ una crisi di quel tipo occorre intervenire, risolverla. Subito. Perché il rischio poi è che quella crisi possa avvitarsi e avviare una reazione a catena pericolosa. D’altra parte tutte le attività e i prodotti che Lehman aveva in portafoglio, poi, una volta superata la crisi, hanno ripreso valore nel 2010, quando l’economia è ripartita. Grazie a questi soldi hanno potuto pagare creditori e correntisti.

Secondo alcuni analisti, la creazione di tanto credito per preservare la liquidità, tassi d’interesse negativi e aiuti alle istituzioni finanziarie hanno finito per dopare l’economia. Quello stesso sistema che ora è in crisi per l’aumento del costo del denaro. E in questo senso è stata una strana sorte quella di Lehman che immolata nella speranza fosse un esempio è diventata invece l’ultima big a cadere. Come dimostrano bene i casi di Credit Suisse e quello delle banche regionali americane.