Economia

La Bce e la partita per l’egemonia europea

23
Febbraio 2018
Di Redazione

 

A poco più di una settimana dal voto, la sconsiderata uscita di Jean-Claude Juncker sull’esito delle elezioni italiane ci ricorda che al di fuori della penisola sono in atto partite di ben altra portata rispetto alle semplici baruffe elettorali interne. Non è un mistero che ormai da svariati anni Bruxelles consideri l’Italia un “sorvegliato speciale”, ostaggio del suo gargantuesco debito pubblico e di un’instabilità politica apparentemente senza fine. Al netto della dubbia opportunità di prendere la parola ora che la campagna elettorale volge all’apice, il presidente della Commissione Europea ha inteso destinare un monito alle forze politiche nostrane affinché il prossimo governo della Repubblica continui ad adoperarsi per risolvere i grandi mali che affliggono il Paese. I temi sono quelli di sempre: lavoro, banche, imposte e immigrazione, solo per citare i più urgenti. Nonostante la crisi e il disinteresse quasi trasversale per i temi legati alla politica europea o internazionale, il fatto è che l’Italia continua a vantare una massa critica decisiva per il futuro dell’Unione, determinata dalla sua collocazione geografica e dalle dimensioni economiche e demografiche. Quando si incrina l’Italia, rischia di incrinarsi anche l’Europa ed è un fatto che dovrebbe far riflettere. Eppure, le reazioni infiammate alle parole di Juncker confermano che in questa fase (ma non solo) tutto sia sempre e solo funzionale alla costruzione del consenso.

Nel mentre, i nostri Partner sono liberi di spostare i pezzi dell’Europa di domani: è passata quasi nel silenzio la notizia della nomina del ministro delle Finanze spagnolo Luis De Guindos alla vicepresidenza della Bce, uno sviluppo che ha di fatto aperto la corsa alla successione di Mario Draghi al vertice dell’Eurotower. Più dei timori di quanti sostengono la necessità di preservare a ogni costo l’indipendenza della banca centrale (non era mai accaduto che un ministro nel pieno delle proprie funzioni venisse ammesso nel comitato esecutivo dell’istituto monetario), la scelta di un vice proveniente dal Sud Europa potrebbe spianare la strada a un presidente del Nord quando fra 20 mesi scadrà il mandato di Draghi. Il candidato numero uno a succedergli è il falco tedesco del rigore Jens Weidmann, presidente della Bundesbank che negli ultimi anni si è opposto ripetutamente alle politiche ultra-accomodanti di Draghi fatte di tassi bassissimi e Quantitative Easing. In alternativa dovrebbe toccare a un altro europeo del Nord, comunque allineato all’ortodossia monetaria della Germania. Per Berlino il controllo della Bce significa infatti compiere un allungo decisivo nella partita per l’egemonia continentale. Nell’ultimo decennio, la Bce si è affermata come l’istituto più potente e influente del Vecchio Continente. All’apice della crisi finanziaria, ha assunto un ruolo centrale che oggi non ha intenzione di dismettere. Benché contestate anche molto duramente da taluni Stati membri, è un fatto che le scelte di politica monetaria di Draghi abbiano allontanato la morsa della crisi dell’euro ed evitato a un paese come l’Italia un catastrofico default. Il fatto che né il dibattito pubblico né la campagna elettorale tengano conto di siffatti sviluppi non lascia presagire nulla di buono.

 

Alberto De Sanctis