Economia

Il Superbonus gonfia il deficit, ma il debito pubblico cala. Vediamo perché

04
Marzo 2024
Di Giampiero Cinelli

L’ultima nota dell’Istat sui conti nazionali del 2023, ci restituisce due dati apparentemente contraddittori ma interconnessi. Uno è quello del rapporto debito-Pil, che è calato al 137,3%, dal 140,5% del 2022, l’altro è quello del deficit-Pil, ovvero il saldo tra entrate e uscite nel bilancio statale, che invece sale al 7,2%, superando le previsioni del governo.

Cosa significa in sostanza? Che gli investimenti pubblici in definitiva hanno pesato nei conti, riuscendo comunque a determinare una crescita, seppur bassa, che ha permesso di ridurre l’indebitamento dello Stato nei confronti di tutti i suoi creditori (quelli che vengono chiamati in gergo finanziario “mercati”). La crescita del Pil nel 2023 è infatti dello 0,9%, rispetto al 4% del 2022.

Allo stesso tempo, però, si vede nelle tabelle Istat che il saldo primario pubblico, ossia al netto degli interessi da pagare, era del -3,4% del Pil, inferiore rispetto al disavanzo dell’anno scorso.

Sorgono allora due domande: perché il deficit nel consuntivo di Istat è balzato e perché il debito si è comunque abbassato? Alla prima domanda ha risposto il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, dicendo che è stata «colpa del Superbonus». Va notato però che la decisione di classificare i crediti edilizi al passivo, come titoli “pagabili”, cioè rimborsabili, è stata presa solo lo scorso anno, dopo aver avuto il parere di Eurostat, anche se effettivamente non tutti i crediti in circolazione erano stati riscossi o giunti a maturazione. I crediti del Superbonus, infatti, non vengono direttamente rimborsati, più precisamente comportano un futuro scoperto nel bilancio dello Stato, che però non sa quando precisamente questo sarà registrato, e può comunque contare su una compensazione grazie al gettito fiscale mosso dalla maggiore attività economica. A quanto pare ciò non è avvenuto, come fa notare lo stesso Giorgetti.

Ma non vuol dire che appunto un effetto positivo degli investimenti sugli immobili non sia riscontrabile. Siccome nel 2023 sulla crescita influiscono, spiega Istat, la domanda nazionale e gli investimenti fissi lordi, soprattutto quelli nei servizi (+1,6%) e proprio nelle costruzioni (+3,9%). Un ruolo importante poi lo ha giocato l’inflazione: nel 2023 il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 2.085.376 milioni di euro correnti, con un aumento del 6,2% rispetto all’anno precedente in termini nominali. Qui si parla non a caso del valore complessivo dei beni sul mercato, non del volume prodotto (che è appunto lo 0,9% in più detto prima), una cifra che incorpora l’inflazione ma che quindi permette, indirettamente, allo Stato, di liquidare più facilmente le sue esposizioni preservando margini.

«Con la non semplice chiusura di quella stagione, la finanza pubblica dal 2024 intraprende un sentiero di ragionevole sostenibilità», ha osservato Giorgetti. Ad ogni modo i dati Istat servono anche da paradigma per il futuro e sono uno strumento che fa riflettere sulla linea intrapresa dal 2020 ad oggi. In sostanza, pur con possibili distorsioni (e una spesa per interessi ancora proibitiva per l’Italia), una politica di investimenti più coraggiosi, utili anche a sostenere la domanda interna, può pagare in termini di alleggerimento del debito pubblico. Sopperendo agli squilibri della domanda estera in tempi di instabilità geopolitica.

Articoli Correlati

Trump_USA 2024
di Giampiero Gramaglia | 01 Maggio 2024

Usa 2024: -187, processo, Trump multato rischia il carcere

di Gianni Pittella | 01 Maggio 2024

Il lavoro, quel diritto debole, sconosciuto a molti

di Ilaria Donatio | 01 Maggio 2024

Il lavoro che ci meritiamo per essere felici