Economia

Bonus 110%, fondi terminati. Pressing del Parlamento

19
Giugno 2022
Di Giampiero Cinelli

Il caos sul Bonus 110% rischia di generare un ingente danno per cittadini e imprese. Da fonti istituzionali apprendiamo che molte banche italiane hanno smesso di accettare i crediti, siccome non vi è la garanzia per gli istituti di credito di poterli monetizzare. Questo perché i fondi statali pari a 33,7 miliardi per il 2022-2023 dedicati alla misura sarebbero terminati. A sostegno di quanto detto, il rapporto dell’Enea che opera il supporto burocratico per gli aventi diritto e supervisiona lo strumento dei bonus. La politica è in fermento. La Commissione Finanze del Senato ha dato mandato al presidente Luciano D’Alfonso di scrivere a Draghi sollecitando la messa in sicurezza del Superbonus, mentre alla Camera, nel Decreto Aiuti, tutti i gruppi parlamentari hanno firmato un emendamento atto allo sblocco delle risorse. Relatori del provvedimento Ubaldo Pagano (Pd) e Alessandro Cattaneo (Forza Italia). Una mazzata anche per i condomini, i quali probabilmente dovranno restituire i crediti se le pratiche si bloccano.

Secondo l’ente di ricerca Enea, al 31 maggio 2022, erano in corso 172.450 interventi edilizi incentivati, per circa 30,6 miliardi di investimenti ammessi a detrazione che porteranno a detrazioni per 33,7 miliardi di euro. Sono 26.663 i lavori condominiali avviati (65,4% già ultimati), che rappresentano il 48,9 % del totale degli investimenti, mentre i lavori negli edifici unifamiliari e nelle unità immobiliari funzionalmente indipendenti sono rispettivamente 91.444 (73,8% già realizzati).

Oggi è ancora possibile ai cittadini fare richiesta del bonus, eppure una stima della Cna dice che sono 33.000 le imprese a rischio fallimento per incagli dovuti ai crediti, 2,6 miliardi gli euro non monetizzati. L’idea contenuta nell’emendamento parlamentare è quella di allargare la platea dei beneficiari a cui le banche possono vendere i crediti fiscali in portafoglio. Per ora la quarta cessione può avvenire solo a grandi imprese. Ma l’intento è consentire la cessione anche ai clienti con una partita Iva e un bilancio superiore a 50.000 euro. Inoltre l’emendamento permetterebbe agli acquirenti successivi, sia banche che imprese, di essere esenti da responsabilità verso il fisco.

Lo strumento del Superbonus ha parecchio risentito del cambio di governo. Non è mai piaciuto né a Draghi né al ministro Franco, che tuttavia l’aveva prorogata fino al 2023 con delle modifiche tenendo conto del forte consenso attorno a questa possibilità. Anche per questo tutti i partiti sono decisi affinché si vada avanti trovando la quadra. L’esecutivo aveva spiegato di essere ecologista, ma di non condividere il metodo.

La diffidenza dell’esecutivo si era palesata da quando l’accento era stato posto sulle frodi. Esistenti ma non predominanti, e restando il fatto che i crediti, in quanto emessi dall’Agenzia delle Entrate, non sono falsificabili. Piuttosto gli illeciti riguardavano lavori non realmente svolti. Poi un turbinio di continue modifiche sul numero delle cessioni consentite. Un clima di incertezza che ha spiazzato gli operatori economici, sempre incerti sul poter scambiare i crediti o depositarli in banca ottenendo denaro cash e, quindi, di conseguenza, applicando lo sconto in fattura per i clienti. Anche la sola vendita del credito, da parte dell’imprenditore edile a soggetti terzi, può generare un circolo virtuoso di impulso economico. Trattandosi, a quel punto, quasi di una moneta parallela, e non a caso vista con sospetto dallo Stato che ha paura di generare ulteriore debito. L’ammanco per le casse pubbliche è una prospettiva reale, ma i fautori dei bonus sottolineano che va inteso come un moltiplicatore, che genera maggior gettito a distanza di qualche tempo, a fronte di iniziali perdite, secondo una logica keynesiana. Previsione avvalorata da questo studio di Luiss Business School e OpenEconomics.

Tutto fa pensare quindi che sia doveroso, almeno entro i limiti di tempo stabiliti dalla legge finanziaria, trovare il modo di salvare il Superbonus. Tecnici riconducibili ad ambienti dove il meccanismo è stato ispirato suggeriscono, in base a quanto appena detto sopra, di non preoccuparsi dal fatto che i fondi pubblici messi a garanzia siano eventualmente terminati, ma di decidere un tetto di detrazioni annuo da non superare, prospettando un futuro ammanco di gettito senza dover stanziare risorse come copertura. Consci dell’effetto di crescita che i crediti produrranno. Il governo è meno ottimista e, data la mutata congiuntura, preferisce controllare meglio il deficit.