Economia

Bentornati! Il Made in Italy riparte meglio coi turisti internazionali

09
Giugno 2020
Di Redazione

 

È vero, probabilmente in questa estate che è alle porte potremo riscoprire, senza troppo affollamento e godendo della bellezza della nostra terra, borghi e città d’arte. Ma, non sembri troppo strano, di sicuro avremo nostalgia dei turisti internazionali che tante volte abbiamo sopportato a fatica. Sì, perché se mettiamo sui due piatti della bilancia il potenziale di spesa in Italia dei viaggiatori esteri, soprattutto quelli provenienti dai Paesi extra-UE, e la spesa media dei turisti italiani nello Stivale, è evidente l’incolmabile distanza tra le due voci.

Secondo l’indagine sul turismo internazionale della Banca d’Italia dello scorso 5 giugno, nel 2019 la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia ha continuato ad aumentare a un tasso sostenuto (+6,2%), raggiungendo i 44,3 miliardi di euro. In particolare, si legge nel rapporto, “alla crescita delle entrate turistiche dell’Italia nel 2019 ha contribuito soprattutto la spesa dei viaggiatori provenienti dalla Germania e dall’Austria, tra i Paesi europei, oltre che dagli Stati Uniti e dal Canada” e, nello stesso tempo, sono tornate a crescere anche “le entrate riconducibili ai viaggiatori asiatici, il cui peso sul totale rimane ancora piuttosto limitato”.

Guardando, poi, sempre riferita al 2019, la differenza tra le entrate per viaggi internazionali e le spese degli italiani per viaggi all’estero, emerge un saldo strutturalmente positivo che ha raggiunto i 17,2 miliardi di euro (pari all’1% del PIL), contribuendo – sottolinea Banca d’Italia – per circa un terzo al saldo del conto corrente.

Di dati, nell’indagine di via Nazionale, se ne trovano molti altri e tutti portano, per diverse vie, a una domanda: davvero si può pensare di “sostituire” le entrate generate dai turisti internazionali nel nostro Paese con le spese dei vacanzieri italiani? Una domanda che devono essersi posti anche alcuni nostri parlamentari e alla quale devono aver dato una risposta purtroppo negativa.

No, i viaggiatori stranieri per l’Italia, per la nostra economia, per decine di migliaia di posti di lavoro, per il made in Italy, per il settore agroalimentare, vitivinicolo, per la filiera della ristorazione e del mondo alberghiero, non sono rimpiazzabili. Per questo, non possiamo concederci, come Paese, mosse false che potrebbe rischiare di ostacolare il loro ritorno, già da questa estate. Al contrario, vanno trovati e proposti strumenti per continuare ad attrarre questa fetta di viaggiatori, per non rischiare di perdere quote di mercato.

E questo messaggio – più volte ribadito nelle scorse settimane anche da Federturismo, da qualche settimana guidata dalla neo-presidente Marina Lalli – deve essere arrivato in Parlamento. Tra gli oltre 8mila emendamenti presentati alla Camera al decreto Rilancio, infatti, ce ne sono alcuni – all’articolo 179 e 182, tutti a firma di deputati dell’opposizione, dalla Lega con Giulio Centemero, Giorgia Andreuzza e Giuseppe Bellachioma, a Fratelli d’Italia con Marco Osnato e Ylenja Lucaselli, passando per Forza Italia con Benedetta Fiorini e per il Misto con Antonio Zennaro – che propongono di fare ciò che, negli ultimi anni, tutti gli altri Paesi europei a vocazione turistica e diretti competitor dell’Italia hanno messo sul piatto per incentivare gli acquisti da parte dei turisti extra-Ue: abbassare la soglia minima di spesa per ottenere il rimborso dell’Iva.

A oggi, infatti, mentre Germania, Spagna e Gran Bretagna (per fare solo qualche esempio) non hanno alcuna soglia di spesa – il che significa che i turisti provenienti da Paesi extra-UE possono chiedere, prima di lasciare l’Europa e tornare nel proprio Paese, il rimborso dell’IVA su qualsiasi acquisto personale fatto, fosse di 10, 100 o 1.000 euro – l’Italia è ferma alla norma del 1993, con l’indicazione di una spesa minima di 300mila lire (equivalenti a 154,95 euro).

Cosa comporta tutto ciò? Che se un turista arrivato dagli Stati Uniti o dalla Cina, dal Brasile o dall’Australia ha previsto di fare più tappe in Europa, è possibile che preferisca acquistare la borsa, il profumo, il paio di scarpe o qualsiasi altro bene personale che desidera riportarsi a casa in Spagna o Germania, piuttosto che in Italia, Paesi dove non ha soglie minime da raggiungere per poter chiedere il rimborso dell’Iva (una somma che, spesso, gli stessi turisti ri-spendono in aeroporto prima di ripartire, lasciandola di fatto sul territorio d’origine).

Certo, si dirà, ma i prodotti in quei Paesi non sono “made in Italy”. Vero, però forse è arrivato il tempo di non sfidare sempre la buona stella dell’ingegno, della creatività e dell’unicità dei prodotti italiani, ma di fare qualcosa per supportarli. E questo potrebbe essere un primo passo.

 

Francesca Maffini