Cultura

La burocrazia frena gli stadi di Roma e Milano, la corte federale punisce la Juve

22
Gennaio 2023
Di Alessandro Cozza

Il calcio italiano è questo: burocrazia, che la metà delle volte viene aggirata e l’altra metà delle volte è sinonimo di intralcio, polemiche, alimentate solo dal fatto che si deve parlare di pallone 24h su 24, e scandali, perché pur di mandare avanti la baracca ogni tanto si chiude qualche occhio di troppo. Ebbene, quella della penalizzazione di 15 punti in classifica della Juve per il caso delle plusvalenze fittizie, è solo la ciliegina sulla torta di una ennesima settimana durante la quale si è parlato di più di quello che succede fuori dal campo che di quello che succede dentro.

“C’è un sistema da cambiare”, questo era il timido ma quanto mai attuale monito lanciato da Giampiero Ventura subito dopo la cocente mancata qualificazione per i mondiali del 2018 in Russia. Dopo l’eliminazione al primo turno sia in Sudafrica 2010, sia in Brasile 2014, arrivò la peggiore delle sentenze. La vittoria a Euro 2020 ha rappresentato, purtroppo, solo la quiete prima della tempesta arrivata con la seconda esclusione consecutiva ai mondiali, quelli di questo inverno in Qatar. E se le cose non brillano a livello di nazionale, va quasi peggio a livello di club. Anche qui la vittoria della Roma a Tirana nel maggio scorso nella prima edizione della minore delle competizioni europee, la Conference League, è un singolo episodio nel mezzo del vuoto cosmico. Negli ultimi 5 anni, proprio la Roma, è stata l’unica a raggiungere una semifinale di Champions nella stagione 2017/2018. Il resto del bottino, se così si può chiamare, racconta dell’incapacità delle squadre italiane di andare oltre i quarti di finale, raggiunti solo da Juve e Atalanta. Questi sono dati. E allora si, a distanza di 5 anni da quella scottante eliminazione a San Siro contro la Svezia, è forse proprio arrivato il momento di iniziare a cambiare il sistema.

Ma da dove iniziare? Dai settori giovanili? Da un maggior numero di italiani in rosa? Da strutture nuove? Sicuramente serve un pò di tutto questo. Ma serve soprattutto ammodernare il nostro calcio a partire dagli impianti. E proprio questo è stato il tema che ha tenuto banco in questa settimana. Perché se gli scandali portano all’inibizione di 11 dirigenti bianconeri, le polemiche a non raggiungere risultati, la burocrazia sembra essere la causa della mancata realizzazione di nuovi stadi nel nostro paese. Da nord e sud la situazione non cambia, e l’eterna competizione tra Roma e Milano si rinnova anche in questo ambito. Da una parte Roma e Lazio alle prese con la difficoltà di trovare spazi e condizioni giuste, dall’altra Milan e Inter strette nella morsa tra il glorioso passato di San Siro e la voglia di innovazione e modernità.

Nella Capitale, sponda giallorossa, si è conclusa con la soddisfazione del primo cittadino Roberto Gualtieri, la conferenza dei servizi per la realizzazione del nuovo Stadio della Roma a Pietralata. Con l’ok dei tecnici, il dossier passa in mano politica. Entro febbraio è attesa la delibera della giunta capitolina che dichiari il pubblico interesse alla realizzazione dell’opera, testo che, come previsto dall’iter amministrativo, dovrà passare per il Consiglio del IV municipio: entro marzo è atteso il voto definitivo dell’Aula Giulio Cesare. A quel punto l’As Roma dovrà redigere il progetto definitivo andando a sanare quelle criticità emerse nei pareri presentati da Atac, Fs, Soprintendenza, dal Dipartimento alla mobilità di Roma Capitale che ha chiesto di esplicitare meglio i livelli di offerta del trasporto pubblico nei giorni delle partite, un’integrazione allo studio della mobilità viaria esistente, tenendo conto dell’accessibilità all’Ospedale Pertini. Qualche nodo da sciogliere, seppure non insormontabile, ancora c’è. Ma ormai la strada che dovrebbe portare ad un pianto di circa 55mila posti estendibili a 62mila – ma anche 10 mila stalli per motorini e biciclette e oltre 4.000 posti auto, ma anche spazi interni con aree ricettive, benessere e intrattenimento – sembra essere stata imboccata con convinzione. Il progetto, si legge sul sito del Comune, interessa un’area complessiva di 16 ettari su terreni pubblici che che la As Roma chiede in diritto di superficie per 90 anni, trascorsi i quali l’infrastruttura realizzata passerà a Roma Capitale. Il costo complessivo dell’operazione è di circa 528 milioni di euro, di cui circa 100 per i parcheggi e 20 per le urbanizzazioni. L’idea sarebbe inaugurarlo tra il 2026 e il 2027, quando la As Roma festeggerà i suoi 100 anni. Sponda biancoceleste, invece, va avanti il tira e molla tra il Comune e la società per il progetto relativo alla riqualificazione dello Stadio Flaminio. «Eravamo in attesa di un progetto da Lotito per il Flaminio, ma non è arrivato. Una cosa è certa: non lasceremo il Flaminio in quello stato», ha detto l’Assessore allo Sport e ai Grandi Eventi di Roma Capitale, Alessandro Onorato.

A Milano la situazione è ben più complicata. Qua Milan e Inter navigano nello stesso naviglio, le cui acque però, sono agitate questa volta dai mal di pancia della politica, spaccata in due esattamente come l’opinione pubblica divisa tra chi non accetta l’idea di vedere demolita la scala del calcio e chi invece si è arreso al passare del tempo. Da una parte il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi che paventava vincoli che impedissero la demolizione, e il Presidente del Senato Ignazio La Russa che solo qualche giorno fa era sicuro del fatto che «per come sta procedendo la vicenda, lo posso dare per certo: San Siro non sarà mai abbattuto». Dall’altra il Ministro alle Infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini è convinto che «dire no al nuovo stadio di Milano a San Siro, con un investimento di oltre un miliardo da parte di Inter e Milan, è una follia indegna di un paese civile sviluppato: gli stadi moderni sono più sicuri e per le società sono un business», e il Sindaco di Milano Giuseppe Sala che in Giunta comunale ha dato l’ok al nuovo stadio nella zona di San Siro con l’aggiornamento dell’attuale progetto che comprenda più aree verdi che rappresentino almeno il 50% rispetto al totale dell’area e una maggiore capienza dello stadio oltre che l’individuazione di risorse economiche aggiuntive in modo da poter destinare una quota pari almeno a 40 milioni di euro per progetti da realizzare nei quartieri limitrofi.

Ora, però, il tempo delle chiacchiere è finito. In Italia, tra serie A e B solo 5 società su 40 hanno uno stadio di proprietà e siamo l’ultimo fra i quattro maggiori campionati europei (dopo Premier, Liga e Bundesliga) per ricavi da stadio: appena 200milioni contro gli oltre 600 della Premier. Se il sistema calcio nel nostro Paese vuole davvero tornare ad essere competitivo a livello internazionale è ora che tutti, ma proprio tutti, da società a tifosi, da governo ad amministrazioni locali, da federazione a lega, facciano un bel passo avanti deciso perché è davvero arrivato il momento di cambiare questo maledetto sistema.