Cultura

Mondiale di rugby al via: dalle speranze degli azzurri alle possibili sorprese

08
Settembre 2023
Di Simone Zivillica

Rugby esempio di lealtà, sostegno, abnegazione, sopportazione del dolore, sportività. Negli anni passati di queste cose si sono riempiti la bocca in tanti per promuovere il gioco della palla ovale che portava interesse, interessi, tante persone allo stadio. Il giochino si è inceppato quando la nazionale, perché solo di nazionale si parla quando si parla di rugby in Italia, aveva ricominciato non solo a non vincere, a soprattutto a non convincere. Sono almeno due anni, però, che gli azzurri ovali sotto la guida del ct Kieran Crowley stanno dimostrando di essere coerenti con un piano di gioco a tratti entusiasmante, di non essere soddisfatti delle troppe sconfitte onorevoli di cui la nostra storia è colma, di essere capaci di vincere e, quando non è stato possibile, quantomeno di convincere.

La meta impossibile, il sogno necessario

Con queste premesse ci presentiamo alla Coppa del Mondo di Rugby 2023 che sarà disputata in Francia a partire da questa sera, con il match inaugurale dei padroni di casa contro i mostri sacri in nero della Nuova Zelanda. La nostra nazionale fa parte del loro stesso girone. Purtroppo, il fato, spesso, non si interessa delle congiunture positive e delle storie dei singoli. Una delle migliori nazionali che abbiamo avuto negli ultimi venti o trent’anni, quindi quella con più possibilità di centrare lo storico obiettivo di raggiungere per la prima volta i quarti di finale alla competizione mondiale, si trova sul suo percorso due tra le squadre più forti del mondo, entrambe con concrete possibilità alla vittoria finale.

Rugby esempio di lealtà, sostegno, abnegazione, sopportazione del dolore, sportività. Sono stati, questi, troppo spesso concetti vuoti e buoni più per slogan da stampare su maglietta e card dei social network. Stavolta, però, serviranno tutti e fino in fondo per guardare quell’unica luce di speranza, spiraglio stretto attraverso il quale passare per poter pensare a una qualificazione ai quarti di finale. Le sorprese esistono ed esiste anche il duro lavoro e le cose fatte bene. Il percorso dell’Italia potrebbe essere uno di questi casi. Un passo per volta, il primo dei quali sarà domani, sabato, contro la modesta nazionale namibiana, che dovrà servire per mettersi a punto in vista delle tappe più impegnative.

Il nostro ct, però, è convinto. Puntiamo ai quarti. Non potrebbe che essere così. Dev’essere così. A fare un buon ragionamento tutto è possibile. Se stasera la Francia dovesse perdere con gli All Blacks, cosa insperata dai transalpini ma necessariamente possibile, allora la pressione sui nostri cugini sarebbe quasi insostenibile. Noi li incontreremmo all’ultima giornata, dove loro dovranno vincere per forza, noi non avremmo nulla da perdere. La forza di chi non ha aspettative da rispettare non deve mai essere sottovalutata. Inoltre, li abbiamo già battuti in passato. Chissà.

Il punto di partenza: il ranking tra verità e soprese

Tolto il focus dalla nostra esperienza nazionale, questi mondiali di rugby arrivano in periodo molto particolare per il movimento in generale, sia a livello sportivo che gestionale e finanziario.

Dal punto di vista del rugby giocato, per la prima volta la vittoria finale non sarà un gioco privato tra le solite tre o quattro potenze: Nuova Zelanda, Sud Africa, Australia e una tra le nazionali dell’emisfero nord a turno tra Inghilterra, Francia o Galles. Questa volta a giocarsi serie possibilità per il titolo sono almeno sette squadre, al netto di eventuali – e sempre possibili, nonché gradite, sorprese. L’attuale ranking lo conferma. La prima posizione dell’Irlanda ricorda a tutti i contendenti che sono oggettivamente loro la squadra da battere dati gli ultimi risultati e l’ottimo stato di forma di cui gode ormai da anni. Il Sud Africa, secondo, è campione in carica e gode di un momento di grazia, sugellato dalla vittoria storica sugli All Blacks con il maggior scarto mai registrato: 35-7. La Francia, appunto, padrona di casa e terza nel ranking, a qualche centesimo di punto dalla Nuova Zelanda, che anche se non sembra troppo a fuoco ha qualcosa che va oltre aspetti tecnici e tattici: in poche, non esplicative parole, sono gli All Blacks, hanno la vittoria nel DNA, sono l’NBA del rugby, sono il rugby. Poi c’è la Scozia, con alcuni tra i tre quarti più forti del mondo, sicuramente con il playmaker (il 10, l’apertura), più forte al momento, il mago Russel che guida i kilt scozzesi al massimo risultato nel ranking mai raggiunto, e sono pronti a salire ancora. Quindi l’Argentina, capace di battere chiunque, avendolo dimostrato, con fisicità e creatività e atletismo spesso difficili da raggiungere per molte delle altre nazionali coinvolte nella competizione. Al settimo posto la sorpresa, ma neanche tanto, delle Fiji, anche loro al massimo posto mai registrato, incredibilmente fisiche nel loro gioco e al tempo stesso giocose e creative a livelli da beach rugby. L’Australia, dal canto suo, sembra avere problemi profondi. Da anni non riesce a trovare un’identità nonostante l’infinito talento del suo movimento. A risolvere i problemi è stato chiamato il Mou del rugby, Eddie Jones. Lo stesso che doveva portare l’Inghilterra a vincere il mondiale di casa giocato nel 2019, fermatosi invece in finale contro il Sud Africa laureatosi campione. Per ora i problemi rimangono e l’Australia ha fatto fatica a vincere e a mostrare un gioco degno della maglia degli Wallabies. Vedremo se si stava nascondendo come ha, a più riprese, fatto intendere il condottiero Jones, o se la quadra è ancora lontana dall’essere trovata.

Finanze ovali nel caos

Rugby esempio di lealtà, sostegno, abnegazione, sopportazione del dolore, sportività. Cose, queste, vere quasi sempre, ma non sempre. È il caso delle gestioni finanziare del mondo rugby in Inghilterra e Galles. Due superpotenze del rugby mondiale che hanno saputo vincere e vincere tanto che sono a un punto basso, sia del ranking che della loro storia rugbistica, anche se per motivi diversi.

L’Inghilterra sta vivendo un tornado finanziario che sta abbattendo il suo massimo campionato, distruggendone alcune tra le maggiori squadre, con le rispettive accademie. Il post Covid è stato deleterio per il campionato inglese, dove molti stop e stadi vuoti hanno determinato collassi economici che hanno portato squadre storiche come gli Wasps di Londra e Worcester al fallimento, e c’è chi – molto ben informato – giura che ce ne siano almeno altre due. Nel frattempo, sono altre 11 le squadre ad avere debiti milionari a due cifre. Tra queste tutte e tre le altre formazioni londinesi (Saracens, London Irish e Harlequins), ma anche istituzioni del rugby mondiale come i Leicester Tigers e Bath. La colpa, come detto, risiederebbe nei mancati incassi dovuti agli stop al campionato e al pubblico causa Covid, ma non ciò non giustifica un crack di queste dimensioni. A ben vedere, sono da annoverare in questo disastro anche i tanti, troppi, investimenti sconsiderati effettuati dalle gestioni britanniche. Di questo, è ovvio, ne risente tutto il movimento, anche quello della crema del massimo livello. Una nazionale che era all’apice fino a pochissimo tempo fa, si trova a fare i conti con una squadra senza obiettivi, senza amalgama e senza spirito vincente. L’unica arma, al momento, a disposizione delle rose rosse sembra essere la sorpresa di ritrovare in campo una squadra che manca da troppo tempo.

Il Galles vive una situazione simile, ma in scala ridotta dal punto di vista finanziario, e questo è perfino peggio. Infatti, negli scorsi mesi si è rischiato uno storico sciopero della nazionale al Sei Nazioni a causa dei tagli ai tetti degli stipendi dei professionisti. Le quattro franchigie gallesi, infatti, hanno dovuto accettare un prestito di 20 milioni dal governo per evitare il fallimento, con la promessa di rivedere in forte ribasso, appunto il giro di soldi – parecchi – nelle proprie squadre. Questo ha scontentato tutti e non ha risolto i problemi. Problemi che si rispecchiano in campo ormai da mesi, se non un paio d’anni, portando il Galles da squadra capace di dominare il Sei Nazioni per diverse edizioni consecutive a squadra di second’ordine, relegata all’undicesimo posto del ranking mondiale dopo che nell’ultima competizione iridata si era dovuta arrendere solamente in semifinale.

La verità tra le Acca

Tra problemi tecnici, finanziari, speranze ambiziose, pressioni insostenibili, ricerche di conferme o vendette sportive, questo mondiale rischia di essere il più interessante tra quelli vissuti finora, dalla nascita del mito All Blacks nel 1987 al trionfo del Sud Africa di Mandela e Chester Williams del 1995, fino alla vittoria del piede d’oro di Johnny Wilkinson e alla riconferma del dominio (2011-2015) dei neozelandesi. Tante squadre molto vicine negli assetti fisici e tattici, altrettante che potrebbero rivelarsi sorprese scottanti. La verità su chi sarà il più forte, come sempre, la dirà il rettangolo verde, da una meta all’altra, tra un Acca che punta al cielo e l’altra. Rugby esempio di lealtà, sostegno, abnegazione, sopportazione del dolore, sportività. Sta al rugby continuare a dimostrare di essere l’alfiere di questi valori, sul campo e fuori.

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