Ambiente

Nord Stream 2: la chiamano energia, ma è geopolitica

14
Settembre 2021
Di Jacopo Bernardini

Duecentomila tubi connessi tra loro. Partono da Ust-Luga, 160 chilometri a sud ovest di San Pietroburgo, e arrivano a Greifswald, nella Germania nordorientale. 1.230 chilometri attraverso il Baltico che costituiscono il più lungo gasdotto off-shore (cioè costruito sul fondale marino) al mondo: Nord Stream 2. Un progetto da 11 miliardi di dollari.

L’ultimo pezzo è stato saldato pochi giorni fa e l’infrastruttura, allacciata alla rete di distribuzione dell’Unione Europea, sarà attiva entro fine anno. Nord Stream 2 trasporterà gas naturale – quello che si usa per il riscaldamento e per l’accensione dei fornelli in cucina – e affiancherà il gasdotto Nord Stream 1, che segue lo stesso percorso, inaugurato nel 2012. Insieme potranno trasportare 55 miliardi di metri cubi di gas l’anno.

La costruzione di Nord Stream 2 è stata al centro di una lunga disputa che ha coinvolto Russia, Germania, Stati Uniti e l’intera Europa. Per capirne le ragioni occorre fare un passo indietro.

Prima della costruzione di Nord Stream 1 e 2 i gasdotti che collegavano la Russia all’Europa centrale passavano, via terra, attraverso l’Ucraina, la Bielorussia e altri paesi dell’area. Le due nuove infrastrutture “gemelle” tagliano il percorso via mare, escludendo questi Paesi. Ciò comporta un indebolimento della loro posizione strategica, mette in pericolo la loro sicurezza energetica e intacca le loro entrate economiche, visto che il passaggio di gas gli permette di incassare importanti tasse di transito. Un problema soprattutto per l’Ucraina, che dal 2014 si trova in uno stato di conflitto con la Russia.

Gli Stati Uniti da diversi anni appoggiano la posizione di questi Paesi e sono contrari alla realizzazione del gasdotto, perché ritengono che aggravi la dipendenza dell’Europa dal gas, dando un potente strumento politico nelle mani di Mosca.

La lunga disputa tra Stati Uniti e Germania su Nord Stream 2 ha avuto i suoi momenti peggiori durante l’amministrazione Trump. Alla fine, lo scorso luglio, il presidente USA Joe Biden ha firmato un accordo per limitare i danni che, tra le altre cose, impegna la Germania a imporre sanzioni contro la Russia se questa minaccerà la sicurezza energetica dei paesi dell’est Europa.

La Germania creerà inoltre un fondo da 1 miliardo di dollari per facilitare la transizione dell’Ucraina verso le fonti energetiche rinnovabili. Berlino, infine, si impegna a mantenere i suoi contratti di transito di gas con l’Ucraina, affinché il Paese continui a riscuotere tasse “per più tempo possibile”.

“Continuiamo a pensare che sia un cattivo risultato per la Germania, per l’Ucraina e per l’Europa», ha dichiarato, ciononostante, un portavoce del dipartimento di Stato americano. Anche il governo ucraino è stato molto duro: «Nord Stream 2 è un’arma geopolitica che sarà senz’altro usata contro l’Ucraina e contro l’Europa», ha detto dopo la firma dell’accordo Andriy Yermak, il capo di gabinetto del presidente ucraino.

Nord Stream 2 ha creato non poche difficoltà anche a Bruxelles: da un lato le preoccupazioni geopolitiche e sociali, dall’altro un affare importante, a cui hanno partecipato, come riportato da La Stampa, alcune tra le più grandi aziende di Europa: nell’operazione, infatti, OMV AG (Austria) è il principale partner di Gazprom, colosso russo del settore. Accordi sono poi stati firmati con ENGIE (Francia), Royal Dutch Shell (Olanda), Uniper e Wintershall (Germania).

Anche la maggior parte dei tubi per i due gasdotti sono stati prodotti da aziende tedesche. L’Italia è entrata nella partita solo con una commessa di Saipem da 370 milioni di dollari, marginale rispetto alla portata dell’operazione. 

I movimenti sullo scacchiere energetico interessano però da vicino anche il nostro Paese. L’Unione Europea dispone infatti di due principali “hub” per l’approvvigionamento di gas naturale: uno a sud, costituito dai gasdotti che attraversano il Mediterraneo e approdano sulle coste della Penisola e l’altro a nord, con il suo centro in Germania. Il nuovo scenario, già a partire da questo inverno, avrà effetti sui prezzi finali per imprese e cittadini.

Al momento, l’Italia importa dalla Russia circa il 40% del fabbisogno nazionale di gas, pari a 18 miliardi di metri cubi di gas. Il resto arriva principalmente dall’Algeria (25%), e dalla Libia (6%). In Italia, inoltre da qualche mese è operativo anche il Tap, il gasdotto che partendo dall’Azerbaigian approda in Salento, con una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno, che a breve potrebbe essere raddoppiata. Ciò permetterà di ampliare la fornitura di gas che l’Italia riversa ogni anno sul mercato italiano, pari a 70-75 miliardi di metri cubi.

L’hub tedesco rischia di fare concorrenza a quello italiano anche se, secondo alcuni osservatori, ci sarebbe in realtà spazio per entrambi i poli, tenendo anche conto che nel Mare del Nord si estrae sempre meno gas e l’Olanda ha deciso di anticipare la sua transizione verso la green economy.

Nel risiko energetico, dunque, il nodo centrale rimane politico. In un mondo sempre più multilaterale e all’interno di un’Europa alle prese con la transizione ambientale, il tramonto dell’era Merkel coincide con il completamento di un gasdotto che avvicina Russia e Germania. Mentre Berlino già da qualche anno ammicca (almeno commercialmente) alla Cina, grande rivale degli USA.

Tasselli di un mosaico complesso, che ridefiniscono la geopolitica globale.

Photo Credits: Sputnik / Euronews

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