Ambiente

L’Appennino chiede neve e ristori, si infiamma il dibattito sulla sostenibilità del turismo invernale

11
Gennaio 2023
Di Simone Zivillica

L’anno appena trascorso, secondo il Cnr-Isac, è stato di 2,4°C più caldo rispetto al 1800, mentre rispetto al periodo 1991-2022 l’aumento di temperature è di “solo” 1,5°C. Le virgolette sono d’obbligo in quanto il riscaldamento climatico di cui siamo sempre più testimoni si sta intensificando di anno in anno. Oltre al dibattito su colpevoli, soluzioni e mitigazione, il riscaldamento climatico comincia a far sentire effetti prima di quanto ci si aspettasse anche su aree che si pensavano lontane dall’esserne intaccate, relegate alle analisi scientifiche ed etiche su paper accademici o studi di settore. Più caldo, va da sé, vuol dire meno neve in quote dove non dovrebbe vedersi altro che cime bianche e paesaggi fiabeschi, specialmente in inverno. Meno neve, va ancor più da sé, vuol dire meno – in molti casi zero – turismo correlato alle strutture sciistiche che funzionano solo con innevate corpose, almeno quanto basta per far partire i cannoni con la neve artificiale e mantenere un manto utile.

Sono molte le difficoltà economiche in aree che già si stavano riprendendo faticosamente dopo due intensi anni di pandemia e relative conseguenze finanziarie. È il caso delle stazioni sciistiche appenniniche che garantiscono la vitalità delle comunità che gli vivono attorno. Assenza di neve significa necessariamente assenza di indotto nel turismo, con enormi danni al sistema economico delle aree montano-appenniniche.

Se è vero che nelle ultime ore si è vista qualche nevicata – neanche troppo timida – fino a quota 1500 metri, e sporadicamente anche più in basso, è altrettanto vero che queste non sono sufficienti a che gli impianti possano riaprire. I cannoni sparaneve artificiale non possono partire perché non c’è abbastanza di naturale a terra e anche la soluzione della neve scaricata dagli elicotteri non è risultata sufficiente. Ci si era provato alle stazioni di Gstaad, in Svizzera, con scarsi risultati dovuti alle difficoltà logistiche, alle temperature troppo miti e all’insostenibilità economica di produrre, caricare e scaricare la neve su un elicottero. Questo dimostra come il problema sia molto più esteso della sola mancanza di neve sulla dorsale appenninica, ma colpisca anche l’ecosistema alpino su tutti i fronti, da quello austriaco a quello francese, passando per la Svizzera. I cannoni, poi, cominciano anche a essere bersagli degli attacchi di ecoattivisti, come quello accaduto sull’Appennino bolognese, precisamente sul Corno alle Scale, dove sono stati tagliati i cavi di alimntazione dei cannoni. Eventi come questo evidenziano sempre più marcatamente come il dibattito pubblico (e le azioni che ne devono derivare) su queste tematiche debba includere sì le istanze delle economie del territorio, ma anche le mutate esigenze climatiche con le relative posizioni – sempre più estremiste – che vengono a materializzarsi.

Sul tema, l’attenzione delle istituzioni è alta e lo testimonia l’incontro che si tiene mercoledì 11 gennaio al ministero del Turismo tra il ministro Santanchè e i rappresentanti delle regioni, con una discussione volta a trovare soluzioni percorribili e concrete per una stagione turistica che, di fatto, non è mai partita. I primi a lanciare il grido d’allarme sono ovviamente gli appartenenti a quelle comunità che vivono degli indotti del turismo invernale. «Il tavolo con il ministro Santanchè parte con la presenza delle regioni Abruzzo, Emilia Romagna e Toscana, ma è chiaro che la partecipazione alla riunione di mercoledì è aperta anche ai rappresentanti delle regioni dell’Appennino Centrale e Meridionale. In questo momento – specifica il coordinatore nazionale della commissione Turismo della Conferenza delle regioni, Daniele D’Amario – è necessario dare un segnale concreto agli operatori turistici della neve che rischiano seriamente di vedere compromessa una stagione invernale che invece era partita sotto i migliori auspici».

Una richiesta che arriva direttamente dalle associazioni di categoria, che spingono per aiuti concreti e snellimento burocratico nel loro ottenimento. «Il 40% del fatturato stagionale è già andato perduto a Natale – specifica infatti Rolando Galli dell’Associazione nazionale esercenti funiviari – insistendo sulla necessità di ristori, una moratoria fiscale, la sospensione dei mutui e la possibilità di attivare la cassa integrazione per gli stagionali». Da Federfuni, invece, il presidente Andrea Formento insiste sulla necessità di «continuare a investire sugli impianti di risalita e innevamento, continuare a investire sull’innevamento programmato, ma investire sulla neve anche trovando soluzioni diverse oltre allo sci, ricostruendo il tessuto del turismo alberghiero».

È chiaro che interventi contingenti a dare risposte utili e concrete nel breve periodo sono indispensabili, ed è in questa direzione che si stanno muovendo tutte le forze politiche, dichiarandosi quasi unilateralmente per un sostegno tangibile alla prima linea di questa battaglia contro il riscaldamento dell’atmosfera. Non mancano proposte che esplorano soluzioni lontane da quelle citate finora, come quella del consigliere regionale dell’Emilia Romagna Silvia Piccinini (Movimento 5 Stelle) che suggerisce in un ordine del giorno approvato lo scorso 21 dicembre lo stanziamento di 50mila euro all’anno in bilancio 2023-2025 per la promozione dello sci su erba.

Tuttavia sembra necessario un cambiamento di paradigma nel pensare il turismo nelle aree appenniniche nello specifico e in quelle montane più in generale. C’è chi ritiene strategico guardare al passato per riscoprire le vie del turismo lento, fatto di scoperta dei territori e di offerta turistica il più possibile variegata, allontanandosi dalla monocoltura dello sci da discesa. Un’impostazione del genere darebbe la possibilità di investire su comunità che altrimenti verrebbero sempre più tagliate fuori dai discorsi economici intorno al loro territorio. Già mesi fa, Kristian Ghedina aveva già dichiarato a Il Dolomiti che «bisognerebbe smettere di andare a cercare la neve dove non c’è e quando non è la stagione». Non solo. Uno che la montagna la conosce in tutte le sue forze e debolezze è Reinold Messner, ed è da tempo che avverte sulla necessità di ripensare la montagna con forme di turismo più sostenibile. Un altro illustre montanaro, Paolo Cognetti, le cui Otto Montagne sono in sala nei cinema di tutta Europa, scandisce da tempo e chiaramente che lo sci non può più essere una monocultura dominante e che le strutture vanno ripensate affinché non ci si debba aspettare sempre e solo un turismo di massa.

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