Ambiente

L’Italia continua a guardare al nucleare

14
Marzo 2023
Di Giuliana Mastri

La crisi climatica che il mondo vede chiaramente di fronte ai propri occhi ha indotto i governi a interrogarsi su come dare nuovo slancio, in ottica sostenibile, al modello di sviluppo. Oltre gli enunciati e i programmi, forse troppo ambiziosi, incentrati sulla decarbonizzazione, i consigli degli esperti vanno un po’ tutti nel senso di aprire a soluzioni diversificate. Ricorderete le affermazioni del ministro della transizione ecologica del governo Draghi Roberto Cingolani, il quale parlava di “mix energetico”. Il menu energetico ha sicuramente smesso di essere fisso da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Troppo incerto approvvigionarsi da un solo fornitore che ha mire imperialiste. Oltre a rinvigorire gli investimenti sulle rinnovabili, a rimodulare le forniture di gas, coinvolgendo i Paesi del Nord Africa, chiedendo più contributo a Norvegia e Azerbaijan, e optando per il gas liquefatto americano (quello più opinabile da un punto di vista ecologico), l’Ue a luglio 2022 ha definitivamente rotto il tabù del nucleare. Ponendo nell’atto delegato sulla tassonomia europea, oltre al metano, anche l’energia nucleare come fonte sostenibile. Decretandolo con il voto della sessione plenaria del Parlamento a Strasburgo, un fatto che animò molte critiche e discussioni.

Il cambio di approccio europeo

Nel primo trimestre di quest’anno la normalizzazione del nucleare da parte dell’Europa va avanti, ed emergono atti delegati in cui la Commissione propone di implementare la produzione di idrogeno attraverso fonti a bassa emissione, inclusa l’energia nucleare.

L’Italia allora, da sempre ingessata sul tema, comincia a muoversi. Risale a questo mese l’accordo tra il gruppo Ansaldo, l’azienda Edison e la francese Edf finalizzato a “collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva, anche in Italia”. Le parti “si impegnano a verificare le potenzialità di sviluppo e di applicazione del nuovo nucleare in Italia, date le crescenti esigenze di sicurezza e indipendenza energetica del sistema elettrico italiano”. Si procede con pazienza e nell’attenta valutazione del rapporto rischi-benefici, tuttavia anche secondo il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini “investire sul nucleare di ultima generazione è dovere sociale”.

Nel nucleare si crede ancora?

Va detto che negli ultimi dieci anni, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti hanno prodotto più da fonti rinnovabili che da nucleare, che a livello globale ha visto una diminuzione degli investimenti. Eolico e solare, nel dettaglio, hanno rappresentato il 37% della produzione di energia elettrica dell’UE nel 2021, un aumento di 3 punti percentuali rispetto al 34% del 2019. In confronto, nello stesso anno, l’energia nucleare ha prodotto 733 TWh lordi, il 4% in meno (BP Statistical Review 2022). Contemporaneamente però Russia e Cina puntano pesantemente sulla tecnologia nucleare. Pechino ha il maggior numero di reattori in costruzione in territorio nazionale, mentre la Russia ne detiene più di tutti all’estero (Dati “World Nuclear Industry Status Report 2022″). Anche per questo le schermaglie ideologiche andrebbero abbandonate e, nonostante le questioni dei lunghi tempi di realizzazione e gli stoccaggi delle scorie, emerge l’idea che nuovi passi avanti vadano fatti. Per raggiungere quell’autonomia piena che le fonti naturali da sole non possono dare.

L’impegno di Gianpiero Zinzi

«L’indipendenza energetica dell’Italia è essenziale per il futuro. Tra le vie percorribili c’è il nucleare pulito di ultima generazione. Per questo la Lega è al lavoro per sostenere anche a livello normativo possibili progetti di sviluppo di nuove tecnologie su reattori di 3° e 4° generazione, quali gli LFR, partendo dalla creazione sul territorio nazionale di impianti prototipali di ricerca di tali tecnologie, ad alta sicurezza e affidabilità», a dirlo è il deputato della Lega Gianpiero Zinzi, presentando una risoluzione in Commissione Ambiente alla Camera. «Parallelamente vanno istituiti – ha proseguito Zinzi – idonei percorsi di ricerca e sviluppo nelle università e si deve promuovere una campagna di informazione oggettiva, senza opposizioni preconcette. Il tutto nel contempo rinsaldano la collaborazione tecnica ed industriale con soggetti ed enti Europei e Statunitensi. Il nostro Paese non può continuare a dipendere solo dall’import dell’energia».

Secondo Zinzi non esistono le condizioni per riutilizzare i quattro reattori dismessi italiani, pertanto bisognerà valutare le soluzioni future con i detentori delle tecnologie di i pianto, vale a dire le società statunitensi Westinghouse e General Electric. A chi è diffidente Zinzi ha ricordato la figura suggestiva di Enrico Mattei, il quale diede impulso alla costruzione della centrale nucleare di Latina, un primo tassello per la sua idea di indipendenza energetica assieme alla produzione elettrica. Oggi c’è la fusione più sicura e pulita e le imprese italiane sono pronte, ribadisce il deputato. Del resto, il piano politico del governo Meloni sull’energia si chiama proprio “Piano Mattei”. Zinzi non ha affatto ignorato il tema della sicurezza e ha parlato anche degli stop francesi dovuti a problemi rilevati. Negli ultimi giorni si è appreso di una crepa nell’impianto di Pelny nel nord del Paese. Ma ha risposto che è la ricerca che deve ovviare ai possibili intoppi, stabilendo la non commistione tra costruttori ed esercenti, un elemento possibilmente di squilibrio a suo avviso.