Esteri

Usa: i bimbi di Uvalde, le stragi facili, Biden e Trump

31
Maggio 2022
Di Giampiero Gramaglia

«Fa’ qualcosa!». «Lo farò»: visibilmente scosso, Joe Biden fa una promessa che difficilmente potrà mantenere alle famiglie delle vittime della strage di Uvalde, la cittadina del Texas dove un ragazzo appena maggiorenne, che non poteva ordinare una birra al bar, ma che aveva già potuto comprarsi un fucile a ripetizione, ha ucciso19 bambini di una scuola elementare e due loro insegnanti, dopo avere ferito la propria nonna. Il marito di una delle maestre è deceduto due giorni dopo, stroncato dal dolore.

Compiuta da Salvador Ramos alla Robb Elementary School, la tragedia di Uvalde scuote l’America come spesso accade per le stragi a scuola. Le peggiori: il liceo di Columbine di Denver (Colorado) – 1999: due studenti uccidono 12 compagni e un insegnante, poi si tolgono la vita -; la Sandy Hook Elementary School di Newtown nel Connecticut – 2021: un ventenne uccide 27 persone, 20 bimbi -; il liceo di Parkland in Florida – 2018: un ex studente di 19 anni uccide 17 fra ragazzi e docenti e ne ferisce decine -.

Ogni tragedia ha le sue particolarità. Ogni killer ha una sua storia. Tutte e tutti hanno un minimo comune denominatore: la facilità con cui ci si può procurare un’arma negli Stati Uniti. A Uvalde, cittadina di 15 mila abitanti a Ovest di San Antonio, il 24 maggio ci sono state inefficienze, insolite negli Usa, nell’intervento della polizia: il Dipartimento della Giustizia federale indaga per capire perché gli agenti, arrivati sul posto poco dopo il killer, hanno atteso a lungo prima di fare irruzione e ucciderlo.

«Vogliamo che le cose cambino, che si faccia qualcosa» per evitare altre tragedie analoghe, dicono genitori affranti e maestri superstiti al presidente venuto con la first lady Jill, anch’essa insegnante, a condividere il loro dolore. «Una sparatoria di massa accade e rimbalza sui media. La gente piange, s’indigna, chiede giustizia. Poi se ne dimentica e non si fa nulla, finché non accade di nuovo».

Maggio era stato costellato da drammi del genere, a scuola, in Università, nei centri commerciali, sui luoghi di lavoro: il 14, un suprematista bianco di 18 anni aveva ucciso 10 persone “per difendere i bianchi dall’estinzione” in un supermercato di Buffalo, vicino alle cascate del Niagara, nello Stato di New York.  

Sarà così anche questa volta: non è una domanda, è una certezza. C’è la pastoia del II emendamento della Costituzione, quello che sancisce il diritto a possedere e a portare un’arma – e poco conta che sia stato scritto pensando ai ‘minuteman’ della Guerra d’Indipendenza contro gli inglesi e ai pionieri (e non agli psicopatici del XXI Secolo) -.

E, infatti, Biden si dà obiettivi limitati. «Il Congresso deve passare la legge sul controllo dei profili di chi vuole acquistare armi, vietare i fucili d’assalto e i mitra», scrive su Twitter: «È ora di mutare il dolore in azione», insiste. Abiti e occhiali scuri nel pellegrinaggio nel dolore di Uvalde, i Biden depositano un mazzo di fiori bianchi e accarezzano le foto delle 21 vittime montate su croci: sono mano nella mano, abbracciano la direttrice della scuola Mandy Gutierrez, il presidente si asciuga una lacrima. Poi vanno in chiesa per la messa: «I nostri cuori sono spezzati», dice l’arcivescovo Gustavo Garcia-Siller – la comunità è cattolica, sono soprattutto ispanici -.

Ma il presidente sa che non sarà facile neppure scalfire il II Emendamento. Barack Obama ci provò più di tutti i suoi predecessori, dopo la strage di Newtown: rese più severi i controlli su chi compra armi, ottenne che dagli scaffali di alcune catene della grande distribuzione venissero ritirati i fucili più letali. Poi arrivò Trump, che revocò gli ordini di Obama; e si tornò al Far West per l’entusiasmo dei suoi elettori e grazie all’ignavia dei congressman, che temono di perdere voti rendendo le armi meno facili (e le elezioni di midterm sono vicine: 150 giorni al voto).

Questa volta, qualcosa sembra muoversi sul Campidoglio di Washington: un gruppo bipartisan lavora per cercare un compromesso, ma – notano gli osservatori – le proposte sono deboli e non avrebbero prevenuto la strage di Uvalde. Anche il muro dei repubblicani mostra crepe, perché le stragi a scuola angosciano genitori elettori, tra rabbia e dolore. Fra le ipotesi, c’è la Red Flag Law che consente a polizia e familiari di chiedere a un tribunale il ritiro delle armi a qualcuno ritenuto pericoloso per se stesso e per gli altri.

Ma l’America è divisa. Tre giorni dopo la strage di Uvalde, sempre in Texas, a Houston, si riunisce l’annuale convention della Nra, la National Rifle Association, la più potente lobby delle armi Usa: ipocrisia – «tutti piangiamo i morti di un mostro criminale» -; retorica – i nomi delle vittime letti uno ad uno -; e lo show di Donald Trump, «onorato di essere qui con i grandi patrioti dell’Nra».

L’ex presidente sceglie la tribuna della lobby per fare campagna elettorale: lì, non c’è nessuno che voti democratico. «Siete la spina dorsale della nostra società», dice, suscitando applausi entusiasti. E lancia una stoccata a un potenziale rivale per la nomination 2024, il suo pur fedelissimo governatore del Texas Greg Abbott: «Io ci sono, altri no». Abbott, aspramente criticato per aver allentato le leggi in vigore nello Stato sulle armi, diserta, infatti, la convention.