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Il Vinitaly riparte, numeri pre-Covid, ma la paura resta

15
Aprile 2022
Di Piero Tatafiore

«Ci vediamo in Trentino». «Andiamo a pranzo in Sicilia». «Dove sei? Nelle Marche? Un minuto e arrivo». Sono frasi normali da ascoltare durante il Vinitaly, che dopo due anni di sostanziale stop è tornato nella sua veste più bella e coinvolgente dal 10 al 13 aprile. L’attesa per questa edizione era alta: un ritorno alla normalità dopo le chiusure dovute alle restrizioni per il Covid. Per comprendere cosa muova il Vinitaly basti pensare che all’edizione 2022 hanno partecipato 4.400 aziende provenienti da 19 nazioni, con oltre 30 convegni e 76 super-degustazioni organizzate. Questo solo nei padiglioni della Fiera di Verona, perché poi c’è stato il Vinitaly and the city, il fuorisalone del vino nel centro storico di Verona, con migliaia di persone che hanno partecipato al fitto programma di eventi, show cooking, masterclass, degustazioni e feste, tante feste.

Insomma, il Vinitaly è un po’ quello che la notte degli Oscar è per il cinema, un momento di celebrazione del settore. E che si svolga in Italia non è certo un caso, visto che siamo il maggior produttore al mondo con una quota del 18,5%, grazie a 130 mila imprese agricole, oltre 45.600 aziende vinificatrici e 1,3 milioni di addetti. E i numeri finali hanno dato ragione al grande sforzo logistico degli organizzatori, che hanno dovuto fronteggiare i protocolli Covid: l’edizione numero 54 ha infatti registrato il record storico di incidenza di buyer stranieri in rapporto al totale ingressi: i 25.000 operatori stranieri (da 139 Paesi) rappresentano infatti il 28% del totale degli operatori arrivati in fiera (88.000). E ciò al netto della fortissima contrazione – legata alle limitazioni pandemiche agli spostamenti internazionali – degli arrivi da Cina e Giappone, oltre ovviamente ai buyer russi. E, soprattutto, una bella ventata di ottimismo e di normalità in un periodo così difficile. Tutto rose e fiori, dunque? Non proprio. Se per esempio vediamo il primo consumatore al mondo di vino (e primo mercato per l’Italia), gli Stati Uniti, uno studio UIV-Vinitaly ha evidenziato come negli ultimi tre anni, secondo Wine Intelligence/Iwsr che ha collaborato all’analisi, gli Usa hanno perso 12 milioni di consumatori regolari di vino (passati da 84 a 72 milioni nel 2021), in un quadro attuale che vede quasi la metà dei wine lovers concentrati nella fascia più anziana – quella dei Baby Boomers (oltre 57 anni) – ma che vale il 31% della popolazione statunitense.

Ad abbandonare il calice di vino, spesso in favore di altre bevande come gli hard seltzer, i ‘ready to drink’ o la Tequila, sono le persone più giovani (tra 21 e 41 anni), artefici di una emorragia di 11 milioni di consumatori. A oggi la fascia a cavallo tra Gen Z e Millennials, pur rappresentando quasi la metà della popolazione, vale solo il 28% della platea dei regular wine drinker. Ma ci sono anche le preoccupazioni del segretario generale di Unione italiana vini Paolo Castelletti: il vino italiano subirà quest’anno una contrazione del proprio fatturato del 2,5%-3% a causa del combinato disposto di fattori congiunturali che con la guerra hanno subito un’ulteriore accelerazione”. Preoccupazioni che fanno il paio con quelle del direttore generale di Federvini Vittorio Cino: «Il conflitto russo-ucraino ha ulteriormente aggravato un quadro già segnato dai rincari nella logistica e dagli aumenti dei prezzi delle materie prime (vetro +25%, cartone più che raddoppiato, tappi + 40%) che ogni giorno sempre di più mettono a dura prova gli operatori». Insomma, la ripartenza c’è, ma alla speranza si affianca la paura.