Politica

“Basta col trasformismo!”. La Camera si adegua al Senato contro i cambi di casacca

22
Febbraio 2022
Di Ettore Maria Colombo

Tempi duri per il trasformismo parlamentare

Tempi duri per lo storico, tipico, fenomeno del Parlamento italiano, il ‘trasformismo’ parlamentare, detto anche fenomeno dei ‘cambi di casacca’. La Camera ha deciso, dopo tanti anni, di prendere seri provvedimenti al riguardo – un duro ‘giro di vite’ – e di adeguarsi al regolamento del Senato, già operativo dal 2018, ma che a sua volta opererà presto un’altra stretta in tal senso mentre il Regolamento della Camera era fermo, sul punto, al 1971. Ma prima di vedere come intendono regolarsi le Camere per arginare il trasformismo parlamentare, analizziamo il fenomeno e come si è manifestato nell’ultima legislatura, basandoci sui numeri – completi ed esaustivi – che fornisce in merito il sito di monitoraggio parlamentare ‘Openpolis’.

Ben 302 cambi di casacca in soli quattro anni

In generale, tra Camera e Senato è stato appena sfondato il muro dei 300 cambi di casacca (302 per la precisione). Dal marzo 2018, data delle ultime elezioni politiche, ben 143 deputati e 70 senatori hanno indossato una ‘casacca’ politica diversa da quella con cui erano stati eletti.

Ma negli ultimi anni, vi sono stati anche altri passaggi politici che hanno impresso una significativa accelerazione al fenomeno. In particolare, i due cambi di governo. Tra l’agosto e il settembre 2019 infatti (nel momento del passaggio dal governo gialloverde a quello giallorosso) i cambi di gruppo furono 52. Al momento del passaggio dal Conte II a Draghi (tra gennaio e marzo 2021) i passaggi sono stati 81.

Complessivamente, dunque, i cambi di gruppo avvenuti dal 2018 a oggi sono stati 302, per una media di circa 6 al mese. Alla Camera i deputati coinvolti sono stati 143 per un totale di 185 cambi di gruppo. A palazzo Madama invece i riposizionamenti totali sono stati 117 e hanno visto protagonisti 70 senatori. La disparità tra il numero di cambi di gruppo complessivi e quello dei parlamentari coinvolti è dovuta al fatto che un esponente politico può anche cambiare più di un gruppo all’interno della legislatura.

Tra dicembre 2021 e febbraio 2022, con l’avvicinarsi del voto per il Quirinale, sempre secondo i dati di Openpolis, il fenomeno trasformismo ha peraltro registrato una brusca accelerata, con ben 31 nuovi cambi di casacca. “I riposizionamenti sono stati numerosi: alla base di questo scenario c’è stata probabilmente la volontà di provare a spostare gli equilibri all’interno dell’assemblea che avrebbe dovuto scegliere il nuovo capo dello Stato.

I due gruppi neonati, uno di cui ‘neo-morto’

Una dinamica confermata dalla nascita al Senato del gruppo Costituzione, ambiente, lavoro – Italia dei valori (Cal – Idv), formazione che è stata istituita e poi sciolta nell’arco di poche ore”. Formato da nove senatori (Lezzi, Lannutti, Abate, Angrisani, Corrado, Crucioli, Di Micco, Granato e Mininno), tutti ex M5s, il gruppo era stato creato per sostenere la candidatura del presidente del Senato, Casellati, a presidente della Repubblica ma dato il fallimento di quest’ipotesi si sciolto subito, restando ‘attivo’ per poche ore…

Invece, alla Camera, quattro deputati ex M5s (Silvia Benedetti, Yana Chiara Ehm, Doriana Sarli e Simona Suriano, che è diventata anche vicepresidente del gruppo Misto) hanno dato vita a “Manifesta – Potere al Popolo – Prc- Sinistra europea”, sottogruppo del Misto che fa riferimento a piccole sigle della sinistra radicale che, alle ultime elezioni, hanno presentato liste ma non avevano eletto alcun parlamentare.

M5s, Forza Italia e Pd i tre partiti più colpiti

L’analisi dei cambi di gruppo nel lungo periodo evidenzia come Movimento 5 stelle, Forza Italia e Partito democratico siano le forze politiche maggiormente danneggiate dal fenomeno. Sebbene, infatti, sostanzialmente tutti i gruppi parlamentari abbiano registrato nel tempo movimenti sia in entrata che in uscita, questi tre partiti ad oggi sono gli unici che hanno visto una riduzione dei propri ranghi rispetto ai seggi scaturiti dalle elezioni del 2018. Da notare che nelle ultime settimane queste tre forze politiche hanno vissuto passaggi differenti. Rispetto all’ultimo aggiornamento del database di Openpolis, infatti, il Movimento 5 stelle si è ulteriormente ridotto di numero.

Sono infatti diventati 99 i deputati e i senatori che hanno lasciato il M5s (o sono stati espulsi) dall’inizio della legislatura. Il Pd invece è rimasto stabile (35 parlamentari in meno rispetto a marzo 2018, causa soprattutto la scissione di Iv). FI, pur restandola seconda formazione più colpita dagli abbandoni, ha incassato tre parlamentari in più.

Lega e FdI i gruppi che ne hanno guadagnato

Escludendo il caso particolare del Misto, i gruppi che hanno più beneficiato del fenomeno sono stati Italia viva (Iv) di Matteo Renzi (+44) e Coraggio Italia (Ci) di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro (+21). In entrambi i casi però si tratta di gruppi che si sono formati a legislatura iniziata. È quindi fisiologico per queste formazioni registrare un saldo positivo tra gli ingressi e gli abbandoni.

Analizzando invece le forze che hanno partecipato al confronto elettorale del 2018 possiamo osservare che Lega e Fratelli d’Italia hanno beneficiato del fenomeno. Nel caso del partito di Salvini i deputati “conquistati” sono stati 6 mentre i senatori 5. Nel caso della formazione di Giorgia Meloni invece gli ingressi sono stati 9 (6 alla Camera e 3 al Senato).

I recordman dei ‘cambi di casacca’

Dal punto di vista dei cambi ‘uti singoli’, il recordman è il senatore sardo Gianni Marilotti, eletto con il M5S, che dopo un lungo peregrinare tra gruppo Misto, Autonomie, Europeisti è poi atterrato nel Pd totalizzando ben cinque cambi di casacca. C’è poi la deputata Maria Teresa Baldini (4 cambi), che da Fratelli d’Italia oggi siede tra i banchi di Italia viva (previ passaggi in Forza Italia e Coraggio Italia). La performance di Baldini è eguagliata dal senatore Saverio De Bonis: eletto nel Movimento, oggi sta con Berlusconi. Tre i partiti diversi, invece, per la deputata Michela Rostan, così come la senatrice ex fedelissima del Cavaliere Mariarosaria Rossi e il senatore ‘anti Schettino’ Gregorio De Falco, già colpaccio elettorale dell’allora leader Luigi Di Maio e oggi nel Misto dopo l’espulsione dal M5S per aver votato contro i decreti sicurezza di Salvini.

Un’emergenza cui mettere presto rimedio…

Il fenomeno del ‘trasformismo’, dopo il record della precedente legislatura (2013-2018) in cui si arrivò a 569 cambi di casacca, quando furono di più sia i cambi di gruppo (569) che i parlamentari coinvolti (348) si conferma una vera ‘emergenza’.

Per regolamento interno, i gruppi rappresentano la proiezione dei partiti dentro il Parlamento. Ogni parlamentare deve aderire ad un gruppo ma può scegliere a quale senza vincoli. E può anche cambiare liberamente nel corso della legislatura.

Ma ecco che sembra proprio giunto il momento di un giro di vite, grazie alla modifica del vetusto regolamento datato 1971, una proposta bipartisan firmata da Emanuele Fiano (Pd) e Simone Baldelli (FI) che è la sintesi di diverse proposte parlamentari, e riprende in gran parte quella di Andrea Giorgis, responsabile riforme del Pd.

La proposta di modifica di Fiano e Baldelli

In sintesi, chi cambia la casacca perde gli incarichi. I membri dell’Ufficio di presidenza, vicepresidenti e segretari, che entrano a far parte di un gruppo parlamentare diverso da quello cui appartenevano al momento dell’elezione decadono dall’incarico, tranne se ciò accada in caso di scioglimento o fusione con altri gruppi.

Cambierà, inoltre, la ripartizione dei finanziamenti dei gruppi parlamentari della Camera: rispetto alla divisione attuale dei contributi ai gruppi, la modifica prevede che un ricalcolo delle risorse possa avvenire solo se il gruppo si modifica almeno di un terzo dei suoi componenti e solo se aumenta con dieci deputati.

La penalizzazione anche economica ai cambi

Insomma, chi cambia casacca non si porta più dietro, come oggi, la ‘sua’ quota parte delle risorse del gruppo parlamentare a cui apparteneva (ogni parlamentare che entra in un gruppo porta in dote circa 56 mila euro l’anno, aumentando così il plafond di contributi ricevuti dalla Camera di appartenenza e utilizzabili per pagare collaboratori, staff, iniziative, a disposizione di ogni eletto) né fa un buon affare chi lo accoglie, perché dovrà dividere lo stesso budget, e gli stessi uffici, tra più componenti.

Il nuovo regolamento della Camera è dunque costellato di tagliole per disincentivare il trasformismo. A differenza dal Senato, però, non prevede il “non gruppo” dei non iscritti, ma scoraggia la fuga dei parlamentari nel Misto.

La revisione dei quorum e delle commissioni

Ma la riforma dei regolamenti risponde anche a un’altra esigenza: adeguare il funzionamento a un Parlamento con 400 deputati (invece di 630) e di 200 senatori (oggi sono 315), come ratificato dal referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari del 2020. Quindi, sono stati rivisti tutti i quorum. Ecco che scenderà da 20 a 14 il numero minimo di deputati necessari per costituire un gruppo parlamentare. Una deroga potrà essere concessa, non oltre il primo anno di legislatura, se il nuovo gruppo rappresenta un partito o un movimento che si siano presentati alle ultime elezioni con lo stesso contrassegno in almeno venti circoscrizioni e abbiamo avuto accesso all’assegnazione dei seggi. Al Senato, invece, resta fisso il numero di dieci membri, per costituire un gruppo, come previsto dal nuovo Regolamento già in vigore a partire dal 2018.

Tra Camera e Senato occorre, però, adesso concordare su alcune altre questioni, ad esempio il numero delle commissioni, sempre a causa della riduzione del numero dei parlamentari. A Palazzo Madama è indispensabile ridurle da 14 a 10, a Montecitorio potrebbe non essere necessario ma si creerebbe una discrepanza, che il bicameralismo perfetto non può permettersi. Già nella prossima settimana ci dovrebbe essere un confronto tra Fico e la presidente del Senato, Elisabetta Casellati.

Su come verranno accorpate le commissioni il cantiere è aperto. Comunque, le Politiche Ue non dovrebbe perdere autonomia, dopo diverse proteste e polemiche. A essere sacrificata dovrebbe essere la commissione Salute accorpata a Lavoro e Affari sociali, insieme poi sarebbero Esteri e Difesa, mentre Affari costituzionali si accompagnerebbe con Editoria, insieme Industria e Agricoltura. Resta il problema della specularità tra Camera e Senato sul numero di commissioni, dato che il nostro è un sistema bicamerale. 

Entro fine marzo i nuovi regolamenti parlamentari dovrebbero essere approvati sia a Montecitorio che al Senato. Una riforma forse piccola ma che potrebbe scongiurare, a partire dalla prossima legislatura, un fenomeno atavico e tipo del parlamentarismo italiano come il ‘trasformismo’ o, appunto, i ‘cambi di casacca’.