L’industria chimica resta uno dei pilastri strategici dell’economia italiana, ma attraversa una fase di pressione crescente che mette a rischio investimenti, capacità produttiva e tenuta delle filiere. Con circa 67 miliardi di euro di valore della produzione, oltre 2.800 imprese e 112 mila addetti qualificati, la chimica rappresenta la quinta industria nazionale e la terza in Europa, dopo Germania e Francia. Una filiera trasversale, che alimenta quasi il 95 per cento dei beni di uso quotidiano, dall’automotive alla farmaceutica, dall’agroalimentare all’energia, e che ha una forte proiezione internazionale: l’export sfiora i 40 miliardi di euro, con una crescita delle vendite estere superiore all’80 per cento dal 2010.
Eppure, proprio mentre il settore conferma la sua centralità industriale, aumentano i segnali di fragilità. I costi energetici restano strutturalmente elevati e la concorrenza globale si fa più aggressiva, come dimostra l’aumento delle importazioni cinesi di prodotti chimici strategici in Italia, passate dal 6 per cento del 2021 al 17 per cento nel 2025. A livello globale, il 75 per cento delle chiusure annunciate dalle aziende chimiche si concentra oggi in Europa, una dinamica che riflette il rallentamento industriale del continente e le difficoltà competitive rispetto a Stati Uniti e Asia.
Sul fronte politico, il governo rivendica la necessità di una svolta strutturale. «Il mondo industriale vive una difficoltà data dal costo dell’energia, la competizione e le norme europee», ha affermato Umberto Maerna, deputato di Fratelli d’Italia e membro della Commissione Attività produttive, intervenendo a Largo Chigi, format di Urania Tv, curato da The Watcher Post. Secondo Maerna, l’obiettivo è invertire la tendenza «con una visione strutturale e Transizione 5.0, sostenendo concretamente e tentando di applicare il concetto che più investi meno paghi», affiancando incentivi alla formazione e all’ingresso di nuova forza lavoro. Nel decreto Energia in preparazione, ha aggiunto, «ci saranno sgravi fiscali e una strategia di medio-lungo periodo sul nucleare e le rinnovabili», con fondi immediati per l’efficientamento energetico già nel biennio 2025-2026. Un impianto che, nelle intenzioni dell’esecutivo, si lega anche al Piano Mattei e al tentativo di rendere più realistici i principi europei, evitando derive ideologiche che «distruggono il tessuto industriale».
Di segno critico la lettura dell’opposizione. Antonio Misiani, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato per il Partito democratico, che a Largo Chigi parla di una crisi strutturale dell’industria italiana, con un calo del 5,4 per cento in tre anni e una flessione della produzione chimica superiore al 12 per cento nello stesso periodo. «La nostra energia è la più cara dell’Ue», ha sottolineato, indicando come priorità il disaccoppiamento tra prezzo dell’energia e del gas e la stipula di contratti di acquisto di lungo periodo per ridurre le bollette. Misiani giudica il Green Deal «troppo burocratico», ma avverte che la semplificazione non deve tradursi in una rinuncia, perché «la competizione globale con Usa e Cina si gioca sulle filiere green». Critiche anche su alcune scelte recenti del governo, come la proroga ventennale delle concessioni per la distribuzione elettrica, che secondo il senatore rischia di riversare costi aggiuntivi sui cittadini. E un monito netto: «Non abbandonare la chimica di base, che è un fondamento sempre fondamentale», ricordando come la dismissione di Versalis da parte di Eni abbia avuto effetti negativi.
Dal punto di vista delle imprese, il nodo centrale resta l’energia. «La chimica è un’industria strategica ma in crisi», ha spiegato Mario Alessandro Castagna, responsabile delle relazioni istituzionali di BASF Italia. «È altamente innovativa, impiega una quota di laureati molto superiore alla media nazionale, ma oggi sconta sfide enormi legate alla geopolitica e soprattutto ai costi dell’energia». Castagna ha ricordato come, prima del conflitto russo-ucraino, i costi energetici fossero pari a 100, per poi salire fino a 2.000 e attestarsi oggi intorno a 200: «È comunque un raddoppio strutturale dei costi che mette a rischio la competitività e la sopravvivenza di intere linee produttive». Da qui il legame diretto tra industria e modello sociale: «Difendere l’industria europea significa difendere il nostro modello sociale, basato su lavoro, welfare e previdenza».
Castagna ha anche ribadito il ruolo della chimica nella transizione ecologica. «Pannelli solari e batterie sono processi chimici», ha osservato, sottolineando come l’errore sia stato pensare di poter sacrificare la chimica di base mantenendo solo quella più avanzata. «La chimica italiana resta un orgoglio del Paese: vale 43 miliardi di euro di export, molto più di altri settori di cui si parla ogni giorno». Un patrimonio industriale che, secondo il manager, può continuare a competere sui mercati globali solo con «misure energetiche immediate e politiche industriali di medio-lungo periodo».





