Esteri

Ucraina, il piano Trump sfida l’Europa: un test cruciale per l’autonomia strategica UE

01
Dicembre 2025
Di Gianni Pittella

Le prime indiscrezioni, in merito al cosiddetto piano di pace statunitense per l’Ucraina, hanno scosso le principali capitali europee. La proposta, negoziata in via riservata dall’inviato speciale statunitense Steve Witkoff e dal capo negoziatore russo e Ceo del fondo russo per gli investimenti, Kirill Dimitriev si presenta come una bozza di armistizio “a due” destinata a essere poi imposta a Kiev e, di riflesso, all’Europa. Dietro la retorica della “fine rapida della guerra”, il piano ridefinisce in modo unilaterale i parametri della sicurezza europea, spostando l’asse decisionale dal formato multilaterale ad una diplomazia bilaterale tra Stati Uniti e Russia. L’Unione europea, destinataria diretta delle conseguenze di lungo periodo del conflitto, si ritrova così di fronte a un duplice dilemma: accettare un assetto fortemente eteronomo, che penalizza i propri principi fondativi e la sicurezza dei partner orientali, oppure affrontare una prova di autonomia strategica in un contesto di dipendenza militare e di divisioni interne.

Le istituzioni europee hanno reagito in modo articolato e, in parte, ambivalente. Da un lato, la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha riconosciuto che il negoziato in corso tra Washington, Kiev e Mosca, in particolare le consultazioni di Ginevra, ha prodotto almeno un “punto di partenza” per un possibile quadro di pace, sottolineando come l’UE non fosse stata capace, nei tre anni e più di guerra, di mettere sul tavolo un testo altrettanto strutturato. Dall’altro lato, la stessa Von der Leyen e altri leader europei hanno tracciato linee rosse molto nette: nessun accordo può comportare la “spartizione” di un paese sovrano, nessun riconoscimento esplicito delle conquiste territoriali ottenute con la forza e nessuna pace che non sia al tempo stesso “giusta” e “duratura”.

Nel giro di pochi giorni dalla circolazione della bozza in ventotto punti, diversi Stati membri e servizi del Consiglio e della Commissione hanno lavorato alla definizione di un “contropiano” europeo, con un numero di punti ridotto e un’impostazione più aderente ai parametri del diritto internazionale e della politica estera dell’UE. Il tratto distintivo di questa controproposta è il rifiuto formale di qualsiasi riconoscimento della sovranità russa sui territori occupati: la questione dei confini viene rinviata a un processo politico successivo al cessate-fuoco, da condurre con il pieno coinvolgimento ucraino. Inoltre, il contropiano insiste su garanzie di sicurezza sostanziali, ancorate sia alla Nato sia a possibili meccanismi europei autonomi, inclusa la prospettiva, più di lungo periodo, di una difesa comune rafforzata, come suggerito dall’iniziativa “Readiness 2030” avanzata dalla Commissione per rafforzare le capacità militari europee.

L’idea di fondo è che la sicurezza dell’Ucraina non può essere delegata esclusivamente a promesse politiche bilaterali, ma richiede l’integrazione dell’Ucraina in una più ampia architettura di sicurezza europea.Tuttavia, il contropiano europeo rivela anche una serie di fragilità. Non è chiaro chi dovrebbe fornire in concreto le garanzie militari (solo Nato? anche coalizioni europee “ad hoc”?), né quale livello di impegno, fino all’eventuale dispiegamento di truppe, l’UE sarebbe disposta ad accettare. Inoltre, la stessa unità europea è messa alla prova da divergenze tra Stati membri: alcuni sono tentati da una soluzione rapida, anche al prezzo di concessioni significative; altri considerano qualsiasi compromesso territoriale come una minaccia diretta alla propria sicurezza. Queste ambiguità riducono il potere negoziale dell’Unione di fronte a Washington e Mosca.

Il piano di pace in ventotto punti promosso dall’amministrazione Trump non è soltanto un testo negoziale su un conflitto specifico: è un dispositivo che mette alla prova, simultaneamente, la coerenza normativa, la coesione interna e l’autonomia strategica dell’Unione europea. Per come è concepito nella sua versione originaria, il piano appare difficilmente compatibile con i principi di sovranità, integrità territoriale e responsabilità per i crimini di guerra che l’UE afferma di difendere. La reazione europea non può limitarsi a una denuncia di principio.

Se l’Unione vuole evitare di essere marginalizzata, deve tradurre quanto proclama in una proposta operativa credibile, accompagnata dalla disponibilità a sostenerla con risorse politiche, economiche e, se necessario, militari. In questo senso, la combinazione tra un contropiano più equilibrato e il rafforzamento delle capacità di difesa europee può rappresentare una risposta coerente, ma richiede un salto di qualità nella volontà politica degli Stati membri. In ultima analisi, il dossier sul piano Trump offre un’anteprima della condizione in cui l’Europa rischia di trovarsi nei prossimi anni: compressa tra un alleato americano sempre più orientato a una diplomazia transazionale e una Russia revisionista che non ha rinunciato alla logica della forza. Il modo in cui l’UE affronterà questa prova, se adattandosi a un ruolo subordinato o affermando una soggettività strategica autonoma, contribuirà a definire non solo l’esito della guerra in Ucraina, ma il profilo stesso del progetto di integrazione europeo.