Politica
Tutele, conflitti e consenso: il sistema occidentale alla prova degli equilibri globali
Di Beatrice Telesio di Toritto
La settimana si è chiusa intrecciando simboli globali e passaggi politici nazionali. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ha riportato al centro del dibattito una delle fragilità strutturali delle nostre società: la capacità degli Stati di proteggere i diritti fondamentali in un contesto mondiale attraversato da instabilità e crisi irrisolte. Le istituzioni europee hanno rilanciato l’appello a rafforzare strumenti di prevenzione e contrasto, inserendo la dimensione di genere dentro una più ampia riflessione sulla tenuta democratica dell’Unione. In parallelo, le tensioni internazionali continuano a comprimere lo spazio politico dedicato ai diritti, perché la polarizzazione geopolitica – dalla competizione tra potenze al logoramento del multilateralismo – produce effetti indiretti sulla capacità dei governi di garantire sicurezza, welfare e protezione sociale.
Mentre Bruxelles chiede agli Stati un salto di qualità sulle politiche di tutela, l’Italia ha attraversato una settimana politicamente densa. Da un lato la pressione sociale legata alla manovra, allo sciopero nazionale e al rallentamento del dialogo fra governo e parti sociali; dall’altro, un segnale istituzionale che rompe gli equilibri degli ultimi anni: l’approvazione all’unanimità alla Camera della norma che introduce il femminicidio come reato autonomo, punito con l’ergastolo. Una scelta che ha un peso non solo giuridico, ma anche politico e culturale, perché traduce in legge un’esigenza percepita come urgente dalla società e restituisce coerenza alla cornice internazionale richiamata dalla Convenzione di Istanbul e dalle iniziative dell’UE. La convergenza trasversale registrata in Parlamento mostra come, su alcuni terreni, la politica nazionale riconosca l’impatto sistemico della violenza di genere e provi a intervenire laddove il tessuto sociale appare più vulnerabile.
Sul piano internazionale lo scenario resta dominato dalla guerra in Ucraina, che nelle ultime ore ha visto emergere un tentativo di riavviare la diplomazia. Un’ipotesi di negoziato circola in forma ancora embrionale: Kiev avrebbe modulato alcune richieste iniziali, pur mantenendo intatti i suoi principi di sovranità, mentre le capitali europee e Washington osservano l’evoluzione con prudenza, consapevoli che qualsiasi compromesso rischia di aprire fratture politiche interne e tensioni sul fronte orientale dell’Occidente. In questo quadro, il nesso tra diritti, sicurezza e governance diventa evidente: la vulnerabilità delle donne nei contesti di pace è lo specchio della fragilità delle società sotto pressione, mentre in guerra i diritti di genere sono tra i primi a essere violati, strumentalizzati o cancellati.
È proprio qui che gli elementi della settimana si ricompongono: l’insistenza delle istituzioni europee sui diritti delle donne, la scelta dell’Italia di tipizzare il femminicidio come reato autonomo e il tentativo di aprire uno spiraglio negoziale sul conflitto più vicino ai confini dell’UE parlano della stessa questione di fondo, ovvero la capacità degli Stati democratici di difendere le persone più esposte in un mondo che si fa più instabile. La protezione dei diritti non è un capitolo accessorio dell’agenda geopolitica, ma una componente della sicurezza globale. E la settimana appena conclusa lo ha ricordato con una chiarezza rara: nelle crisi internazionali come nelle società democratiche, chi resta senza tutele diventa il primo indicatore dello stato di salute del sistema.





