Politica

Manovra e consenso: prove di tenuta

09
Novembre 2025
Di Beatrice Telesio di Toritto

Con l’avvio delle audizioni in Commissione Bilancio, è iniziato ufficialmente l’iter parlamentare della legge di bilancio 2026. Una settimana di confronto tecnico e politico che ha offerto la prima prova di tenuta della manovra, tra richiami alla prudenza e critiche alla distribuzione degli oneri fiscali. La legge di bilancio si presenta come un vero e proprio banco di prova economico dopo la riforma della giustizia approvata a fine ottobre: se quella era una riforma “identitaria”, la manovra è invece un test di concretezza e sostenibilità.

Al centro del dibattito, il tema fiscale. Il governo Meloni ha confermato la riduzione dell’aliquota intermedia IRPEF dal 35% al 33%, misura destinata a circa dieci milioni di contribuenti del ceto medio. Un segnale politico forte, ma dagli effetti economici limitati: le simulazioni parlano di un beneficio medio di circa 250-300 euro l’anno, con vantaggi più consistenti per le fasce di reddito più alte.

La Corte dei Conti, nella sua audizione preliminare, ha segnalato alcune criticità strutturali: le stime di gettito per le sanatorie e la “rottamazione” delle cartelle esattoriali risultano ottimistiche e rischiano di minare la tenuta dei conti pubblici. Anche la Banca d’Italia e l’Istat, nei rispettivi pareri, hanno rilevato come il taglio dell’IRPEF abbia un impatto marginale sulle disuguaglianze e non incida in modo significativo sul potere d’acquisto delle famiglie. È un monito che riporta la discussione sulla natura politica della manovra: più simbolica che trasformativa, utile a consolidare la narrazione del “governo che taglia le tasse”, ma vincolata nei margini reali di spesa da un quadro europeo che impone rigore e prudenza.

La prospettiva di ridurre il deficit sotto il 3% già nel 2026, come annunciato dal Ministero dell’Economia, rafforza questa linea di equilibrio: Bruxelles resta un riferimento obbligato, tanto sul fronte del patto di stabilità quanto su quello del PNRR. L’Italia tenta così di mostrarsi affidabile sui mercati e nei confronti delle istituzioni europee, ma la tensione tra disciplina contabile e consenso interno resta evidente.

Sul piano politico, la manovra accentua le divisioni tra governo e opposizione. Da un lato, la maggioranza rivendica il carattere “espansivo e redistributivo” delle misure fiscali; dall’altro, il centrosinistra denuncia un intervento regressivo, che favorisce i redditi medio-alti e scarica i costi sulle fasce più deboli. In questo clima si inseriscono anche le prime mobilitazioni sindacali, con gli scioperi nel trasporto pubblico e nei servizi, a testimoniare una crescente insofferenza sociale.

Il governo si muove così in un equilibrio delicato: deve preservare la credibilità internazionale senza perdere quella interna, contenere il deficit senza smentire la promessa di “meno tasse”, sostenere la crescita mentre la produttività ristagna e l’inflazione si attenua solo lentamente. È una partita che non si gioca solo nei numeri, ma nella percezione politica della stabilità e dell’efficacia dell’esecutivo.