Economia
L’economia circolare in Italia decolla, ma serve un’accelerata per raggiungere i target
Di Beatrice Telesio di Toritto
In un contesto globale sempre più attento all’efficienza delle risorse e alla sostenibilità, l’Italia mostra segnali incoraggianti nell’adozione di pratiche di economia circolare. Secondo il nuovo Circular Economy Report 2025 elaborato dall’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano, l’economia circolare genererà nel nostro Paese risparmi complessivi pari a 18,3 miliardi di euro nel corso dell’anno, in crescita rispetto ai 16,4 miliardi del 2024. Una cifra significativa, ma che rappresenta soltanto il 15% del potenziale stimato: per centrare l’obiettivo di 119 miliardi di risparmi cumulati entro il 2030 occorrerebbe infatti un salto dimensionale, con investimenti quasi dieci volte superiori a quelli attuali.
Il grado di maturità circolare delle imprese italiane è passato da 2,2 a 3,1 su una scala da uno a cinque, segno che dopo il rallentamento del biennio 2023-2024 il sistema produttivo sta ritrovando slancio. La quota di aziende che stanno introducendo o sono pronte a introdurre pratiche circolari è salita dal 24 al 34%, mentre è cresciuto in modo significativo anche il numero di imprese che investono in modo strutturale nella transizione: quelle che hanno allocato oltre 50 mila euro sono passate dal 20 al 43%, anche se i grandi investimenti – sopra i 250 mila euro – restano limitati all’8% del totale.
Dal lato dei consumatori, un sondaggio Doxa citato nello studio rivela che il 60% degli italiani conosce il concetto di economia circolare e lo considera importante (4,2 su 5). Tuttavia, la consapevolezza non sempre si traduce in comportamenti concreti. Nell’acquisto di beni durevoli, la maggioranza continua a preferire il nuovo: il 70% per gli elettrodomestici, il 57% per l’arredamento e solo il 26% dichiara di aver optato per prodotti rigenerati nel settore tech.
L’Italia, intanto, mantiene una posizione di leadership europea su diversi indicatori: la produttività delle risorse è cresciuta del 32% tra il 2020 e il 2024, raggiungendo 4,7 euro per chilo; il tasso di utilizzo circolare dei materiali ha toccato il 20,8%; il riciclo dei rifiuti si attesta all’86%, mentre quello degli imballaggi al 75,6%. Dati che testimoniano la solidità del modello industriale nazionale, ma che al tempo stesso evidenziano la necessità di trasformare le buone pratiche in sistema.
L’economia circolare non è più solo una questione ambientale, ma una leva competitiva e industriale. I risparmi misurati dal Politecnico mostrano che la circolarità può generare valore economico tangibile, riducendo costi e dipendenza dalle materie prime. Tuttavia, l’impatto rimane limitato finché gli investimenti restano frammentati e di piccola scala. Per molte imprese la vera sfida è integrare la logica circolare nei processi, nel design dei prodotti, nella logistica inversa e nella gestione dei fornitori, superando barriere tecnologiche, culturali e normative.
Anche il comportamento dei consumatori gioca un ruolo decisivo. La domanda di beni rigenerati o a basso impatto può accelerare la diffusione dei modelli circolari, ma richiede fiducia, incentivi e una comunicazione più chiara sul valore reale della sostenibilità. Allo stesso tempo, la politica economica può fare la differenza attraverso strumenti di sostegno, semplificazione amministrativa e programmi di formazione che aiutino le imprese, in particolare le Pmi, a innovare.
L’Italia, insomma, si conferma tra i Paesi più avanzati d’Europa nella gestione delle risorse, ma per colmare il divario tra il potenziale teorico e i risultati effettivi serve una strategia coerente e condivisa. Il 2025 può essere l’anno della ripartenza, ma solo se la circolarità diventerà parte integrante del modo di produrre e di consumare, e non più una nicchia virtuosa.





