Politica

Francia, Europa e il filo sottile della stabilità

13
Settembre 2025
Di Beatrice Telesio di Toritto

In Francia, la politica ha vissuto una delle sue scosse periodiche. Il governo guidato da François Bayrou è caduto sotto il peso di un voto di sfiducia quasi plebiscitario: 364 voti contrari, 194 a favore. Alla radice, una manovra di austerità che prevedeva tagli severi e persino la soppressione di due giorni festivi: un pacchetto nato per ridurre il debito pubblico, ma che ha finito per ridurre piuttosto la pazienza dei deputati.

La risposta di Emmanuel Macron è stata rapida: la nomina di Sébastien Lecornu a nuovo primo ministro. Giovane, energico, con esperienza ministeriale, ma con davanti una missione complicata: guidare un governo minoritario in un’Assemblea frammentata, dove ogni votazione rischia di diventare un referendum sul futuro stesso dell’esecutivo. Lecornu dovrà destreggiarsi in un contesto in cui la parola “compromesso” è spesso più difficile da praticare che da pronunciare.

Ma il terremoto francese non si può leggere in isolamento. Solo pochi giorni dopo, a Bruxelles, Ursula von der Leyen ha pronunciato il suo discorso sullo Stato dell’Unione 2025. Un intervento denso, quasi un appello: l’Europa, ha detto, deve imparare a muoversi come attore geopolitico in un mondo sempre più instabile. Ha parlato di difesa comune, di autonomia strategica, di un’Unione che non può limitarsi a reagire, ma deve saper proporre e guidare.

Il paradosso è evidente: mentre la presidente della Commissione chiede più unità, più stabilità e più visione strategica, una delle colonne dell’Unione — la Francia — attraversa l’ennesima fase di incertezza politica. Il contrasto è quasi simbolico: l’Europa che invoca coesione, e uno dei suoi stati cardine che fatica a trovare un equilibrio interno.

Non si tratta solo di una questione nazionale. La Francia è il motore, insieme alla Germania, di molte delle principali iniziative comunitarie. Se Parigi è impegnata a sopravvivere politicamente, diventa più difficile garantire la leadership necessaria per rafforzare le politiche comuni su difesa, energia, economia. E proprio questo era uno dei punti centrali del discorso di von der Leyen: un’Europa capace di agire con voce unica, senza farsi paralizzare dalle divisioni interne.

In questo quadro, la crisi francese assume un significato che va oltre i confini nazionali. Non è solo la caduta di un governo, ma un test per la resilienza delle istituzioni europee. Riuscirà Parigi a ritrovare stabilità in tempo utile per giocare il suo ruolo? E riuscirà Bruxelles a convincere i suoi cittadini che l’Unione può essere un porto sicuro in mezzo alla tempesta globale, se i suoi stessi membri più influenti sono in balia delle onde?

La risposta, come sempre, dipenderà dalla politica: dalla capacità di Lecornu di governare senza numeri solidi, dalla determinazione di Macron a preservare la sua agenda, e dalla volontà degli altri partner europei di sostenere, non solo a parole, quel progetto di “Europa più assertiva” evocato da von der Leyen.

In fondo, la vicenda francese e il discorso sullo Stato dell’Unione raccontano la stessa storia: quella di un continente sospeso tra ambizioni globali e fragilità interne. La stabilità europea, oggi, non si misura solo nei trattati o nelle dichiarazioni solenni, ma nella capacità dei governi nazionali di resistere alle tempeste quotidiane. E la Francia, con la sua instabilità cronica, ci ricorda che il cuore politico dell’Europa batte spesso a ritmo irregolare.