Economia

Tassi, a luglio la Bce dovrebbe lasciarli invariati

24
Luglio 2025
Di Giuliana Mastri

Luglio si avvicina con un’aria sospesa, e anche la Banca Centrale Europea pare voler respirare. Dopo mesi di aggiustamenti, ritocchi e cautela, Francoforte si prepara a lasciare i tassi invariati: il 2% sui depositi e il 2,25% per il tasso di rifinanziamento. È una pausa che non sa di abbandono, ma di attesa strategica. Una tregua, insomma, che potrebbe tornare utile nel caso si apra davvero un nuovo fronte: quello commerciale.

Le considerazioni che portano a questa posizione attendista sono molteplici e vengono ben riassunte da Riccardo Sorrentino in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore. L’idea centrale è che l’attuale scenario economico – per quanto incerto – non presenti segnali d’allarme tali da richiedere un intervento immediato. L’inflazione, ad esempio, sembra comportarsi meglio di quanto ci si potesse attendere fino a pochi mesi fa: le aspettative, osservate attraverso gli indicatori di mercato, restano saldamente ancorate tra il 2 e il 2,2%, a volte perfino al di sotto dell’obiettivo fissato dalla stessa Bce. Il picco isolato di marzo – causato dalle turbolenze legate ai dazi – è rientrato senza conseguenze strutturali.

Anche sul fronte interno dell’economia reale arrivano segnali rassicuranti. Il dato più interessante riguarda l’inflazione salariale, cioè quel differenziale tra il costo del lavoro e la produttività che spesso agisce come indicatore avanzato delle tensioni inflazionistiche. Dopo mesi di surriscaldamento, è scesa sotto il 2% nel primo trimestre del 2025. È un solo dato, e quindi prudenza impone di aspettare conferme, ma intanto la pressione si allenta. E la Bce guadagna tempo.

Tempo che potrebbe servire a capire cosa succederà sul fronte valutario e, soprattutto, commerciale. L’euro si è rafforzato visibilmente rispetto al dollaro. È un segnale da monitorare con attenzione, anche se i livelli raggiunti non sono ancora ritenuti pericolosi per la competitività delle imprese europee. Il cosiddetto “cambio effettivo” – una media ponderata che considera le principali valute – ha toccato i massimi da dieci anni, ma la politica monetaria della Bce, per statuto e impostazione, non insegue gli aggiustamenti valutari. Piuttosto, si concentra sugli eventuali effetti di questi movimenti sui prezzi interni.

In questo contesto, c’è però un elemento che potrebbe diventare rapidamente decisivo: l’eventuale introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti. Se si aprisse una nuova fase di guerra commerciale, la Bce potrebbe trovarsi nella necessità di tornare a una postura più espansiva per contrastare un possibile rallentamento della domanda aggregata.

Intanto, però, anche i dati sul credito mostrano segnali incoraggianti. I prestiti bancari – pur non corretti per la stagionalità – risultano in crescita, e i tassi applicati alle imprese si stanno riportando verso la mediana storica. In paesi come l’Italia questo livello è stato già raggiunto. È la prova che, per ora, il sistema economico europeo regge. L’incertezza c’è, ma non frena i grandi aggregati.

La posizione della Bce, in definitiva, appare consapevolmente prudente. Dopo la rimozione di strumenti come la forward guidance, e con un obiettivo di inflazione “simmetrico” (cioè disposto ad accettare variazioni temporanee sopra o sotto il 2%), la strategia monetaria europea si è fatta più flessibile, ma anche più dipendente dai dati in tempo reale. Per ora i numeri non impongono decisioni drastiche. Ma la vera partita potrebbe giocarsi a settembre, con nuove proiezioni economiche e, forse, nuove tariffe. Ed è lì che, davvero, si capirà se questa pausa è stata solo un’interruzione tattica o l’inizio di una nuova fase.