Politica

La diplomazia della ricostruzione

12
Luglio 2025
Di Beatrice Telesio di Toritto

Nel cuore della capitale italiana, tra le sale rinascimentali e la pressione afosa dell’estate, si è svolto il Quarto Convegno per la Ricostruzione dell’Ucraina, un appuntamento che ha superato la dimensione dell’evento multilaterale per diventare simbolo di un momento politico decisivo per l’Europa. A Roma, non si è solo parlato di aiuti economici. Si è tracciata una mappa di alleanze, si sono posizionati pezzi sullo scacchiere della politica comunitaria e si è sancita la centralità – strategica e simbolica – dell’Italia nel nuovo equilibrio europeo.

Oltre 10 miliardi di euro sono stati annunciati per sostenere la ripresa ucraina. Una cifra rilevante, raccolta in una sola giornata, che rappresenta una dimostrazione di forza e coesione, almeno apparente, da parte del blocco occidentale. Ma più dei numeri, ciò che ha colpito è stata l’architettura diplomatica di questo incontro: Meloni ha interpretato il convegno come un momento di iniziativa politica, orientando il dibattito, definendo le priorità operative e ponendosi, non senza ambizione, come mediatrice tra le diverse anime dell’Unione.

La premier italiana ha offerto a Volodymyr Zelensky una piattaforma solida, concreta, non solo fatta di promesse ma di proposte operative: un piano di ricostruzione basato sulla cooperazione tra pubblico e privato, con l’obiettivo non solo di ricostruire, ma di modernizzare profondamente il tessuto economico e civile ucraino. Le parole d’ordine non sono state solo “aiuti” o “solidarietà”, ma anche “investimenti”, “partnership”, “visione strategica”. L’Ucraina, ha detto Meloni, non è solo una vittima da sostenere, ma un partner da aiutare a rinascere. Questo linguaggio, volutamente pragmatico, segnala una svolta nella narrativa europea: la ricostruzione diventa un progetto politico, economico e anche identitario.

Roma, in questo quadro, non è stata scelta solo per ragioni logistiche o protocollari. Il suo valore è profondamente simbolico. Da sempre ponte tra Sud e Nord Europa, tra mondo mediterraneo e asse franco-tedesco, oggi si propone come capitale del “nuovo europeismo” conservatore, pragmatico, meno tecnocratico e più radicato nelle priorità geopolitiche attuali: sicurezza, energia, stabilità migratoria e influenza nei Balcani e in Africa. La premier non si limita quindi a sostenere l’Ucraina: ambisce a modellare la cornice politica ed economica entro cui l’Europa occidentale ne gestirà la ricostruzione.

E proprio su Ursula von der Leyen si è giocata un’altra partita, meno visibile ma altrettanto cruciale. La presidente della Commissione europea ha utilizzato il palco romano anche per rinsaldare la propria legittimità, appena messa alla prova da una mozione di sfiducia presentata in Parlamento e respinta il 10 luglio. Pur rimanendo in carica, von der Leyen esce indebolita dal voto e ora cerca nuovi equilibri, anche nel dialogo con l’area conservatrice rappresentata da Meloni, sempre più centrale nei bilanci politici di Bruxelles. Il suo discorso a Roma è stato calibrato per lanciare un messaggio duplice: da un lato, quello di una Commissione che sa tradurre il linguaggio della solidarietà in azione concreta; dall’altro, quello di una leadership capace di tenere insieme i diversi interessi dei Ventisette, anche quelli più eterodossi rappresentati dal blocco conservatore europeo.

Dunque, dietro la coreografia dell’unità europea, si muovono equilibri delicati. La ricostruzione ucraina – con i suoi fondi, i suoi appalti, le sue prospettive energetiche – è già un terreno di competizione economica tra Stati, tra imprese e tra visioni politiche. L’Italia cerca di guadagnare un ruolo centrale offrendo competenze nel settore infrastrutturale, sanitario ed energetico. La Germania punta al controllo tecnologico e alla governance. La Francia si muove tra diplomazia e industria della difesa. E intanto gli Stati Uniti, pur meno presenti mediaticamente, osservano e influenzano in modo più discreto.

In definitiva, la ricostruzione dell’Ucraina non è più soltanto un’urgenza umanitaria o un dovere morale, ma il banco di prova su cui si misurerà la capacità dell’Europa di agire come potenza geopolitica autonoma. Chi finanzia, chi progetta e chi guida questo processo non sta solo investendo in infrastrutture: sta scrivendo le regole del nuovo ordine continentale. E Roma, per due giorni, ne è stata il laboratorio. Con una Giorgia Meloni che – piaccia o meno – non ha più il ruolo di osservatrice: è diventata una delle autrici della nuova sceneggiatura europea.