Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, il conflitto tra Israele e Iran ha raggiunto un nuovo livello di intensità, con gli attacchi israeliani che hanno preso di mira non solo le strutture nucleari iraniane, ma anche l’intera leadership militare del paese. L’operazione israeliana, che ha colpito alcuni dei leader più importanti delle forze armate iraniane, segna una mossa senza precedenti. Tra i morti figurano Hossein Salami, comandante dei Pasdaran (le Guardie della rivoluzione iraniana), e Mohammad Bagheri, il capo di stato maggiore dell’esercito iraniano, insieme a Gholamali Rashid, comandante delle forze interforze iraniane. Il messaggio di Israele è chiaro: non solo la capacità nucleare, ma anche la direzione strategica del paese deve essere eliminata, colpendo i vertici militari che coordinano le operazioni militari e le alleanze internazionali dell’Iran.
La reazione iraniana non si è fatta attendere, con il lancio di oltre cento droni verso Israele. Questo attacco, che segue una lunga tradizione di scontri indiretti tra i due paesi, evidenzia un cambiamento significativo nelle dinamiche della guerra tra Israele e Iran, che rischia ora di trasformarsi in un conflitto su scala regionale e globale. Le alleanze di Teheran, in particolare con Hezbollah, Hamas, e le milizie sciite in Iraq, potrebbero tradursi in un coinvolgimento diretto di questi gruppi, estendendo le operazioni militari oltre i confini iraniani.
L’escalation non riguarda solo Israele e Iran. La morte dei leader militari iraniani ha l’effetto di destabilizzare non solo il sistema di potere interno dell’Iran, ma anche le alleanze che Teheran ha costruito in tutta la regione. Hezbollah in Libano, le milizie in Iraq e Siria, e i gruppi filoiraniani in Yemen e Gaza sono pronti a rispondere, e in molti casi già lo stanno facendo. La mossa israeliana ha quindi potenzialmente aperto il vaso di Pandora di un conflitto regionale che potrebbe coinvolgere più attori, con il rischio di allargarsi ulteriormente.
Per l’Europa, la situazione è complicata. In primo luogo, la crescente instabilità nel Medio Oriente porta con sé il rischio di una nuova crisi dei rifugiati. L’Unione Europea si trova già sotto pressione per la gestione dei flussi migratori provenienti dal Mediterraneo, e l’escalation della violenza potrebbe spingere centinaia di migliaia di persone a cercare asilo. In secondo luogo, c’è il problema dell’approvvigionamento energetico. L’Europa dipende ancora in larga misura dalle forniture di petrolio e gas che transitano attraverso il Medio Oriente. Una guerra che interrompa queste rotte vitali potrebbe avere un impatto devastante sulle economie europee, con un aumento dei prezzi dell’energia che farebbe lievitare ulteriormente i costi già elevati per i cittadini.
Il conflitto tra Israele e Iran ha ormai superato i confini di una semplice guerra bilaterale, trascendendo i confini regionali e coinvolgendo attori internazionali con potenziali ripercussioni globali. Le alleanze strategiche, le dinamiche di potere regionali e i rischi di un’escalation incontrollata pongono l’intera comunità internazionale di fronte a un bivio: evitare il conflitto totale e lavorare per una de-escalation, oppure affrontare le conseguenze di una guerra che potrebbe riscrivere gli equilibri geopolitici in modo irreversibile.





