Politica

Il gioco del Colle s’infittisce, ultimi aggiornamenti sulla corsa al Quirinale

17
Dicembre 2021
Di Ettore Maria Colombo

Fuori uno. Mattarella si (ri)chiama fuori…

Fuori uno. Sergio Mattarella si chiama fuori, per l’ennesima volta, dalla successione a se stesso, sul Colle, con un uno-due che più formale, istituzionale e diplomatico non si potrebbe fare.

Prima va in “visita di congedo” da Papa Francesco I, con la sua intera famiglia. “Grazie della sua testimonianza” gli dice il Papa, e non è un mistero che, dentro le mura vaticane, vorrebbero che Mattarella restasse lì dov’è o che, almeno, il Parlamento eleggesse un profilo simile. “Lui ascolterà la voce che viene dal Paese. Mattarella crede nel valore delle istituzioni che si esprimono nei tempi, nelle scelte, nella disponibilità. Quali saranno le richieste della base politica, si vedrà”, commenta Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, che aggiunge subito: “Certamente quello che mi sembra bello è vedere come la popolarità di Mattarella sia molto alta pur tenendo lui un profilo molto basso”. Disponibilità, dunque, umiltà e costruttore di unità, le caratteristiche di Mattarella che piacciono in Vaticano.

Poi, nel pomeriggio, il Capo dello Stato parla al corpo diplomatico per i saluti di fine anno: “oggi, per me, è anche l’occasione di un commiato” dice loro. Insomma, sembra proprio che Mattarella no, non abbia alcuna intenzione a un bis.

Dentro, però, un altro. Si chiama Mario Draghi, formalmente sta a palazzo Chigi e, per la gioia dei peones di tutti i partiti (“se cade la legislatura – sospira un 5Stelle nel cortile di palazzo Montecitorio – io ci perdo 200 mila euro e devo rinegoziare il mutuo con la banca”), dovrebbe restarci. Ma del premier tutti analizzano parole e non detti, sospiri e malcelate intenzioni. “Ci ha detto buon Natale! Vuole congedarsi da premier!”, sibila un dem. “Ha anticipato la conferenza stampa di fine anno al 22 dicembre, vuol dire che si lancia al Colle”, sospira preoccupato un leghista di vecchio conio. 

Tutti i partiti, e i loro leader, da Salvini a Letta, passando per Conte (tutti tranne una, la Meloni, che vorrebbe correre al voto anticipato), vorrebbero che Draghi restasse dov’è. Ma dall’altra parte sanno anche che, per ‘fermare’ la corsa di Berlusconi, hanno solo una carta in mano: spedire Draghi al Quirinale (si parte, contando tutti i voti dei partiti che reggono l’attuale maggioranza di governo, da 710 voti) e acconciarsi a sostenere un nuovo governo a guida Franco (o Cartabia).

Gli altri nomi che pure si fanno (Casini, Amato, Cartabia, CasellatiPera) sono deboli, alla prova dei numeri, e di Aule ‘ingovernabili’: non reggerebbe, forse, neppure dal IV scrutinio. “Io non voglio entrare nel totonomi – avverte il ministro degli Esteri Di Maio – ma il premier va protetto dai giochi politici”.

Il ‘terzo incomodo’, il Cavaliere, ci crede…

Ed ecco che, appunto, in questo baillamme di voci che si inseguono, di stop and go asfissianti, di ‘consultazioni’ di Salvini e di Meloni, spunta fuori il ‘terzo incomodo’, Silvio Berlusconi. Lui ci crede e affina la sua strategia. ‘Comprati’ i peones del Misto uno a uno, stretto un patto di ferro con Renzi e con i centristi, ‘minacciati’ Salvini e Meloni, la strategia del Cavaliere è presto detta.

La linea già scelta è quella di ‘obbligare’ i partiti del centrodestra a votare scheda bianca alle prime tre votazioni, quando il quorum è di due terzi (674 voti su 1009 Grandi elettori, i due seggi mancanti saranno completati per la data di convocazione, fissata a spanne per il 19 gennaio, al massimo per il 24) e di iniziare a votare il suo nome dal quarto scrutinio in poi, quando basta la maggioranza assoluta (506 voti).

Le dichiarazioni di FI, ovviamente, si sprecano. Antonio Tajani martella, un giorno sì e l’altro pure, che “Silvio Berlusconi sarebbe il miglior presidente della Repubblica. Se lui deciderà di farlo, sarà una scelta sua, ma porre veti su di lui, dopo avere avuto presidenti della Repubblica che venivano dal Pd è un errore. Salvini e Meloni hanno dimostrato sempre di essere leali e coerenti. Il centrodestra sarà coeso alla presentazione della candidatura e del voto”.

Tutti quelli che Berlusconi non lo vogliono

Il problema è che Berlusconi non lo vogliono mica così tanto, Capo dello Stato, Salvini e Meloni, figurarsi Letta e Conte. Il primo “non vuole eleggere un presidente alla Leone (che prese 505 voti, ndr.), ma con i voti di tutti, come Cossiga e Napolitano (che ne ebbero 700, ndr.)”. Ma soprattutto avverte: “Le forze politiche non reggerebbero venti votazioni, sarebbero sottoposte a pressioni troppo forti, con inevitabili conseguenze sulla stabilità della legislatura”. “Serve – dice Letta – metodo e condivisione per eleggere un Presidente con un largo consenso”.

Il secondo, il leader del M5s, ribadisce che “Berlusconi non è il candidato del M5S e non avrà i voti del M5S. Per eleggere il presidente della Repubblica di tutti gli italiani, vista la situazione che stiamo vivendo, sarebbe bene che le forze politiche cerchino la più ampia condivisione”. Già, il problema è che gli stessi dem si dicono molto “preoccupati” dalla tenuta dei gruppi dei 5S.

Il rischio che il ‘ventre’ dei parlamentari stellati esploda è altissimo, al Nazareno lo sanno e monitorano in modo costante l’evolversi dei gruppi del M5s con le loro antenne in Parlamento. “Noi siamo in salute, e cresciamo nei sondaggi, mentre Conte è imballato, non riesce a essere il ricostituente che pensavano”, sibilano i dem. E Andrea Romano, portavoce di Base riformista, arriva al punto di dire a Conte “datti una mossa”.

A risultare decisivo, al solito, sarà Renzi…

Chi di certo si dà, e da tempo, una mossa, sono i centristi. Soprattutto Matteo Renzi e la sua Iv, che va verso la ‘fusione’ del gruppo (43 parlamentari) con quelli di ‘Cambiamo!” – la formazione di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro – per dar vita a un nuovo gruppone centrista di 72 elementi.

Sia che sia Draghi, cioè un presidente da eleggere a larga maggioranza, sia che si tratti di un ‘terzo nome’ da tirare fuori dal cilindro, sia che si tratti del successo di Berlusconi – che sull’apporto di Renzi e dei centristi conta, eccome: si dice, anzi, che quei voti siano già suoi – chi potrebbe, dal IV scrutinio in poi, rompere tutti i giochi e diventare la variabile impazzita ma vincente del ‘Grande Gioco’ del Quirinale, saranno loro, i centristi.

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