Esteri

I nodi di Trump, dalle inchieste alla sconfitta in Georgia. I dubbi sulle elezioni 2024

08
Dicembre 2022
Di Giampiero Gramaglia

Da qualche giorno ci si chiede, a Washington, se saranno gli elettori o i giudici a decretare la fine della parabola politica di Donald Trump: il magnate ex presidente colleziona sconfitte elettorali e disfatte giudiziarie, ma – com’è suo costume – non ammette le une e non accetta le altre, anche quando le possibilità d’appello sono esaurite. Martedì 6 dicembre, il ballottaggio per un seggio del Senato in Georgia è stato un’altra vittoria per Joe Biden e un’altra batosta per Trump: il senatore uscente democratico Raphael Warnock, un pastore battista che officia nella chiesa che fu di Martin Luther King ha infatti battuto lo sfidante repubblicano Herschel Walker, un candidato ‘trumpiano’, un ex campione di football nero ai cui comizi non c’erano neri, un anti-abortista che pagava le sue fidanzate perché abortissero.

E’ la quarta volta in due anni che la Georgia, fino al 2016 fortilizio repubblicano, vota democratico: Biden e due corse al Senato nel 2020, di nuovo questa nel 2022. Qui, tengono solo i repubblicani anti-Trump, come il governatore Brian Kemp. La partecipazione in Georgia è stata alta, con oltre 3,5 milioni alle urne, moltissimi usando l’early voting, e decine di milioni di dollari spesi nella campagna, dopo che al primo turno l’8 novembre nessuno dei due candidati aveva raggiunto il 50% dei voti espressi. Tradendo il suo mentore, Walker ha ammesso la sconfitta, invitando i suoi sostenitori a continuare “a credere nell’America”.

L’esito del ballottaggio in Georgia può incoraggiare il presidente Biden a ricandidarsi nel 2024, tanto più dopo che i democratici, la scorsa settimana, su sua proposta, hanno rivisto il calendario delle primarie: non si inizierà più dallo Iowa, i cui caucuses erano da mezzo secolo la prima tappa del processo di selezione dei candidati, ma dalla South Carolina; poi Nevada e New Hampshire e quindi Georgia e Michigan. L’obiettivo è di dare più voce alla diversità – i neri in South Carolina, gli ispanici in Nevada -. Nel 2020, Biden partì male tra Iowa e New Hampshire e la South Carolina salvò la sua campagna.

Il nuovo Congresso, Camera repubblicana, Senato democratico
Nell’insieme del voto di midterm, Herschel è così diventato il quarto candidato trumpiano a perdere un’elezione che i repubblicani ritenevano alla loro portata, dopo quelle in Pennsylvania, in Arizona e in Nevada. Il risultato è che l’Amministrazione Biden si ritrova in una situazione più confortevole al Senato, dove prima i senatori erano 50 pari: il voto decisivo spettava alla presidente del Senato, che è la vice-presidente degli Stati Uniti Kamala Harris. Ora, i democratici sono 51 e i repubblicani 49 e le impuntature di qualche senatore democratico refrattario alla spesa pubblica, come il senatore della West Virginia Joe Manchin o quella dell’Arizona Kyrsten Sinema, possono essere meglio gestite.

Alla Camera, dove la maggioranza è 218, ci saranno 221 repubblicani e 213 democratici – un seggio del Colorado resta da assegnare –. Prima, i democratici erano 220 e i repubblicani 212, con tre seggi vacanti. Erano oltre 50 anni che il partito al potere non registrava un risultato così positivo nel voto di midterm.

Per la CNN, lo spostamento di un seggio al Senato darà ai democratici “significativi vantaggi”: saranno in maggioranza in tutte le commissioni e potranno, quindi, portare avanti più velocemente provvedimenti legislativi per loro prioritari, anche se dovranno sempre negoziarli alla Camera; e potranno approvare senza intoppi nomine loro proposte da Biden, specie per la Corte Suprema, se dovessero crearsi dei vuoti.

Usa 2024: i repubblicani divisi, ancora Trump o mai più Trump
Invece, la sconfitta di Herschel in Georgia acuisce le divisioni fra i repubblicani e, soprattutto, le perplessità sulla candidatura di Donald Trump alla nomination 2024, perché è l’ennesima conferma che candidati fortemente ‘trumpiani’ vincono le primarie, ma perdono le elezioni, perché non hanno l’appoggio dei moderati.

Trump, nelle ultime settimane, non s’era palesato ai comizi di Herschel, si pensa perché alle prese con le sue grane legali, che stanno venendo al pettine. La sconfitta politica in Georgia va di pari passo, infatti, con una serie di disfatte giudiziarie, personali e societarie. Martedì 6, nel giorno del ballottaggio, due compagnie della holding di famiglia, la Trump Organization, sono state considerate colpevoli, fra l’altro, di frode fiscale e di falsificazione di documenti contabili. A partire dal 2005 e per circa 15 anni, hanno ingannato a New York le autorità statali e federali e, ora, possono essere condannate a pagare una multa fino a 1,6 milioni di dollari.

L’ex presidente non era personalmente implicato in questa vicenda. Al verdetto, contro cui ci sarà appello, gli inquirenti, che denunciano “una cultura della frode e dell’inganno”, sono giunti grazie alla testimonianza di Allen Weisselberg, direttore finanziario della Trump Organization, che aveva già patteggiato in un procedimento a suo carico.

Raffica di verdetti negativi per il magnate ex presidente
La sentenza di New York non è stata l’unica negativa, in questi giorni, per il magnate ex presidente. Una commissione della Camera è infatti riuscita, dopo un tiramolla di contestazioni giudiziarie protrattosi per anni, a ottenere le dichiarazioni fiscali di Donald Trump. La Corte Suprema non s’è, infatti, opposta alle decisioni in tal senso di più di una corte federale, secondo cui la Camera aveva l’autorità per richiedere le dichiarazioni, specie quelle relative agli anni della presidenza.

Trump s’è sempre opposto alla pubblicazione dei suoi documenti fiscali e aveva già rotto, nel 2016, la tradizione per cui i candidati alla nomination diffondono le dichiarazioni dei redditi. La Camera potrà ora rendere pubblici i contenuti dei documenti di cui dispone, ma non si prevede che lo faccia in tempi brevi.

Inoltre, una corte d’appello federale ha annullato la decisione di una giudice di nomina trumpiana d’affidare a uno ‘special master’ la revisione dei documenti sequestrati al magnate ex presidente dall’Fbi in agosto nella sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida: documenti in parte classificati e che dovevano essere affidati all’Archivio nazionale, ma che Trump aveva portato via dalla Casa Bianca e tenuto con sé.

A settembre, la giudice Aileen M. Cannon aveva affidato a un magistrato, Raymond J. Dearie, l’incarico di vagliare gli oltre 13 mila documenti sequestrati, per valutare se tutti o una parte di essi fossero legittimamente in possesso di Trump, prima che il Dipartimento della Giustizia potesse compiere i suoi accertamenti. La sentenza d’appello rimuove un ostacolo all’indagine e ne accorcia i tempi.

La vicenda è in continuo divenire. S’è appreso che una squadra di legali del magnate ha trovato almeno altri due documenti classificati in un deposito in Florida, dopo che un giudice federale aveva chiesto di accertare se l’ex presidente fosse ancora in possesso di altri documenti riservati. Fra le località dove le ulteriori ricerche sono state condotte, ci sono la Trump Tower sulla V Strada a New York e il golf club di Bedminster nel New Jersey.

Resta, infine, l’inchiesta in corso alla Camera sull’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando facinorosi istigati dall’allora presidente presero d’assalto il Campidoglio per indurre senatori e deputati a rovesciare l’esito del voto presidenziale. Funzionati elettorali di Arizona, Michigan e Wisconsin sono stati chiamati a testimoniare.


Biden tra aborto e matrimoni inter-razziali e omosessuali
Se Trump ha i suoi guai, per Biden non sono tutte rose e fiori. I rapporti di forza in Congresso usciti dal voto di midterm non semplificano la ricerca di una tutela legislativa federale al diritto all’aborto negato in giugno da una sentenza della Corte Suprema, anche se un sondaggio del Washington Post testimonia l’attenzione che i cittadini statunitensi hanno per libertà non scritte nella Costituzione, relative agli orientamenti sessuali, al matrimonio e, appunto, all’aborto. Qualcosa, però, si muove, pure in ambito politico. Il rischio che una Corte Suprema fortemente conservatrice potesse mettere in discussione i matrimoni inter-razziali e quelli omosessuali ha, infatti, indotto il Senato a varare, con un voto bipartisan, il cosiddetto ‘Respect for Marriage Act’, con i sì di tutti i democratici e di 12 repubblicani (61 a 36 l’esito finale, con tre assenti).
Il presidente Biden ha così commentato: “Per milioni di americani, questa legge garantirà diritti e
tutele che la comunità LGBTQI+ e le coppie inter-raziali e i loro figli hanno ragione di chiedere”.
Dopo il sì anche della Camera, con 258 voti a favore – una quarantina i repubblicani – e 169 contro,
il ‘Respect for Marriage Act’, può ora andare alla firma del presidente.
La legge, fra l’altro, impone ai singoli Stati di riconoscere i matrimoni legali in un altro Stato, anche
se non prevede un vincolo federale per tutti gli Stati a legalizzare i matrimoni omosessuali.

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