Cultura

Quando la grande pittura anima le province italiane. Il caso della Fondazione Michetti

25
Agosto 2022
Di Alessandro Caruso

A fine luglio si è celebrata la 73esima edizione del Premio Michetti, una delle iniziative più interessanti sulla pittura figurativa contemporanea. Il premio è andato a Velasco Vitali, ma è stato l’occasione per rivitalizzare l’attenzione del pubblico sul fascino e l’attrattiva della pittura figurativa italiana e di farlo sfruttando un evento al di fuori delle geografie convenzionali del contemporaneo, ma ubicato a Francavilla al Mare, in Abruzzo. L’ennesima conferma del ruolo strategico delle “periferie” nel fermento culturale italiano. Ne abbiamo parlato con il presidente della fondazione Michetti Andrea Lombardinilo.

È stata la prima edizione del Premio Michetti da presidente della Fondazione. Com’è andata?
«Credo che il bilancio, ad oggi, sia molto buono. Il progetto ideato da Nunzio Giustozzi, l’adesione di alcuni dei più importanti artisti figurativi italiani, il contributo fornito dalla giuria presieduto da Costantino D’Orazio, il riscontro degli organi di informazione e dei visitatori: sono fattori che stanno determinando un rilancio del Premio dopo il periodo della pandemia, all’insegna di un ritorno alla figurazione che non implica alcuna nostalgia, ma, al contrario, la volontà di sperimentare non obliterando i tratti identitari dell’arte pittorica, di cui Francesco Paolo Michetti è stato avveduto esponente».

Quest’anno avete lanciato il digital Michetti, la versione digitale del Premio. Come è nata questa idea?
«Un’idea originale e al passo con i tempi, che l’ufficio stampa del Premio ha elaborato anche in considerazione dell’impatto iconico delle opere in mostra. L’alto numero di votazioni online fino ad oggi registrato è la testimonianza dell’efficacia di questa forma di coinvolgimento, soprattutto in tempi in cui la condivisione sincrona delle immagini è da considerarsi una prassi comunicativa consolidata. Vale per i frammenti della nostra quotidianità, e vale per l’arte, che può essere un accattivante e sorprendente volano espressivo e simbolico».

All’evento è stata sottolineata la valenza internazionale di questo Premio, per via della configurazione della Fondazione, estremamente popolare. Cosa vuol dire essere alla guida di una realtà culturale come questa?
«Fare e promuovere cultura non è operazione semplice, soprattutto in tempi di razionalizzazione delle risorse. Sono grato al sindaco di Francavilla al Mare, Luisa Russo, per aver ritenuto il mio profilo accademico consono alla missione della Fondazione Michetti, che vorrei fosse rivolta non solo alla promozione e alla divulgazione, ma anche alla ricerca. L’obiettivo prioritario è affermare il nome della Fondazione a livello nazionale, per quanto possibile, facendo ricorso a sinergie e collaborazioni che proiettino l’istituzione su una scala qualitativa elevata».

Fondazioni culturali come la Michetti possono rappresentare un vero volano per un territorio. Che strategie avete in mente? 
«Credo che l’arte abbia una valenza non solo estetica, ma anche educativa. Di qui l’idea di promuovere workshop e laboratori rivolti ai più piccoli, per stimolare forme di literacy culturale che guardino alla tradizione e all’innovazione dei processi comunicativi. La sinergia con l’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo mira proprio in questa direzione, in riferimento alla possibilità di promuovere incontri formativi rivolti agli iscritti all’Ordine e focalizzati sul rapporto tra cultura, cronaca e società. Altro obiettivo prioritario è la promozione di incontri di studio sulla figura di Michetti sperimentatore, nella pittura, nella fotografia, nel design, nell’architettura. Altre iniziative sono in cantiere».

State pensando alla creazione di sinergie con le altre istituzioni culturali dell’Abruzzo?
«Il primo passo ha riguardato la sinergia con il Museo d’arte Costantino Barbella di Chieti, che ha concesso il prestito dei quattro ritratti michettiani esposti fino al 25 settembre a Palazzo San Domenico. Con l’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara vi è una sinergia in atto che coinvolge il dipartimento di Scienze Giuridiche e Sociali e il Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali. Sono in atto interlocuzioni con altre istituzioni museali del territorio, al fine di mettere a sistema un patrimonio che presenta numerose eccellenze, e che proprio negli ultimi anni stanno vivacizzando l’offerta  museale pescarese e aquilana. Siamo all’inizio di un percorso che ci auguriamo virtuoso e proficuo». 

Nelle geografie del contemporaneo stanno assumendo sempre più importanza le realtà periferiche, alternative rispetto alle grandi rotte che si snodano tra le principali città italiane. Come pensate di sfruttare questa tendenza?
«Per sfruttare questa tendenza è fondamentale elaborare proposte intelligenti e strategie comunicative adeguate, che puntino sui tratti identitari del territorio (vedi alla voce Cenacolo michettiano) e sulla possibilità di innovare una tradizione pittorica che continua a produrre nuove declinazioni figurative, come dimostrano le opere di Matteo Massagrande, Giovanni Gasparro e Luca Pignatelli, esposte quest’anno nell’ambito dell’edizione 73 del Premio. Se la grande arte va in periferia, quest’ultima ha maggiori possibilità di essere periferica, soprattutto grazie alla forza catalizzante della grande pittura». 

Quali sono le particolarità che rendono un personaggio come Michetti ancora utile da studiare e approfondire al giorno d’oggi? Cosa ci ha lasciato il suo vissuto?
«Michetti ci ha insegnato che bisogna sperimentare e sfruttare le tecnologie, senza per questo rinunciare all’immanenza del talento. Non solo. La sua capacità di aggregare artisti e di dialogare con versanti creativi complementare è un tratto di grandissima modernità, confermata dai numerosi riconoscimenti che un altro grande sperimentatore, Gabriele d’Annunzio, gli tributò dalle colonne dei più importanti giornali dell’epoca».